di Luigi Sandri. Redazione Confronti
Il conflitto militare avviato il 7 ottobre 2023 dall’attacco del Movimento di resistenza islamico (Hamas) contro lo Stato ebraico, tra i molti altri e anche più gravi effetti, ha quello di diminuire sensibilmente in quelle zone, e quasi azzerarla, la presenza cristiana.
Il Medio Oriente (più l’Africa mediterranea), e in esso Israele+Palestina, rimarranno senza cristiani? L’ipotesi – storicamente e simbolicamente tremenda – non è verosimile, nel tempo prevedibile, e quindi non pare affatto imminente la temuta catastrofe; ma, certo, vari focolai di guerra in quelle regioni, a partire dal conflitto militare avviato il 7 ottobre 2023 dall’attacco del Movimento di resistenza islamico (Hamas) contro lo Stato ebraico, certamente avranno, tra i molti altri e anche più gravi effetti, quello di diminuire sensibilmente in quelle zone, e quasi azzerarla, la presenza cristiana: non solo dei cattolici dei vari riti (armeno, caldeo, copto, latino, maronita, melkita, siro), ovviamente, ma anche degli ortodossi legati a Chiese in comunione con il patriarcato di Costantinopoli, dei fedeli delle Antiche Chiese Orientali (armeni, siri e copti), e della Chiesa assira dell’Est (“nestoriana”), degli anglicani e dei luterani.
Chi conosca, sia pure sommariamente, la storia, sa l’importanza che, dalla sua nascita, ebbe il Cristianesimo e nell’impero romano d’Oriente: quella realtà, per quanto criticamente considerata, non può essere compresa senza una conoscenza della strutturazione canonica e della sistemazione ecclesiologica stabilite in Oriente dalla tradizione risalente al tempo apostolico e poi, con successivo (e discusso) sviluppo “codificata” dai primi sette Concili ecumenici (il primo fu quello di Nicea, del 325; l’ultimo il Niceno II del 787), tutti celebrati in quello che allora era territorio bizantino, cioè l’Asia minore e la zona di Costantinopoli: tutti, dunque, in un territorio che dal quarto secolo al 1453 fu dell’impero bizantino e, da quella data, dell’impero ottomano che, dissoltosi in seguito alla Prima Guerra mondiale, nel 1923 divenne parte della moderna Repubblica turca.
A cambiare laggiù il panorama politico-religioso, fu, nel settimo secolo, l’apparire dell’Islam e la sua tumultuosa diffusione in territori che oggi sono tutti i Paesi africani rivieraschi del Mediterraneo e poi l’Iran, l’Iraq, la Siria, la Palestina, gli Emirati arabi, l’Arabia saudita; e, dal 1071, con la battaglia di Manzakert, presso il lago di Van, nell’Anatolia orientale, la vittoriosa avanzata dei turchi, provenienti dalle steppe asiatiche. Gran parte di tali Paesi, graniticamente cristiani, divennero graniticamente musulmani.
Nella Palestina, dopo che i Romani, ponendo fine alla prima rivolta ebraica iniziata nel 66 dell’era volgare, nell’estate del 70 posero fine ad essa, conquistando il tempio di Gerusalemme, ed in parte distruggendolo, si avviò anche una grande dispersione (diaspora) da quel territorio, di molti ebrei, che cercarono fortuna e sicurezza in altre terre.
Ma un significativo loro numero rimase in patria, si organizzò, e nel 132 avviò la seconda rivolta ebraica anti-romana, che durò tre anni. Nel 135 l’imperatore Adriano schiacciò definitivamente l’insurrezione e, sperando di farla finita definitivamente contro un popolo che dal 63 prima dell’era volgare, grazie a Pompeo, era in mano romana, prese una decisione quanto mai significativa: per togliere agli ebrei il “vizio” di ricordare, fece abbattere e distruggere scientificamente Gerusalemme, in modo che a poco a poco se ne perdesse la memoria; e sulle sue rovine fece edificare la città pagana di Aelia Capitolina. Sulle mura che la circondavano fece scrivere in latino, greco ed ebraico un avviso: ogni ebreo che avesse osato sistemarsi nella nuova città sarebbe stato messo a morte. I pochi ebrei sopravvissuti al massacro si rifugiarono più a nord del Paese, in zone meno controllate dai vincitori. Già a partire dal IV secolo l’intera Palestina era, per lo più, cristiana, e cristiana bizantina.
