di Nadia Addezio. Redazione Confronti
Distante appena 20 minuti di auto dalla Torre dell’Orologio di Tunisi, lungo una stradina di campagna del comune di Mornag, nel governatorato di Ben Arous, si erge tra ammassi di terreno e distese di abeti un imponente cancello verde acqua. Non appena lo si varca, si viene catapultati in una realtà lontana dal caos cittadino, dove il tempo segue il ritmo della natura.
«Benvenuti a El Berima Ferme Pédagogique, un’impresa agricola che rispetta i princìpi della permacultura», ci accoglie così Rim Mathlouthi, 50 anni, franco-tunisina, presidente dell’Associazione tunisina di permacultura (ATP); e con noi accoglie i giovani visitatori che arrivano da Marocco, Portogallo, Spagna. E spiega: «Quali sono i princìpi della permacultura? Prendersi cura degli altri, della Terra, e condividere equamente le risorse».
Dopo una carriera ventennale da giornalista freelance, la presidente dell’ATP sceglie di cambiare vita. Dapprima s’interessa all’agroecologia – una tecnica che tiene insieme fondamenti di agricoltura, ecologia, produttività, attività umana e biodiversità –; si convince che «gli agricoltori devono sperimentare nuove tecniche per adattarsi ai cambiamenti climatici, ma anche per produrre cibo sano, rispettando il suolo e la Terra».
Sette anni fa l’incontro con la permacultura. Il termine viene coniato a metà degli anni ‘70 dai naturalisti australiani Bill Mollison e David Holmgren e deriva dalla fusione di “agricoltura permanente” e “cultura permanente”. Si tratta di un sistema di progettazione agroecologico che realizza insediamenti umani duraturi e sostenibili mediante un attento studio dell’ambiente di riferimento, ispirandosi a ecosistemi naturali: una vita contraria allo spreco, rispettosa delle ricchezze naturali che il nostro pianeta offre, prendendosi cura della loro preservazione per le generazioni future. È intesa come “un modo di vivere”, più che una semplice pratica agricola per produrre.
IL SUPPORTO DELL’ASSOCIAZIONE TUNISINA DI PERMACULTURA AGLI ASPIRANTI PERMACULTORI
In Tunisia, l’associazione presieduta da Rim Mathlouthi s’impegna dal 2015 per la sua diffusione, e lo fa in primis fungendo da incubatore per le microimprese agricole, e poi mediante una serie di attività, come l’organizzazione di festival per lo scambio delle sementi contadine tra aziende sementiere. L’ATP è contraria ai cosiddetti “semi ibridi F1”, cioè la prima generazione di piante che si ottiene dall’incrocio (detto “ibridazione”) tra altre due piante di ceppi diversi e che sono state sottoposte alla selezione di caratteristiche agronomiche specifiche, come la resistenza a parassiti, malattie e condizioni climatiche avverse, i brevi tempi di maturazione.
I semi ibridi F1 generano piante molto simili tra loro e non riproducibili, quindi l’agricoltore pur seminando i suoi frutti, non avrà semi dalle medesime caratteristiche di partenza. Ragion per cui sarà costretto ogni anno a riacquistarli dalle aziende produttrici. Se da una parte i semi ibridi F1 sono vantaggiosi per gli agricoltori, perché danno uniformità alla produzione agricola e garantiscono una maggiore resa dei terreni, dall’altra si perde la variabilità genetica di cui si avvalgono i semi contadini.
Tra l’altro il costo dei semi ibridi F1 è superiore alle sementi contadine; e spesso richiedono l’utilizzo di fertilizzanti azotati sintetici – responsabili del 2,1% delle emissioni globali di gas serra, secondo uno studio dell’Università di Torino, dell’Università di Exeter e Greenpeace –.
L’ATP si fa anche attore culturale del cambiamento: «Ad oggi il cambiamento climatico, la siccità, la questione delle sementi, ci obbligano a cambiare il modo di lavorare. Ed è per questo che il ministero dell’agricoltura accetta che un’associazione piccola come la nostra lo affianchi sul tema», racconta Mathlouthi. In tal senso, l’ATP si dedica alla sensibilizzazione e formazione di imprenditrici e imprenditori, studenti e studentesse, autorità pubbliche mediante corsi teorici e workshop. Cerca, così facendo, di dare il proprio contributo per intervenire sulla disoccupazione del Paese (pari al 16,4% nel IV trimestre 2023, secondo le rilevazioni dell’Istituto di statistica della Tunisia), e che colpisce in particolare i giovani tra i 15 e i 24 anni (40,9%). Tra le attività messe in campo, da segnalare il programma Plante ta ferme (PTF): un progetto di 4 anni finanziato dalla fondazione svizzera Drosos che supporta la creazione di 50 microaziende agricole di permacultura che hanno un’estensione inferiore a 5 ettari (50mila metri quadri), in quattro aree del territorio tunisino. Plante ta ferme si concluderà il prossimo settembre.
