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Stato di guerra interna (Ecuador)

by Nadia Angelucci

di Nadia Angelucci. Giornalista e scrittrice.

«Una sensazione di insicurezza e di paura. Sconcerto e ansia per quello che stava accadendo e che abbiamo visto, rilanciato più volte, sugli schermi dei nostri telefoni e computer, e in televisione».

Da un angolo appartato dell’Amazzonia ecuadoriana, dove da qualche anno si è ritirata a vivere, Giovanna Tassi racconta le giornate che hanno portato l’Ecuador alla ribalta del pianeta, quando tra il 7 e il 10 gennaio scorsi la fuga dal carcere del Litoral di Guayaquil di Adolfo “Fito” Macias, leader della banda dei Choneros, la rivolta nelle carceri, il sequestro in diretta tv da parte dei narcos di un gruppo di giornalisti, il conseguente decreto presidenziale che stabiliva lo stato di eccezione, l’ondata di violenze e l’esercito dispiegato nelle strade hanno reso evidente la forza delle bande criminali legate al narcotraffico che ormai dominano il Paese.

«L’Ecuador è caduto in mano ai cartelli della droga – dice Tassi – quando, dopo dieci anni di governo di Rafael Correa, assume la presidenza Lenin Moreno e decide di ridimensionare lo Stato, di sposare la filosofia neoliberista. E così l’intero apparato di sicurezza istituzionale è stato smantellato perché costoso e la presenza della criminalità organizzata ha subito un’impennata senza precedenti nella storia del Paese».

Tassi è una giornalista italiana che arriva nel Paese andino nel 1984 per lavorare per una Ong, e non lo lascia più. Ha abitato a 3800 metri nel paramo andino e poi nella foresta amazzonica, dove ha cresciuto i suoi figli nel villaggio di Sarayacu; dal 2008 ha accompagnato il governo della rivolución ciudadana di Rafael Correa, prima nella Segreteria di comunicazione e poi nella televisione e radio pubblica dove riveste ruoli apicali. Con la fine dell’esperienza politica dei correismo torna a vivere in Amazzonia e apre un catering di pizza, continuando a collaborare con le radio locali con una trasmissione molto seguita: Matria. Negli ultimi anni ha vissuto la trasformazione di quello che era considerato il Paese più pacifico dell’America latina in uno degli hub mondiali del traffico di droga.

«I cartelli della droga si sono transnazionalizzati e le mafie internazionali si sono alleate con le gang locali. La criminalità organizzata controlla il più grande porto commerciale della costa, Guayaquil, e utilizza il Paese come corridoio per il trasporto e la distribuzione degli stupefacenti; nella zona di San Lorenzo, al confine con la Colombia, lo Stato non riesce più a governare il territorio; la frontiera amazzonica è completamente incontrollata. Negli ultimi sette anni, il numero di omicidi per 100.000 abitanti è passato da 5 a 46. A questo bisogna aggiungere un grande indice di violenza contro le donne: 321 femminicidi nel 2023, di cui 172 legati al crimine organizzato».

Tra le cause di questo sgretolamento dello Stato, Tassi mette in evidenza «la corruzione, un problema storico del Paese che negli ultimi anni è penetrato fin nei gangli dello Stato; un sistema giudiziario che in gran parte è al soldo del narcotraffico; la mancanza di politiche pubbliche indirizzate a sostenere la parte più fragile e vulnerabile del Paese che diventa facile preda di organizzazioni criminali che offrono “lavoro” e protezione; il ruolo della stampa cooptata dal governo che sostiene una narrazione che esalta le privatizzazioni e la guerra interna arrivando a farsi portavoce della criminalità attraverso denunce verso la parte politica che si oppone ai loro piani. Per i cittadini è una situazione tremenda perché non hanno più punti di riferimento».

Intanto l’attuale presidente, Daniel Noboa, figlio del più ricco latifondista del Paese, ha dichiarato lo “stato di guerra interna” e, per finanziare la risposta militare al conflitto, ha proposto di alzare l’Iva dal 12 al 15% pretendendo di fatto che la popolazione più povera paghi il prezzo della crisi.

«Bisogna offrire risposte strutturali e non solo repressive – dice Tassi – l’Ecuador deve recuperare gli investimenti pubblici, rifinanziare welfare, diritto alla salute e all’istruzione. Lo Stato deve recuperare il suo ruolo propulsore. Invece sta razzializzando la violenza indicando come responsabili i poveri, gli emarginati, gli indios. Sono molto preoccupata e per la prima volta in tanti anni ho difficoltà a individuare una via d’uscita».

Foto © Azzedine Rouichi via Unsplash

Nadia Angelucci

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