Il Concilio di Nicea – città non lontana da Bisanzio – nel 325 fu deciso da Costantino, non dal papa del tempo, Silvestro, per stroncare nell’impero contese religiose che rischiavano di avere pericolose conseguenze politiche. Infatti Ario, un prete di Alessandria d’Egitto, andava dicendo che lassù, in cielo, il Verbo non era uguale al Padre, ma solo simile a Lui: tesi che, secondo molti vescovi, era “eretica”. Senza entrare in sottigliezze teologiche a lui estranee, l’imperatore disse, in sostanza ai vescovi convenuti: «Ditemi quale sia la vera fede cristiana – la Orthodoksia – ed io la farò osservare». Era, nella storia, il primo Concilio ecumenico (cioè rappresentante l’intera terra romana).
La grande Assemblea (circa trecento vescovi, quasi tutti “orientali”: i latini – tra essi i legati di papa Silvestro – erano meno di dieci) proclamò che il Verbo è uguale al Padre: dunque Ario era “eretico”: e l’imperatore lo mandò in esilio, nell’Illirio, insieme ad alcuni discepoli. Per la prima volta il potere imperiale puniva una persona per un “reato” che non esisteva nella legge romana, ma solo nella “ortodossia” dei vescovi cristiani. Avvio di una tremenda “sinfonia” che per secoli legherà Chiesa e Stato.
IL “PESO” DI NICEA
Ma, a parte le questioni dogmatiche, Nicea prese delle decisioni pratiche che lambivano anche gli ebrei. A quel tempo le Chiese cristiane celebravano la Pasqua di Cristo in due date: alcune, soprattutto in Oriente, nella stessa data – il 15 di Nisan – nella quale gli ebrei celebravano il Seder di Pesach; altre, soprattutto in Occidente, la prima domenica dopo il primo plenilunio di primavera. Il Concilio rese obbligatoria per tutti la seconda ipotesi. Ora, approvando questa scelta, Costantino (che formalmente era ancora pagano: si farà battezzare sul letto di morte il 22 maggio del 337) commentò: era davvero opportuno che il Concilio respingesse il calendario ebraico della Pasqua, dato che gli ebrei hanno ucciso Gesù, Figlio di Dio. Era, in nuce, l’accusa di “deicidio” che tremende sventure avrebbe provocato contro gli ebrei nell’Occidente (e in parte dell’Oriente) diventati ufficialmente cristiani.
Ma se, dall’”editto” di Milano del 313, formulato dall’Augusto d’Occidente, Costantino, e da quello dell’Oriente, Licinio, il Cristianesimo era religio licita (insomma era legale essere pagani o cristiani), tutto si avvierà ad un radicale cambiamento dopo che il 27 febbraio 380 l’Agusto d’Oriente, Teodosio, con l’editto Cunctos populos, emanato a Tessalonica (Salonicco), stabilì che tutti i cittadini dell’impero dovevano essere cristiani. Chi non lo fosse, dunque, era nemico della Chiesa e dello Stato. Dunque, guai per gli ebrei, e per gli “eretici”, tali definiti dal potere ecclesiastico.
