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La Confessione. Un podcast svela gli scandali sessuali della Chiesa

by Luca Attanasio

di Luca Attanasio. Giornalista e scrittore

Il processo di disclosure sugli abusi nella Chiesa cattolica, è recente. Tanti hanno sempre saputo, qualche scandalo era anche emerso, ma la vera svolta arriva con Joseph Ratzinger. Fu lui a dare quella scossa che fornì un innesco deflagrante e attivò un percorso dolorosissimo che probabilmente neanche lui stesso aveva pensato di tali sconfinate dimensioni.

Se vogliamo datare l’inizio del processo, possiamo ritornare al 25 marzo 2005, venerdì santo. Ratzinger, ancora cardinale, ma a un passo dalla nomina a papa – che sarebbe arrivata neanche un mese dopo, il 19 aprile – nel corso dell’omelia della Via Crucis, parla di “sporcizia nella Chiesa” (con chiaro riferimento al clamoroso Caso Maciel, dal nome di Marcial Maciel Degollado: il fondatore dei Legionari di Cristo, un movimento di laici e consacrati resosi protagonista di oltre 170 casi di abusi, una sessantina dei quali commessi da Maciel stesso) facendo intendere che si sarebbe presto arrivati a inaugurare un nuovo corso a “tolleranza zero”. Da papa, Ratzinger, diede impulso a questa impellente necessità di “fare pulizia” e chiese trasparenza, apertura di archivi, denuncia di abusi pregressi e contemporanei. Avviò così un processo che in breve terremotò letteralmente l’intera Chiesa cattolica e segnò profondamente il suo pontificato: c’è chi si spinge addirittura a sostenere che dietro le sue clamorose e inedite dimissioni ci sia proprio il peso di tanti scandali.

EFFETTO DOMINO

La prima Chiesa a essere travolta fu quella d’Irlanda, un Paese che ha fatto per secoli rima con Cattolicesimo, che ha sempre visto nell’appartenenza alla Chiesa cattolica un fiero elemento nazionalista e anti-inglese e in cui la Chiesa pervadeva ogni settore della società: il ministero dell’Educazione, solo per citare un esempio, fino ad anni recenti, era appaltato alla Chiesa cattolica e le scuole private erano quelle non confessionali. Emersero un numero tale di gravissimi scandali da far dichiarare a Dermot Martin, arcivescovo di Dublino dal 2004, di «aver trascorso varie notti e giorni a leggere le testimonianze [degli abusati sopravvissuti] e a piangere disperatamente».

Già dal 2002 erano stati pubblicati rapporti e inchieste indipendenti che misero in luce decine di migliaia di casi di abusi sessuali e non, commessi da membri del clero a partire dagli anni Settanta e i relativi danni creati a individui e famiglie, tra suicidi, malattie psichiatriche, disadattamento e colpevolizzazione sociale sistematica. Quattro ex arcivescovi di Dublino, insieme ai loro ausiliari e sacerdoti di fiducia vennero poi direttamente accusati nel 2009, a seguito del Rapporto Murphy (voluto e gestito dal Governo), di aver coperto ripetutamente ogni sorta di abusi. Bastò solo scoperchiare quell’enorme vaso, per far emergere quanto la Chiesa irlandese fosse infettata e infettante: uscì a ridosso uno studio che dimostrò che in vari altri scandali in Paesi anglofoni, la maggior parte degli abusatori fossero di origine irlandese.

Di lì in poi, il processo si tramutò in un fiume in piena che prese a scorrere tra Stati in ogni angolo del mondo e a travolgere praticamente le Chiese di ogni continente. La Chiesa statunitense, anche grazie allo straordinario lavoro della redazione del Boston Globe (ben rappresentato nel noto film Il Caso Spotlight) che tra il 2001 e il 2002 fece emergere gli scandali nella diocesi della città perpetrati da centinaiadi sacerdoti o membri della Chiesa e coperti cardinale Bernard Francis Law – poi costretto alle dimissioni ma “sistemato” come arciprete della Basilica di Santa Maria Maggiore da Giovanni Paolo II –, da inizio secolo in poi è citata a giudizio senza soluzione di continuità per un numero impressionante di scandali che le stanno costando miliardi di dollari. Nell’aprile del 2018, invece, tanto per citare un altro tra i tanti clamorosi esempi di Chiese travolte da scandali, la conferenza episcopale cilena si dimise in blocco a conclusione di un vertice straordinario su abusi e relativi insabbiamenti. La nota con cui si comunicavano le dimissioni recitava un laconico «imploriamo il perdono delle vittime».

Il 2010, al culmine di un processo che stava montando e uscendo dal controllo della curia, può essere considerato l’annus horribilis della Chiesa cattolica. In quell’anno, come si legge su un numero della rivista Il Mulino, si registrò un vero e proprio effetto domino che fece emergere una serie sconvolgente di scandali. Le inchieste – indipendenti, volute dai governi o, molto più raramente, realizzate dagli organi interni delle chiese nazionali – non risparmiarono nessuno, dai seminaristi fino ai cardinali, passando per preti, religiosi, catechisti e vescovi. Furono travolte una dopo l’altra le chiese cattoliche di Belgio, Svizzera, Inghilterra, Olanda, Austria e Germania. Da ogni angolo del mondo poi, non solo l’Europa, giungevano nuove segnalazioni, che segnarono indelebilmente gli ultimi due anni del pontificato di Ratzinger.

