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Nessun dissenso nella Russia dello “zar”

by Michele Lipori

di Michele Lipori. Redazione Confronti

Le elezioni presidenziali in Russia si sono svolte dal 15 al 17 marzo scorso e sono state segnate da una nettissima vittoria del presidente in carica Vladimir Putin, che ha rivendicato l’87% dei voti, facendo registrare la più alta percentuale di vittoria in un’elezione presidenziale nella Russia post-sovietica. L’affluenza alle urne ha superato il 70%, con una partecipazione significativa in regioni come Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhya e Kherson, dove il sostegno di Putin è stato particolarmente forte, raggiungendo il 95% delle preferenze nel Donetsk. L’inaugurazione del suo quarto mandato, che vedrà Putin in veste di presidente fino al 2030, è prevista per il prossimo 7 maggio 2024. Tale possibilità è stata garantita dall’approvazione di un emendamento costituzionale proposto dal Parlamento nel marzo del 2020 che ha tolto il limite dei due mandati consecutivi e consentirà a Putin di restare al potere, se rieletto, fino al 2036.

DISSENSO SISTEMICO

Le elezioni in Russia sono state oggetto di accuse di non democraticità – da parte del Parlamento europeo, che ha anche sollevato preoccupazioni riguardo all’ingerenza russa nei processi democratici dell’Unione europea, ma anche da parte di organizzazioni come la Free Russia Foundation e relatori delle Nazioni Unite – che riguardavano la mancanza di una vera competizione elettorale. Secondo queste voci critiche, il governo di Vladimir Putin avrebbe escluso oppositori significativi dalle liste elettorali, reprimendo le voci dissidenti e utilizzando la strategia dell’“opposizione sistemica” per dare solo un’apparenza di democraticità alla politica russa. I candidati ammessi alla disfida elettorale, dunque, farebbero parte di movimenti che esercitano un’opposizione di facciata, utilizzati per dare al sistema una parvenza di democraticità senza rappresentare una reale alternativa.

Ad ogni modo, i principali contendenti di Putin non sono riusciti a scalfire la maggioranza dello “zar”. Leonid Slutsky del Partito liberal democratico, associato a posizioni nazionaliste di Destra che ha preso il posto del leader estremista Vladimir Zhirinovsky, ha ottenuto il 3,79% dei voti. Nikolai Kharitonov del Partito comunista russo, le cui proposte politiche differiscono solo leggermente dal partito al potere, specialmente per quanto riguarda la politica estera, ha ottenuto il 4,32% dei voti. Vladislav Davankov del Partito Nuova Gente – che si definisce liberale-conservatore e ha un programma più orientato al ricercare una pacificazione con l’Ucraina – ha ottenuto il 3,19% dei voti.

REPRESSIONE E SANZIONI

Nonostante il risultato plebiscitario in favore di Putin, si sono registrate alcune azioni di dissenso durante le elezioni, come l’iniziativa Mezzogiorno contro Putin, promossa dai partiti (minoritari) dell’opposizione nella quale si invitava la popolazione a radunarsi fuori dai seggi elettorali di tutto il Paese, presentandosi alle urne tutti alla stessa ora come forma di protesta pacifica. Le immagini e i video diffusi mostrano persone che si sono radunate fuori dai seggi elettorali in diverse città della Russia, offuscando i loro volti per proteggere l’identità.

Il governo russo ha infatti intensificato la repressione del dissenso, in particolare in seguito all’invasione dell’Ucraina nel febbraio 2022. Questa repressione ha portato all’incarcerazione dei critici del Cremlino (sono tra 700 e 1000, secondo le stime dell’Ong Ovd-Info – www.en.ovdinfo.org), al silenzio dei mezzi di informazione indipendenti e all’etichettatura di vari gruppi come “agenti stranieri” e “organizzazioni indesiderabili”. Il governo ha inoltre implementato leggi che criminalizzano la diffusione di “false informazioni” sui militari, mettendo di fatto fuorilegge l’espressione pubblica che si discosti dalla narrativa ufficiale sulla guerra. La repressione del dissenso si è estesa agli spazi online, con una censura diffusa e il perseguimento di individui che esprimono la propria opinione, in special modo contro la guerra in Ucraina e sono oltre 20mila, secondo Amnesty International, le persone che hanno subìto rappresaglie da parte del governo per la propria attività di dissenso.

Del resto, la diffusione di “informazioni inaffidabili” sulle forze armate e sul loro funzionamento può essere punita con la reclusione fino a quindici anni (articolo 207.3 del Codice penale russo) ma sono previste anche sanzioni pecuniarie per persone fisiche e giuridiche.

Foto © Ivan Shilov via Unsplash

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