di Samuele Pigoni. Direttore della Fondazione Time2. Si occupa di management, progettazione sociale e filosofia.
La metafora non è semplicemente una figura retorica o un modo di parlare, ma piuttosto un modo attraverso il quale diamo significato al mondo e interpretiamo la realtà. Ce lo suggerisce Paul Ricoeur, in La metafora viva (1975), testo nel quale il filosofo francese ci permette di cogliere alcune caratteristiche fondamentali della metafora. La prima è che il modo di parlare di qualcosa nei termini di un’altra cosa che le somiglia, sarebbe tanto originario quanto il modo di parlare di una cosa tramite ciò che logicamente la caratterizza.
Questo perché il rivelarsi della metafora come qualcosa che al nostro orecchio ha senso, nonostante appaia strana, deriva dal fatto di riferirsi a qualcosa di reale e rivela l’originaria coappartenenza tra linguaggio e realtà. La seconda caratteristica fondamentale della metafora è il suo rapporto con le immagini. È l’immagine infatti a permettere di modificare con successo l’abituale accostamento tra soggetto e predicato.
Se, per esempio, diciamo “la mente è un oceano”, riconosciamo che stiamo dicendo qualcosa di sensato e questo è merito del fatto che l’immagine che la metafora ci fa vedere accosta a ’mente’ caratteri di somiglianza che di solito attribuiamo a “oceano”, come la vastità, la mobilità, la profondità ecc. Anche in questo caso l’immagine ci mostra cioè che la metafora dice qualcosa di reale e vero, aiutandoci a comprendere il mondo.
Ecco perché nella storia della filosofia l’uso di metafore ha avuto così tanto successo, come dimostra Metafora (L’Ippocampo, 2024), libro illustrato che attraverso testi semplici e immagini raffinate esplora una selezione di 24 metafore che hanno avuto particolare successo nella storia del pensiero. Alcune sono molto note, come il fiume di Eraclito («Non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume»), la caverna di Platone («Immagina di vedere degli uomini rinchiusi in una abitazione sotterranea a forma di caverna»), il rasoio di Occam («È inutile fare con più, quello che si può fare con meno») oppure, avvicinandoci ai nostri giorni, la famosa metafora del liquido di Bauman («Il carattere liquido della vita e quello della società si alimentano e si rafforzano a vicenda»). La scelta di tre metafore meno note è particolarmente felice, per la loro capacità di orientarci nella comprensione del mondo di oggi.
La prima è matrice, della filosofa femminista Judith Butler (Questioni di genere. Il femminismo e la sovversione dell’identità, 1990). La matrice si riferisce alla capacità materna di generare la vita e per estensione metaforica al luogo in cui qualcosa di crea e si sviluppa, sia in termini concreti (come l’utero femminile) sia in termini astratti (come un contesto culturale). Per Butler si tratta di una metafora utile a comprendere la formazione del soggetto e delle identità che, come nel caso della matrice eterosessuale che orienta al binarismo di genere, spiega come la nostra identità di genere non sia un fatto biologico ma avvenga entro costrutti socioculturali.
La seconda è rizoma, proposta da Deleuze e Guattari (Millepiani. Capitalismo e schizofrenia, 1980). In botanica il rizoma è uno stelo sotterraneo che si sviluppa in orizzontale. La filosofia di Deleuze e Guattari si propone al contrario come pensiero rizomatico nel senso che supera l’idea verticale e gerarchica del sapere (arborescente) per sviluppare un sistema di pensiero privo di nuclei centrali, non ramificato in categorie e che procede per interconnessioni eterogenee e multidirezionali.
La terza metafora è Oriente con la quale il filosofo statunitense di origini palestinesi Edward Said (Orientalismo, 1978) segnala come quando parliamo di Oriente parliamo sempre di una metafora, perché ciò che vediamo è il prodotto dello sguardo occidentale. Avverrebbe cioè un’orientalizzazione dello spazio e dell’identità che, producendo un’immagine irrazionale, pericolosa e inferiore dell’Oriente, servirebbe a confermare la subalternità e il dominio di una parte di mondo sull’altra.
Metafore allora non come lenti ma come veri e propri occhi aperti sul mondo, capaci di restituire immagini potenti e vivide perché rivelatrici di dimensioni, meccanismi e dispositivi in azione nella realtà.
Ph. © Iesee Nicolave via Unsplash
Samuele Pigoni
Direttore della Fondazione Time2. Si occupa di management, progettazione sociale e filosofia.