LA CONFESSIONE: UN PODCAST ITALIANO

In Italia, invece, un vero e proprio scandalo si può dire che non sia mai scoppiato. Sono emersi casi di sacerdoti, di parroci, di istituti religiosi o movimenti protagonisti a vario livello di abusi, ma la denuncia del sistema, non dei singoli esecutori, fatica ad affiorare. La novità, quindi, arriva da un gruppetto di giornalisti resosi protagonista di una importante inchiesta che prova a invertire la tendenza.

Da marzo 2024, infatti, è disponibile su tutte le piattaforme il podcast dal titolo La Confessione, una serie audio divisa in sette puntate che sviluppa e chiude un primo cerchio nell’inchiesta di rilievo internazionale sugli abusi nella Chiesa che conduce ormai da due anni la giornalista Federica Tourn e che già ha fatto esplodere il caso del gesuita Marko Rupnik. Il podcast, realizzato grazie anche al sostegno degli abbonati alla newsletter Appunti, è il frutto di un lungo lavoro svolto da Tourn assieme a Stefano Feltri e Giorgio Meletti e costituisce un atto d’accusa che per la prima volta racconta le responsabilità dei vertici della Chiesa italiana e del Vaticano.

È il Caso Spotlight nostrano e, a partire da una pesantissima situazione – gli abusi ripetutamente subiti da Antonio Messina, da minorenne e maggiorenne, a opera di don Giuseppe Rugolo e coperti dal vescovo di Piazza Armerina Rosario Gisana – ricostruisce a uno a uno tutti i passaggi attraverso cui la Chiesa italiana silenzia le denunce delle vittime, copre i preti sotto accusa e nasconde lo scandalo a partire dai livelli più bassi fino ad arrivare al papa. L’irruenza con cui il podcast lancia il disperato messaggio è in gran parte dovuta alla collezione delle voci dei protagonisti di questa tristissima storia, vittime e carnefici. Grazie alle intercettazioni o alle registrazioni poi finite nelle mani degli inquirenti, La Confessione mette a disposizione di chi ascolta una ricostruzione degli eventi perfettamente realistica perché basata sulle parole di chi li ha perpetrati e subìti.

L’approccio è quindi molto originale perché scava dal di dentro e porta alla superficie un modello di azione e reazione vecchio di secoli che però, “spiegato” da chi lo attua, accresce in chi ascolta stupore e rabbia. Le frasi che preti, vescovi, religiosi dicono a più riprese, infatti, lasciano increduli, non solo per la gravità dei contenuti, ma anche per la naturalezza con cui vengono pronunciate. Se ne potrebbero citare tante. Per brevità e rifiuto di spoileraggio, ci limitiamo nel riportarne alcune: «Ho insabbiato io questa storia», una frase detta al telefono dal vescovo Rosario Gisana intercettato, a don Giuseppe Rugolo, il prete accusato e condannato a 4 anni e 6 mesi per violenza sessuale in primo grado a Enna lo scorso 5 marzo; o la frase con cui lo stesso Gisana ripete in tutta tranquillità ai genitori della vittima contattati per offrire 25mila euro in cambio del silenzio, allo stesso Rugolo e addirittura alla Pm al tribunale di Enna, di «aver utilizzato soldi dell’Otto per mille e della Caritas» per pagare le spese processuali e di mantenimento del Rugolo.

Il principale merito de La Confessione è quello tipico della grande inchiesta giornalistica: smascherare il sistema, denunciare la normalità di comportamenti radicati che resistono a inchieste, rapporti, indagini, persino agli appelli di pontefici, e perpetuano nei secoli crimini abietti con la sicumera di chi si sente ingiudicabile. «Il vescovo Gisana – spiega Federica Tourn –, a colloquio con un sacerdote, si stupisce che in sede processuale gli venga chiesto dell’indagine, previa condotta internamente alla Chiesa, ritenendo la richiestaun’invasione di campo. Peraltro i preti che vengono a conoscenza di reati, per la legge italiana non sono tenuti a informare le autorità inquirenti né a denunciare. È come se vivessero in un universo parallelo». «Da queste situazioni – ne è purtroppo certo Antonio Messina – non si esce mai totalmente. Sono ferite che porti dentro e resteranno lì per sempre, anche perché continuo a scontrarmi con un sistema di abusi che parte da Rugolo ma persiste nel garantire coperture fino ai vertici della Chiesa così come delle istituzioni. Tra diocesi e politica e determinati ambiti del territorio ci sono legami stretti che si tutelano a vicenda. Da quando ho denunciato alla magistratura ho ricevuto varie aggressioni verbali e fisiche da persone vicine agli ambienti delle confraternite religiose così come della politica e della stampa. Sono stato querelato, io e la mia famiglia veniamo additati come dei traditori, dei burattini guidati da altri».