Infine, ogni sabato, l’ATP adibisce gli spazi della sua sede, nel quartiere di Ennasr 1 della capitale, al mercato di frutta e ortaggi delle attività agricole che hanno aderito alla sua rete. Tra queste, figura El Berima Pédagogique e il suo fondatore, Slim Marzougui.
L’ESPERIENZA: UN’IMPRESA AGRICOLA PEDAGOGICA
Con dedizione, Slim Marzougui, 43 anni, si prende cura di ogni singola attività da svolgere, che sia versare il succo di mela verde quanto mostrare ai giovani in visita come raccogliere i frutti della terra. È da questo impegno che nasce El Berima Pédagogique: più di dieci anni fa Marzougui salva l’appezzamento di terra della propria famiglia, di 1,2 ettari (12mila metri quadri), dall’incuria del tempo. Lo rileva, ripulisce e impara a confrontarsi con gli effetti del cambiamento climatico che minacciano la Tunisia.
Secondo l’Aqueduct Water Risk Atlas pubblicato ad agosto 2023 dal World Resources Institute (WRI), in Medio Oriente e Nord Africa l’83% della popolazione è esposta a uno stress idrico estremamente elevato. La Tunisia, in particolare, si collocava nel 2019 al 20esimo posto tra i Paesi a rischio estremamente alto (>80%) nella classifica nazionale dello stress idrico del WRI. In più, secondo le previsioni della Banca mondiale riunite nel Climate Risk Country Profile [2021], nel Paese maghrebino vi è un elevato pericolo di disastri naturali. Nel futuro, la Tunisia sarà fortemente suscettibile alla siccità.
Tali evidenze convincono l’imprenditore, quindi, dell’urgenza di intraprendere strade alternative. Se inizialmente ricorreva all’agricoltura biologica, Marzougui in un secondo momento s’interesserà alla permacultura: «è successo probabilmente 8 anni fa, per caso, dopo un incendio che causò la perdita di gran parte delle monocolture di arance e limoni». Le due pratiche agricole, infatti, se hanno in comune che si rifanno a policolture e l’assenza di additivi chimici, si distinguono perché la biologica è compatibile con processi e produzioni industriali, mentre la permacultura può produrre solo in piccola scala.
E se l’agricoltura biologica prevede la possibilità di una certificazione riconosciuta, la permacultura, secondo i suoi sostenitori, offre una soluzione migliore di contrasto alla siccità. Grazie alla “pacciamatura”, che è una tecnica di conservazione dell’acqua che consiste nel ricoprire il terreno con uno strato di materiale naturale o artificiale per conservarne l’umidità e impedire la crescita di piante infestanti.
Passano gli anni, fino a che Slim Marzougui decide nel settembre 2023 di fare dell’El Berima non solo il suo hobby, ma anche un’impresa da cui trarre profitto: «Ho lasciato il mio vecchio lavoro e scelto in primis lo stile di vita», afferma soddisfatto. Oggi, la fattoria consente all’imprenditore di autoprodursi il cibo e di provvedere al fabbisogno alimentare di 50 famiglie.
In più, ogni settimana dà il benvenuto a bambini e persone di tutte le età che trascorrono ore immersi nel verde, imparando nel concreto ad assaporare alimenti salutari; a maneggiare il terreno e prepararlo alla semina; a raccogliere i prodotti della terra e dar da mangiare alle galline che risiedono nella zona recintata, in compagnia dell’asino e della pecora.
«Voglio condividere la mia esperienza in particolare con i giovani perché i momenti salienti che influiscono sulla nostra crescita avvengono durante la nostra giovinezza», da qui il ruolo pedagogico che Slim Marzougui ha affidato al progetto agricolo, che aggiunge ottimista: «se riusciamo a influenzare il singolo individuo, ciò potrà avere un impatto più grande, nel lungo termine».
