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Scelte impopolari per costruire la pace

by Raul Caruso

di Raul Caruso. Economista, Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano). Direttore del Center for Peace Science Integration and Cooperation (CESPIC) di Tirana.

La guerra tra Russia e Ucraina si sta prolungando oltre ogni aspettativa e pertanto tra le principali preoccupazioni dei Paesi Nato c’è quella di fornire arsenali adeguati a Kiev in modo da evitare un esito del conflitto decisamente sbilanciato a favore di Mosca.

È chiaro ormai a tutti che questa guerra, come la maggior parte delle guerre, non avrà un chiaro vincitore ma ad un certo punto vi sarà un cessate il fuoco che verosimilmente andrà a cristallizzare alcune posizioni raggiunte durante il conflitto.

Inutile dire che successivamente a questo inevitabile momento, le comunità russe e le comunità ucraine ricominceranno a convivere in una situazione ancora più difficile rispetto al passato. La capacità di convivenza tra russi e ucraini, tuttavia, sarà decisiva per la lunga costruzione di una pace duratura, ovvero per evitare il ritorno alla violenza. Come sarà possibile far convivere queste due comunità? Non esiste ovviamente una risposta facile ma sicuramente questo è un tema che non potrà essere rinviato e che soprattutto dovrà essere incluso nei futuri negoziati di pace. Dagli studi sulla guerra degli ultimi anni esiste una diffusa consapevolezza che alcune forze di power sharing all’interno di società divise possano aiutare a istituzionalizzare la pace. L’idea del power sharing parte del presupposto che se all’indomani di un conflitto le diverse parti vengano incluse nelle diverse articolazioni di governo, gli incentivi alla recrudescenza del conflitto tendono a diminuire.

Nella sua apparente semplicità, se applicata questa idea può avere dei risultati sostanziali in termini di stabilizzazione e costruzione della pace. In realtà, purtroppo, la situazione è estremamente complessa e ben lontana da una prospettiva di questo tipo.

Una delle rivendicazioni utilizzate speciosamente da Putin, ma che trova supporto tra i suoi sostenitori, è che nelle repubbliche ex-sovietiche vi sarebbero diversi milioni di russi discriminati. Nelle repubbliche baltiche di Estonia e Lettonia, ad esempio, all’indomani del 1991 furono introdotte leggi sulla cittadinanza fortemente restrittive che penalizzarono la comunità russa residente. Decisioni divisive di questo tipo, nate chiaramente come rivalsa nei confronti dei russi, non hanno fatto altro che allontanare per anni una “normalizzazione” delle relazioni tra le comunità fornendo nel contempo argomenti al Cremlino.

Quando le condizioni per il cessate il fuoco saranno mature, il “coraggio” che è necessario abbracciare, è quello di non commettere errori simili andando a penalizzare i russi in territorio ucraino. Il governo di Kiev, peraltro, in quanto candidato all’Ue dovrà garantire la tutela delle minoranze, ma purtroppo sarà difficile chiedere reciprocità in questo senso a Mosca che negli ultimi anni ha visto aumentare innegabili sentimenti di nazionalismo.

In questo contesto, immaginare soluzioni negoziate di power sharing nei territori contesi ovvero in parte di essi sembra impossibile, anche se tentativi in questa direzione non dovranno essere messi da parte. Questa guerra sta lasciando sul campo profonde distruzioni e incommensurabili tragedie umane e per questo motivo ogni tentativo per evitare che essa si ripresenti in un tempo breve deve essere posto in essere.

L’enfasi mediatica sul riarmo e le tattiche militari nascondono purtroppo un’incapacità di elaborazione istituzionale da parte delle nostre classi dirigenti. I Paesi dell’Ue, tuttavia, dovendo essere in futuro i principali “sponsor” di Kiev non possono non farsi promotori di proposte istituzionali che disinneschino gli incentivi alla guerra. Una rinnovata integrazione delle minoranze russe nella società ucraina sarà uno dei passi più importanti e decisivi, per quanto questo oggi appaia oggi impopolare..

Ph. © Dimitry K via Unsplash

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Raul Caruso

Economista, Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano). Direttore del Center for Peace Science Integration and Cooperation (CESPIC) di Tirana.

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