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Ada Gobetti

by Goffredo Fofi

di Goffredo Fofi. Scrittore, critico letterario e cinematografico, giornalista.

Ada Prospero abitava a Torino nella stessa casa di Piero Gobetti, a un piano diverso. Nacque tra loro, quasi coetanei (lei nata nel 1902, lui un anno prima), un’amicizia di scala, un dialogo che li fece innamorare e li tenne insieme negli anni della breve vita di Piero – morto a Parigi nel 1926 dalle conseguenze di una bastonatura fascista. Paolo, il loro figlio nato nel 1926, non conobbe mai il padre.

Non erano ricchi né i Gobetti né i Prospero, piuttosto dei piccolo borghesi benestanti. I secondi erano immigrati di non lontana origine montenegrina, fornitori di primizie alla Real Casa dei Savoia. Piero, una delle menti più aperte e ardite della sua generazione, era troppo giovane per dover fare la guerra, ma si rivelò ancora adolescente, irrequieto e curioso di tutto, come un intellettuale di punta, capace di pensieri originali e coraggiosi che condivise con Ada, e grande organizzatore editoriale (fu, tra l’altro, il primo editore di Montale).

Si scrivevano, i due, da un pianerottolo all’altro, e la loro bellissima corrispondenza è stata raccolta tanti anni dopo in un bellissimo libro einaudiano del 1991 dal titolo Nella tua breve esistenza. Lettere 1918-1926. (Un giovane e ambizioso scrittore, Paolo Di Paolo, ne ha tratto pochi anni fa un curioso romanzo).

Con Piero lontano, e poi da vedova e con un figlio piccolo, e in pieno Fascismo, Ada non ebbe la vita facile, ma riuscì a trovar lavoro come insegnante di inglese nelle scuole e a tradurre, sempre dall’inglese, molti classici di quella letteratura, grandi romanzieri e grandi saggisti, da Jonathan Swift a Henry Fielding, dal “dottor Johnson” (le Conversazioni con Boswell, un grande libro oggi negletto) a Charles Dickens, e traducendo anche romanzi contemporanei inglesi o americani, da Aldous Huxley a Robert Hughes, da Sherwood Anderson all’antropologa e narratrice nera Zora Neale Hurston.

Venne la Seconda guerra mondiale, e Ada si trasferì col figlio in Val di Susa, diventando ben presto una coraggiosissima organizzatrice e combattente della Resistenza. A guerra finita pubblicò il suo Diario partigiano su spinta di Benedetto Croce, il filosofo napoletano che, con la moglie piemontese, l’aveva aiutata nei brutti tempi dopo la morte di Piero. Nei primi anni Sessanta vivevo a Torino, e fui molto aiutato da Ada, dal figlio Paolo con la moglie Carla, e fui spesso e a lungo loro ospite nella casa di Reaglie, alle porte di Torino. Ho imparato a “fare riviste” da Ada e da Paolo, grazie al Giornale dei genitori della prima e a Il nuovo spettatore cinematografico del secondo. Ada è morta nel 1968, e tra i suoi ultimi articoli ci sono gli elogi del nascente movimento studentesco, nella convinzione che: ribellarsi è giusto, e i giovani raccoglievano le bandiere lasciate cadere dai veterani della Resistenza, e di quella erano i continuatori.

Ada e Paolo mi avevano chiesto di curare un’edizione scolastica del loro Diario, sempre per Einaudi; una nuova edizione di quello ebbe, oltre le mie povere considerazioni, quelle ben più acute di Italo Calvino, di Bianca Guidetti Serra e di Nuto Revelli. Rileggere quel libro dà un’idea forte e precisa di cosa è stata la guerra partigiana, nella quale il ruolo di comandante di Ada venne riconosciuto dopo la guerra con l’equiparazione pensionistica dei capi partigiani ai graduati dell’esercito. Vorrei infine ricordare che Ada ha anche scritto di pedagogia (Non lasciamoli soli, per esempio) e un bel libro per ragazzi, scritto per il figlio, La storia del Gallo Sebastiano dove, dietro il personaggio di un saggio adulto, era raffigurato Benedetto Croce.

Illistrazione  © Doriano Strologo

Goffredo Fofi

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