Intervista a Wasim Almasri (Allmep) a cura di Michele Lipori (Redazione Confronti)
Intervistiamo Wasim Almasri, palestinese, direttore dei programmi dell’Alleanza per la pace in Medio Oriente (Allmep), una coalizione di oltre 170 organizzazioni che mirano alla cooperazione interpersonale, all’uguaglianza, alla società condivisa, alla comprensione reciproca e alla pace tra le loro comunità.
Wasim Almasri è il direttore dei programmi dell’Alleanza per la pace in Medio Oriente (Allmep), una coalizione di oltre 170 organizzazioni che mirano alla cooperazione interpersonale, all’uguaglianza, alla società condivisa, alla comprensione reciproca e alla pace tra le loro comunità. Prima di entrare in Allmep, ha ricoperto il ruolo di Direttore delle comunicazioni per OneVoice Palestine – un’organizzazione che sostiene gli attivisti per la pace in Israele, Palestina e a livello internazionale – e successivamente di vicedirettore della Zimam Fundation – un movimento giovanile che sfida lo status quo –, entrambi membri di Allmep. Almasri è un rifugiato palestinese di terza generazione, nato e cresciuto tra Libano, Siria e Gaza. Vive con la moglie e i 4 figli a Ramallah.
Qual è la causa della nuova ondata di violenze iniziata il 7 ottobre 2023?
L’attacco condotto da Hamas contro Israele ha provocato la morte di quasi 1200 israeliani e una crisi degli ostaggi. In seguito all’attacco, Israele ha lanciato una guerra a Gaza provocando la morte di quasi 40.000 palestinesi, la distruzione di Gaza e una nuova crisi di rifugiati. Ciò che ha spinto Hamas a lanciare l’attacco può essere attribuito a molteplici fattori socio-politici, ma soprattutto, a mio avviso, la colpa è dell’assenza di un orizzonte politico. L’assenza di un orizzonte politico unita all’occupazione in corso, all’espansione degli insediamenti, alle ripetute violazioni dei diritti umani palestinesi e alla mancanza di progressi nei negoziati. L’innesco immediato deriva da provocazioni o escalation avvenute a Gerusalemme, Gaza o in Cisgiordania, ma le cause sottostanti sono radicate in decenni di conflitto, disuguaglianza sistemica e rivendicazioni irrisolte.
Qual è la situazione e i sentimenti della popolazione palestinese (in Cisgiordania ma anche nella Striscia di Gaza) dopo questi fatti?
È molto difficile da descrivere, ma sicuramente la popolazione palestinese è invasa da strati di paura, rabbia e disperazione. La guerra a Gaza, unita ai raid dell’esercito israeliano in Cisgiordania e all’ondata di attacchi da parte dei coloni contro i palestinesi, ha portato a perdite senza precedenti in termini vite umane, distruzione di infrastrutture e una crisi umanitaria sempre più profonda, soprattutto a Gaza. C’è un diffuso senso di frustrazione per la mancanza di azione internazionale e per la percepita impunità delle azioni del governo israeliano. Molti palestinesi avvertono un senso di abbandono da parte della comunità internazionale e chiedono maggiore solidarietà e sostegno per i loro diritti e aspirazioni.
Qual è la reazione della politica palestinese? Hamas è uscita rafforzata o indebolita?
È una domanda difficile. Da un lato, Hamas potrebbe aver guadagnato sostegno poiché è visto da alcuni come un “movimento di resistenza” che si oppone all’aggressione israeliana. Tuttavia, la guerra a Gaza ha portato notevoli sofferenze al popolo palestinese, il che può portare a critiche nei confronti delle tattiche e delle strategie di Hamas. È probabile che il panorama politico sia più polarizzato, con un maggiore sostegno a posizioni più militanti tra alcuni segmenti della popolazione, mentre altri potrebbero richiedere una rinnovata attenzione agli strumenti diplomatici per porre fine alla guerra e raggiungere la pace e l’autodeterminazione.
Cos’è l’Alleanza per la Pace in Medio Oriente?