La decisione di Teodosio, che andava maturando a poco a poco, rischiò di non arrivare mai, se vent’anni prima non fosse stato stroncato, nel fiore dell’età, l’imperatore Giuliano. Quando questi, nel 361, raggiunse l’apice del potere politico, a Costantinopoli i cristiani lo etichettarono come l’apostata (aggettivo qualificativo polemicamente addossato a lui per aver egli, nato – forse – cristiano, tentato di restaurare il Paganesimo sempre più in crisi). Egli non voleva guerre di religione (come quelle che infuriavano, seppure solo con scontri verbali, tra “ariani “ e “anti-ariani”); ebbe perfino l’idea di favorire la ricostruzione del tempio ebraico di Gerusalemme: ma l’ipotesi, fosse o no realistica, svanì, perché dopo soli due anni di regno, nel 363 partì per sgominare i Persiani che insidiavano i confini orientali dell’impero: ma, colpito da un giavellotto, presso il fiume Tigri, dopo poche ore di agonia, morì. Era il 26 giugno di quell’anno.
Senza che nessuno lo prevedesse, con lui scompariva Il tentativo di difendere il Paganesimo. E, appunto vent’anni dopo la sua scomparsa, Teodosio compirà la curvatura del cerchio, e l’impero bizantino sarà un antemurale per la difesa del Cristianesimo. Gerusalemme diverrà una città sempre più cristiana, caratterizzata da imponenti chiese; anche altri “luoghi santi” sparsi nella città, o nella Palestina (legati ed eventi riguardanti Gesù, la Madonna, gli apostoli) saranno, per quanto possibile, custoditi. E, in seguito del Concilio ecumenico di Calcedonia, del 451, Gerusalemme diverrà patriarcato, ultimo in Oriente dopo Costantinopoli, Antiochia ed Alessandria d’Egitto. I quattro orientali, più l’unico di Occidente, quello di Roma, secondo molti bizantini, avrebbe dovuto governare, con la Pentarchia, l’intero mondo cristiano.
ARRIVA L’ISLAM
Pochi anni dopo la morte del profeta Muhammad (632), gli arabi conquistatori diffonderanno rapidissimamente l’Islam in tutto il Medio Oriente e l’Africa mediterranea: in altre parole, Paesi massicciamente cristiani legati all’impero bizantino in breve si convertono alla nuova religione: e se in Iraq, in Libano e in Siria una parte significativa dei cristiani tale rimarrà, sulla costa africana del “Mare Nostrum” il Cristianesimo, salvo in Egitto, si ridurrà a piccolissime minoranze. E Gerusalemme? Siccome le truppe bizantine, impaurite, nel 636 fuggono di fronte agli arabi, con la mediazione del patriarca cristiano la città si arrende, e i musulmani la occupano senza colpo ferire. A Gerusalemme il numero dei musulmani crescerà sempre più, e in capo a circa due secoli essa formalmente diventa la terza città dell’Islam. Perché?
La Bibbia (Genesi, cap 22) parla del famoso e incompiuto “sacrificio” di Abramo, cioè l’uccisione del figlio Isacco: il fatto – che infine si conclude senza sacrificare Isacco – avviene in un monte nel territorio di Moira. Molti anni dopo, sempre su quella collina che delimita ad est Gerusalemme (II Cronache, 3,1) Salomone inizia la costruzione del grande tempio ebraico. Questa magnifica costruzione nel 587 prima dell’era volgare verrà distrutta dal re caldaico Nabucodonosor, che poi deporterà migliaia di ebrei a Babilonia. Nel 539 il re persiano Ciro batte i caldei ed entra vittorioso nella città: l’anno dopo egli permetterà agli esuli ebrei che lo vogliano di tornare in patria. E ed essi, mescolandosi con i loro fratelli che erano rimasti nel regno di Giuda, cercheranno di far rivivere il Paese, e verso il 520 ricostruiranno il tempio. Mezzo millennio dopo, qualche anno prima della nascita di Gesù, questo edificio sarà ampliato, con portici e scalinate, proprio da Erode il grande. E sarà questo edificio ampliato che i Romani distruggeranno, in gran parte, nell’estate del 70, ponendo fine così alla prima grande rivolta antiromana degli Ebrei.