LA PERMACULTURA COME STRADA PER UNA SECONDA CHANCE
Poltrone da salone consumate, persiane blu da esterno, credenze graffiate, lettini in ferro battuto arrugginiti. Nell’El Berima ferme, ogni singolo elemento di arredo è stato recuperato per donargli una seconda vita. La sua creatività passa per i WWOOFer, visitatori-volontari che in cambio di vitto e alloggio apprendono pratiche agricole sostenibili (WWIIFing) e danno una mano alle realtà rurali dove soggiornano, grazie al movimento World-Wide Opportunities on Organic Farms (WWOOF), che li mette in contatto. Come Aymen Bouroudi, un architetto tunisino specializzato in architettura ecologica del paesaggio, nonché WWOOFer in El Berima. Grazie alle sue conoscenze e competenze in design, Bouroudi aiuta Slim a «trasformare quest’impresa agricola in una fattoria di permacultura». Lo affianca Émile Tivier, francese di 32 anni, ingegnere idraulico e WWOOFer, che ha portato con sé la sensibilità al tema del cambiamento climatico e la curiosità verso lo sviluppo di «un’agricoltura sostenibile che si prenda cura della vita, delle persone, dell’ambiente, e che punti ad accumulare quanti meno scarti possibile».
La visione del recupero per dare una seconda occasione, è condivisa dall’organizzazione francese Institut Européen de Coopération et de Développement (IECD), coordinatrice regionale di Méditerranée Nouvelle Chance (MedNC): una rete che riunisce associazioni e scuole della “second chance” di Paesi del Mediterraneo – Algeria, Egitto, Libano, Marocco, Tunisia, Spagna, Francia, Italia e Portogallo – che lavorano per l’integrazione professionale e l’intervento in casi di vulnerabilità sociale. Quest’anno ha organizzato la seconda edizione del progetto MedExchange, portando 35 giovani tra i 16 e i 24 anni che non studiano e non lavorano, i cosiddetti “Neet”, all’El Berima: «confrontarsi con culture diverse dalla loro, maturare nuove competenze e sensibilità, scoprire sbocchi professionali, sviluppare soft skills», sono gli obiettivi che si propone e che elenca Chloé Martin, responsabile delle comunicazioni di MedNc.
Tra le ragazze e i ragazzi, c’è chi prende subito gusto a lavorare la terra, chi si scatta un selfie, chi inizia a intessere legami sforzandosi a parlare una lingua comune. I loro visi divertiti non lasciano trapelare il loro il perché della loro vita chiusa in sé; ci sono «ragioni familiari, o perché si sono sentiti abbandonati dagli insegnanti che hanno dimostrato disinteresse verso le loro problematiche personali», ci dice Juan Francisco Ruiz Jiménez, tecnico e formatore spagnolo dell’Associazione Arrabal-AID, a Malaga, nel Sud della Spagna. Secondo le rilevazioni di Openpolis condotte nel 2022, la Spagna è il secondo Paese europeo (13,9%) per abbandono scolastico.
Esclusione sociale ed economica, assenza di prospettive future, sono tra le altre ragioni che influenzano il fenomeno dei Neet. C’è poi la mancata corrispondenza (“mismatch”) tra le qualifiche professionali domandate e quelle offerte, che fa crescere in partenza le sacche di popolazione giovanile inoccupata. A tal proposito, la Commissione europea e l’Organzzazione internazionale del lavoro (OIL) hanno firmato a gennaio l’iniziativa Youth NEETs in Southern Neighbourhood countries per supportare quel 30% di giovani tra i 15 e 24 anni che non studiano e non lavorano in 8 Paesi dell’area MENA, tra cui Marocco e Tunisia.
La giornata all’El Berima ferme si colloca in tale scenario, proponendo la permacultura come una delle tante seconde occasioni che i giovani del Mediterraneo cercano. Diana Reis, insegnante di arti visive nella Second chance school di Matosinhos, in Porto, nel Nord del Portogallo, afferma: «Abbiamo dei terreni abbandonati che il nostro comune potrebbe offrire alla scuola. Questa giornata in El Berima ci insegna come prendercene cura. Noi vogliamo offrire ai nostri studenti una nuova possibilità per guadagnare denaro e costruirsi una vita».
Foto © Nadia Addezio
di Nadia Addezio
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