NESSUNO È INNOCENTE

Da questa orribile vicenda nessuno, all’interno della Chiesa, esce pulito. Il clero locale, il vescovo Gisana, in qualche modo neanche Gianfranco Perego, arcivescovo di Ferrara dove Rugolo viene spedito quando le denunce cominciano a farsi serie (e incaricato della pastorale dei più giovani), ma non ne esce integro neanche il papa, il quale il 6 novembre 2023, il giorno prima di un’udienza del processo che vede imputato don Rugolo per abusi ai danni di Antonio Messina, iniziato a Enna il 7 ottobre del 2021, interviene con tutta la sua autorevolezza nella vicenda pronunciando, nel corso di un’udienza a fedeli siciliani, parole che suonano come una difesa sperticata di Mons Gisana: «Saluto il Vescovo di Piazza Armerina Monsignor Rosario Gisana – dice Bergoglio – bravo, questo Vescovo, bravo. È stato perseguitato, calunniato e lui fermo, uomo giusto. Per questo, quel giorno in cui andai a Palermo, ho voluto fare sosta prima a Piazza Armerina, per salutarlo; è un bravo Vescovo».

Si può obiettare che Bergoglio non fosse a conoscenza di tutti i risvolti e i dettagli delle coperture evidenti attuate da Gisana per salvare un abusatore seriale, non certo che non conoscesse l’intera vicenda che, infatti, lo spinge a fare svariati riferimenti («È stato perseguitato, calunniato»). In quel saluto così esplicitamente positivo, sembra quasi ci sia la volontà di inviare un messaggio subliminale mentre è in corso una inchiesta. La stessa inchiesta che ha poi portato alla condanna in primo grado di Rugolo a 4 anni e 6 mesi per violenza sessuale a Enna, lo scorso 5 marzo.

«Ci sembrò un chiaro tentativo di influenzare la magistratura – riprende Messina – era il papa a parlare, con un timing perfetto. Il virgolettato fu poi diffuso dalla sala stampa vaticana, da Agensir [l’agenzia della Conferenza episcopale italiana]. È possibile che non sapesse tutto nei particolari ma di certo non ignorava la vicenda, e poi tutta quell’enfasi. Fu per me una delusione enorme, io pensavo che, nonostante gli avessi scritto, lui avesse evitato di esprimersi in attesa della sentenza. In realtà lo fece proprio a caldo e la preoccupazione che quella comunicazione potesse influire sul processo era più che lecita.

Anche per questo, dopo la condanna, ho riscritto al papa inviandogli tutti gli atti del processo nella speranza che possa capire e ricevermi. Il mio rapporto con la Chiesa, dopo tutta questa vicenda, è molto cambiato, gli abusi subiti e tutto il sistema che c’è dietro per coprirli, con uno schema ben preciso, mi hanno ferito nel profondo. La mia fortuna è aver incontrato un sacerdote, don Fausciana [l’unico membro del clero a essersi schierato in difesa di Antonio], che mi ha restituito fiducia. Ora frequento la comunità parrocchiale la domenica, ma è normale che non abbia più fiducia in certi contesti».

A far cambiare radicalmente le cose in molti contesti nel mondo è stata la stampa da una parte, che ha fatto emergere scandali, connivenze e coperture di un sistema rodato da secoli e un’opinione pubblica, composta da fedeli e laici, che ha cominciato ad alzare la voce, dall’altra. Ciò ha permesso a tanti movimenti di vittime e sopravvissuti di costituirsi e richiedere giustizia. In Italia, però, la consapevolezza è ancora minima. «C’è un discorso politico – sostiene Tourn – di cultura e tradizione che qui da noi non fa emergere quasi nulla. […] In altri Paesi ci sono state varie commissioni [in Francia un report ha denunciato abusi su 330mila vittime, in Spagna 440mila], in Italia no e per questo non c’è un movimento dal basso, una presa di consapevolezza della base cattolica e non, che chieda alla Chiesa di rendere conto, così come i governi non hanno mai avuto la volontà di istituire indagini indipendenti. Ripeto spesso che a parte Left, Domani o altri media più piccoli, dobbiamo molto all’incredibile lavoro di Francesco Zanardi fondatore di Rete L’abuso e vittima di abusi: senza di lui e la sua organizzazione si saprebbe ancora meno».

«Ma qualcosa sta cambiando – conclude Messina – e credo che questo podcast, gli articoli che stanno uscendo e il processo stiano facendo la differenza. Alla presentazione de La Confessione a Enna c’era tantissima gente e in un contesto come il nostro non è mai facile: avranno di certo subito rimproveri se non peggio. Per questo continuerò a battermi con tutto me stesso, anche se nessuno riuscirà a darmi quello che mi è stato tolto».

Ph. Vaticano © Giu Vicente

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Luca Attanasio

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