I pochi ebrei rimasti in Palestina; quelli che, sopravvissuti al disastro del 70 si avvieranno per la seconda grande diaspora nel bacino del Mediterraneo, e gli altri che da secoli vivevano lontani dalla patria (come la fervente colonia di Alessandria d’Egitto), penseranno sempre con immensa nostalgia al tempio distrutto. Di esso non era rimasto praticamente nulla: solo il muro occidentale dell’antemurale che teneva salda la collina dove un giorno sorgeva il tempio.
A partire dalla seconda metà del sesto secolo, gli arabi dal 636, ormai ai padroni assoluti di Gerusalemme, pensarono di radicare la loro presenza in città proprio innestando la loro storia religiosa sui luoghi già sacri agli ebrei (e ai cristiani, perché Gesù aveva pregato nel tempio di Gerusalemme). E così, entro due secoli, sulla spianata – ora vuota – ove sorgeva il tempio, costruirono la grande moschea al-Aqsa e la Cupola della Roccia che, affermano, è intrinsecamente legata alla vita e alla missione del profeta Muhammad. Infatti, basandosi sulla sura (capitolo) 17 del Corano, essi ritengono che, nella notte del mistero il loro profeta, per volontà di Allah, fece un misterioso viaggio notturno, dalla Mecca alla Spianata di Gerusalemme: qui pregò ove aveva pregato Abramo, e da essa spiccò il volo verso l’Alto dei cieli, vide il trono dell’Altissimo e infine fu riportato sulla terra. Per questa ragione Gerusalemme (in arabo al-Quds, cioè “la Santa”) da tutti i musulmani è ritenuta la terza città santa dell’Islam, dopo la Mezza e Medina che videro gli inizi della predicazione del profeta.
Gli arabi in Palestina trattarono bene, in generale, gli ebrei ed i cristiani, che però dovevano pagare una tassa per poter praticare la loro religione. Ma sul finire del millennio i conquistatori iniziarono a vessare i cristiani, profanando anche la chiesa del Santo Sepolcro. Questo fatto commosse l’Occidente cristiano ove, infine, al grido di “Deus lo vult” (Dio lo vuole) con il Concilio di Clermont, in Francia, papa Urbano II indisse la Prima crociata che, dopo una complessa preparazione, finalmente il 15 luglio 1099 conquistò Gerusalemme. Nell’arco di due secoli seguirono altre spedizioni militari occidentali per debellare in Terra santa gli “infedeli”: alcune in parte vittoriose e altre inconcludenti: infine, nel 1291 i mamelucchi – arabi provenienti dall’Egitto – presero san Giovanni d’Acri, l’ultimo scampolo del potere cristiano in Terra santa. Le Crociate erano fallite.
Però… Con il consenso musulmano, nel 1333 inizia il lavoro della Custodia di Terra santa: il sultano egiziano – che controllava quella zona – consente che i Frati francescani si prendano cura dei Luoghi santi della Palestina e dei pellegrini che dall’Occidente là si recano: prezioso impegno che dura a tutt’oggi nei due territori che adesso si chiamano Israele e (ma non indipendente), Palestina. Infine… questa nel 1516 cade sotto il dominio ottomano: e vi resterà fino alla prima Guerra mondiale: nel 1917 inizierà laggiù il potere inglese. Sotto il Mandato britannico si acuirà il contrasto tra gli ebrei già residenti – alcuni da sempre – in Palestina, più quelli che continuano sempre più ad arrivare dall’estero, e gli arabi (all’alba del Novecento assai più numerosi degli ebrei) da secoli residenti nel paese. Durate la Seconda Guerra mondiale, il Führer nazista Adolf Hitler ordina, nei territori in Europa occupati dai tedeschi, o ad essi alleati, la distruzione totale degli ebrei: è la Shoah con i suoi sei milioni di vittime.