L’Alleanza per la Pace in Medio Oriente (Allmep) è una rete di oltre 170 organizzazioni che promuovono la pace e la cooperazione tra israeliani e palestinesi. Le nostre comunità sono costituite da un’ampia gamma di organizzazioni della società civile palestinese e israeliana che lavorano su iniziative interpersonali, promuovono il dialogo, la giustizia, l’uguaglianza e la collaborazione tra le comunità. Allmep mira a sostenere e centrare le voci dei costruttori di pace palestinesi e israeliani e gettare le basi per una pace giusta e sostenibile.
Quali sono le azioni che Allmep ritiene necessarie per avviare un vero processo di pace?
Rafforzare ed espandere i programmi interpersonali che promuovono la solidarietà e la lotta congiunta per la parità di diritti, ponendo fine all’occupazione e alla pace e alla sicurezza per entrambi i popoli. Sostenere maggiori finanziamenti internazionali e sostenere le iniziative della società civile che promuovono la pace. Fare pressione affinché si attivino azioni diplomatiche internazionali che abbiano ricadute sulla leadership sia israeliana che palestinese affinché ritornino a dialogare e elaborare negoziati che abbiano senso per le due popolazioni. Promuovere un’educazione che sfidi gli stereotipi e insegni la risoluzione dei conflitti e la costruzione della pace basata sul rispetto del punto di vista (e del dolore) dell’altro.
L’ipotesi di una “soluzione a due Stati” è ancora percorribile?
È un’idea sempre più messa alla prova dall’espansione degli insediamenti israeliani in Cisgiordania e dalla realtà politica; tuttavia, molti credono ancora che sia la soluzione più praticabile (pragmatica) per una pace duratura e sostenibile. Penso però che ciò richiederà una significativa volontà politica, compromessi da entrambe le parti e un solido sostegno internazionale per affrontare questioni fondamentali come i confini, lo status di Gerusalemme, la sicurezza e i diritti dei rifugiati.
Quale sarà il futuro di Gaza?
Il futuro di Gaza è fortemente incerto e dipendente dal contesto politico più ampio. Nel breve termine è necessario concentrarsi sulla gestione della crisi umanitaria, sulla garanzia della fornitura di aiuti e sulla ricostruzione delle infrastrutture. Nel lungo termine, il futuro di Gaza è legato alla risoluzione politica del conflitto. Una soluzione sostenibile dovrebbe comportare la rimozione del blocco e l’integrazione di Gaza in quadri economici e politici più ampi. Credo sinceramente che la società civile debba essere al centro di tutto questo e svolgere un ruolo significativo nel periodo di transizione.
Qual è il ruolo della società civile israeliana nel processo di pace?
La società civile israeliana dovrebbe impegnarsi a sostenere la pace, i diritti umani e la giustizia. Man mano che si rafforzerà la difesa di questi valori, il suo compito diventerà sempre più importante per aiutare a costruire ponti tra le comunità, sfidare le politiche governative che perpetuano la violenza e mantenere viva la visione della pace nel discorso pubblico israeliano.
Le religioni possono aiutare a risolvere il conflitto israelo-palestinese?
Le religioni possono certamente svolgere un ruolo significativo nella risoluzione del conflitto promuovendo valori di pace, giustizia e uguaglianza. Abbiamo sperimentato casi in cui leader e comunità religiose hanno sfruttato la loro influenza per sostenere la nonviolenza, soprattutto a Gerusalemme. Penso che le iniziative di dialogo interreligioso possano aiutare ad abbattere i pregiudizi e costruire un terreno comune, ma soprattutto a contrastare l’estremismo religioso e le interpretazioni che alimentano la violenza. Tuttavia – e questo mio pensiero potrebbe non trovare molto consenso –, sono convinto che qualsiasi impegno religioso dovrebbe essere accompagnato da un impegno a favore dei diritti umani e di soluzioni politiche al fine di contribuire alla risoluzione del conflitto che sia reale e sostenibile per entrambe le parti in causa.
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