Che fare, poi, della Palestina? La domanda interpella il Dopoguerra. Il 29 novembre 1947 l’Assemblea delle neonate Nazioni Unite decide la spartizione in tre parti del Paese già sotto Mandato britannico: uno Stato ebraico e uno Stato arabo (non dice “palestinese”), e poi Gerusalemme corpus separatum gestito direttamente dall’Onu . Gli ebrei accettano la proposta, i Paesi arabi la rifiutano. Il seguito della vicenda è ben noto….
Oggi l’intera Città santa è in mano israeliana; tuttavia la Spianata delle Moschee è di fatto in mano musulmana (attraverso la Giordania che nel 1994 firmò la pace con Israele. Il “Muro del pianto” è in mano israeliana).
I RAPPORTI TRA CHIESA ROMANA ED EBRAISMO
Il Concilio Vaticano II si occupò – con un dibattito storicamente e teologicamente drammatico – degli ebrei, ben consapevole delle responsabilità della Chiesa romana (ma anche delle altre, in Oriente e in Occidente) per le persecuzioni dei cristiani contro gli ebrei che duravano da secoli. Infine, il 28 ottobre 1965, nel numero 4 della dichiarazione Nostra aetate sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane, l’Assemblea affermerà:
«Come attesta la sacra Scrittura, Gerusalemme non ha conosciuto il tempo in cui è stata visitata… Tuttavia secondo l’Apostolo, gli Ebrei, in grazia dei padri, rimangono ancora carissimi a Dio, i cui doni e la cui vocazione sono senza pentimento… E se autorità ebraiche con i propri seguaci si sono adoperate per la morte di Cristo, tuttavia quanto è stato commesso durante la sua passione, non può essere imputato né indistintamente a tutti gli Ebrei allora viventi, né agli Ebrei del nostro tempo. E se è vero che la Chiesa è il nuovo popolo di Dio, gli Ebrei tuttavia non devono essere presentati come rigettati da Dio, né come maledetti, quasi che ciò scaturisse dalla sacra Scrittura… La Chiesa inoltre, che esecra tutte le persecuzioni contro qualsiasi uomo, memore del patrimonio che essa ha in comune con gli Ebrei, e spinta non da motivi politici, ma da religiosa carità evangelica, deplora gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell’antisemitismo dirette contro gli Ebrei in ogni tempo e da chiunque».
Paolo VI, nel 1964 fu il primo papa a recarsi pellegrino in Terra santa, in particolare a Gerusalemme; lo stesso hanno poi fatto Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco. Intanto il 30 dicembre 1993, a Gerusalemme sarà firmato un Accordo fondamentale il cui preambolo afferma: «La Santa Sede e lo Stato d’Israele, memori del significato universale della Terra Santa; – consapevoli della natura unica delle relazioni tra la Chiesa cattolica e il popolo ebraico, e del processo storico di riconciliazione e di crescita nella comprensione reciproca e nell’amicizia tra cattolici ed ebrei; avendo deciso il 29 luglio 1992, di istituire una Commissione bilaterale permanente di lavoro, al fine di studiare e definire insieme i punti di comune interesse, e nella prospettiva di una normalizzazione delle loro relazioni… hanno firmato questo Accordo». L’anno successivo furono stabiliti rapporti diplomatici tra le Parti, con un delegato apostolico per Gerusalemme e Palestina (di fatto, un nunzio), e un ambasciatore d’Israele presso la Santa Sede.
Per quanto riguarda i Luoghi santi cristiani, Israele si impegna a garantire lo status quo già stipulato dai turchi ottomani nell’Ottocento.
il 26 giugno 2015 a Roma sarà firmato l’Accordo Globale tra lo Stato di Palestina e la Santa Sede, che sviluppava ulteriormente l’Accordo Base firmato tra l’Olp e la Santa Sede nel 2000. Le disposizioni dell’Accordo abbracciano la visione comune delle due Parti a favore della pace e della giustizia nella regione, la protezione delle libertà fondamentali, lo status e la protezione dei Luoghi Santi, e i mezzi per rafforzare e promuovere la presenza e le attività della Chiesa cattolica nello Stato di Palestina.
«Per la prima volta – si precisa in Vaticano – l’Accordo include un riconoscimento ufficiale della Palestina come Stato da parte della Santa Sede, quale segno di riconoscimento del diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione, alla libertà e dignità in un proprio Stato indipendente libero dalle catene dell’occupazione. Esso appoggia anche la visione a favore della pace e della giustizia nella regione, conformemente con il diritto internazionale, sulla base di due Stati [Israele e Palestina], che vivono uno accanto all’altro in pace e sicurezza sulla base delle frontiere del 1967. L’Accordo rafforza il nostro legame con disposizioni nuove e senza precedenti connesse con lo status speciale della Palestina quale luogo di nascita del cristianesimo e culla delle religioni monoteiste. Esso incarna i nostri valori comuni di libertà, dignità, tolleranza, coesistenza e uguaglianza di tutti. Ciò avviene in un momento nel quale l’estremismo, la violenza barbara e l’ignoranza minacciano il tessuto sociale e l’identità culturale della regione e sicuramente del patrimonio umano. In questo scenario lo Stato di Palestina reitera il proprio impegno a combattere l’estremismo e a promuovere la tolleranza, la libertà di coscienza e di religione e a salvaguardare nello stesso modo i diritti di tutti i suoi cittadini. Questi sono i valori e i principi che riflettono le convinzioni e le aspirazioni del popolo palestinese e della sua leadership e sono le basi sulle quali continuiamo a sforzarci di fondare il nostro Stato indipendente e democratico».
I palestinesi rivendicano come capitale del loro costituendo Stato la parte Est di Gerusalemme (occupata da Israele con la Guerra dei sei giorni del 1967; prima era in mano giordana) ma la Knesset – il parlamento israeliano – nel 1980, malgrado il dissenso dell’Onu, proclamò l’intera città “capitale eterna ed indivisibile di Israele”.
PALESTINESI CRISTIANI
Dal punto di vista numerico, i palestinesi sono massicciamente musulmani; vi è però una significativa minoranza cristiana (ortodossi, anglicani, luterani, armeni, siri, melkiti, maroniti) che, nell’insieme, tra Cisgiordania e Gaza, arriva a circa l’1,5% della popolazione. Dopo il 7 ottobre 2023, i bombardamenti israeliani hanno mezzo distrutto una chiesa cattolica nella Striscia, dove vivevano circa tre mila cristiani: greco-ortodossi, soprattutto, e poi anglicani e cattolici latini. In Israele, a parte i cittadini provenienti dal Nordamerica e dall’Europa là per lavoro, i cristiani sono alcune migliaia: latini, melkiti, armeni, anglicani, luterani. Là – dove molti ebrei sono “religiosi” (ritengono che, secondo le Scritture, Dio stesso abbia affidato a loro quella terra) e molti invece “laici” che considerano Israele una garanzia storica per la loro salvezza – vi sono anche alcune migliaia di ebrei cristiani, cioè “ebrei-doc” che hanno aderito alla Chiesa anglicana, a quella luterana e anche – circa quattrocento – alla Chiesa cattolica. Ovviamente, un ebreo che in Israele si proclami cristiano suscita molta sorpresa, curiosità o anche ostilità.
A Gerusalemme vi sono tre patriarcati cristiani: il greco-ortodosso , l’armeno e il latino (oggi guidato da Pierbattista Pizzaballa, nel 2013 creato cardinale da Francesco). Ad essi, soprattutto, è affidata l’applicazione dello “status quo” per i Luoghi santi cristiani.
Data la gravissima situazione geopolitica, e la guerra in corso, la pur modesta, ma generosa, presenza cristiana, resisterà a Gerusalemme e dintorni, o sarà residuale ? Là ove cominciò, il Cristianesimo diverrà un lontano ricordo? O si rafforzerà? Lo diranno i prossimi anni.
Ph. Saint Porphyrius Church in Gaza City © Dan Palraz/ Wikimedia Commons
Luigi Sandri
Redazione Confronti