Il lungo autunno del ‘44. La Resistenza e noi, ottant'anni dopo. - Confronti
Home Società Il lungo autunno del ‘44. La Resistenza e noi, ottant’anni dopo.

Il lungo autunno del ‘44. La Resistenza e noi, ottant’anni dopo.

by Roberto Bertoni Bernardi

di Roberto Bertoni Bernardi. Giornalista e scrittore.

Il 1944 è stato, probabilmente, l’anno peggiore nella storia del nostro Paese. A otto decenni di distanza abbiamo il dovere di ricordare la Resistenza dei partigiani mentre si iniziava a immaginare un’altra Italia, quella che faticosamente è arrivata fino a oggi. 

Il 1944 è stato, probabilmente, l’anno peggiore nella storia del nostro Paese. A otto decenni di distanza, e mentre il morbo del fascismo si riaffaccia prepotentemente nella società, abbiamo il dovere di ricordare ciò che è stato. Forno, San Terenzo Monti, Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema: sono solo alcuni dei nomi delle tante località che subirono le atrocità naziste, un autentico sterminio che non risparmiò nessuno, nemmeno donne e bambini. Ed è bene non dimenticare il sacrificio di figure eroiche come i martiri di Fiesole, i tre carabinieri vicini alla Resistenza che, il 12 agosto del 1944, si consegnarono spontaneamente ai tedeschi per salvare la vita a dieci civili e furono fucilati al posto loro.Non dimenticheremo mai quei dodici mesi: Roma città aperta, l’eccidio delle Ardeatine ma, soprattutto, la Resistenza dei partigiani e delle staffette sulla Linea gotica, mentre si ricostituivano i partiti che il fascismo aveva posto fuori legge e si iniziava a immaginare un’altra Italia, quella che faticosamente è arrivata fino a oggi.

IMPARARE DALLA STORIA

Mi domando, e sinceramente non è retorica, se sia rimasto qualcosa di quella lezione, se l’Italia sia ancora degna di quelle battaglie e di quei sacrifici. E forse non è tanto il fascismo di ritorno a fare paura, quanto l’ignoranza relativa a quello originario, come se tutto fosse stato dimenticato, come se quella lezione e quelle speranze fossero andate perdute, come se di quell’idea d’Italia non fosse rimasto più nulla. Stiamo subendo una mutazione antropologica inquietante, nella quale si compiono con eccessiva nonchalance equiparazioni che costituiscono un insulto alla Storia e alla dignità della Patria (a farsi chiamare “patrioti” erano proprio i partigiani), con conseguenze imponderabili per il nostro stare insieme. 

Sosteneva Calamandrei che se i giovani avessero voluto comprendere dove fosse nata la nostra Costituzione, si sarebbero dovuti recare nei luoghi in cui avevano combattuto, erano stati torturati ed erano morti i partigiani. Ebbene, l’impressione che ricaviamo è che siano proprio questi i valori che si vogliono calpestare, mentre assistiamo a un progressivo sdoganamento di frasi, riferimenti e personaggi su cui il giudizio storico è inequivocabile. Non possiamo permetterlo. Non possiamo accettare, infatti, che, col passare del tempo, vengano meno i punti di riferimento su cui si fonda il nostro stare insieme, le basi imprescindibili del nostro essere comunità. Affinché ciò non accada, dobbiamo ricordare alcuni nomi. Don Giovanni Fornasini, ad esempio, il parroco di Sperticano (frazione di Marzabotto), nativo di Pianaccio, lo stesso comune in cui era nato Enzo Biagi. Volle farsi fucilare insieme ai suoi parrocchiani dopo averli più volti difesi e aver salvato la vita ad alcuni di loro. La sua fu un’esistenza all’insegna di un’idea di pace e di carità. Soffrì insieme alla sua gente e ne condivise il destino. Oggi è Medaglia d’oro al valor militare ed è solo uno dei simboli di quella stagione di dolore ma, al tempo stesso, di rinascita. Sempre da quelle parti, infatti, combatté Capitan Toni, al secolo Antonio Giuriolo, che proprio Enzo Biagi ricordò sul secondo dei tre numeri del periodico Patrioti: «So poco di Toni, poche volte l’ho incontrato. Ma mi sembra di averlo conosciuto da tempi tanto lontani, perché in lui trovavano vita quegli ideali che animano i sogni dei giovani, perché c’era nel suo gesto, nella sua frase, un inestimabile calore umano.  È difficile parlare di chi non è più, di chi è scomparso combattendo: retorica e iperbole falsano la purezza della parola. Ma di Toni si può con verità dire che la sua vita e la sua morte onorano il nostro Paese, che l’Italia ha perso con lui un figlio che della sua devozione ha testimoniato con la vita».

Checco Berti, compagno di brigata di Biagi, invece, ricordò in un articolo Rossano Marchioni, nome di battaglia Binda, assassinato a Ronchidoso il 29 settembre del 1944. Aveva diciott’anni e Berti scrisse di lui: «“Binda” è morto, fucilato sull’aia di Ronchidoso. Chi lo ha veduto, mi dice che è rimasto sereno, calmo fino all’ultimo. E così, sereno e fiducioso, lo penso e lo rivedo come quando sotto la pioggia snervante di Pian Cavallaro con la sua voce tranquilla insegnava a me, ragazzo di diciott’anni, come si supera con coraggio l’avversità. Lui, uomo di diciott’anni». Dell’eccidio di San Terenzo Monti, invece, se n’è occupata di recente la direttrice del Quotidiano Nazionale, Agnese Pini, intrecciando ricostruzione storica e vicende familiari, in un commovente affresco intitolato Un autunno d’agosto in cui, insieme alla storia della sua bisnonna, Palmira Ambrosini, è racchiuso il dramma di un Paese sotto assedio, costretto a subire rastrellamenti, fucilazioni e barbarie d’ogni sorta e a vedere la propria “meglio gioventù” cadere sotto i colpi delle mitragliatrici nazifasciste. Come detto, non possiamo, non dobbiamo dimenticare. Non adesso, mentre si avvicina l’ottantesimo anniversario della Liberazione e un nuovo orrore fa da padrone nel mondo. 

AVERE VENT’ANNI

Restando nell’ambito italiano va detto, senza polemiche, che una classe dirigente che non riesce a definirsi antifascista non fa onore al giuramento che ha prestato sulla Costituzione, che è il programma politico della Resistenza e che dell’Antifascismo ne costituisce il baluardo. Spiace dirlo, ma in alcuni ambiti c’è un contrasto stridente fra le parole e i fatti, tra i proclami pubblici e il pensiero effettivo, fra le celebrazioni ufficiali e ciò che emerge da alcune mirabili inchieste giornalistiche che mettono a nudo la contiguità fra essi e idee che non possono avere spazio in una democrazia matura.

Ai ragazzi di allora, ancora Biagi dedicò un editoriale intitolato Vent’anni. Apparve sull’ultimo numero di Patrioti e ci restituisce il senso di quella lotta e della sua attualità: «E i ragazzi lasciarono le case e andarono sui monti. Lasciarono la loro giovinezza che non aveva e non avrebbe mai più trovato la sua stagione. Videro la morte ed uccisero, seppero la crudeltà e l’amore, la disperazione e la speranza. Offrirono i loro vent’anni per avere una certezza, una fede che li sollevasse. La trovarono in un nome: libertà. Li sostenne nei giorni duri; li animerà se dovranno ancor combattere perché nessuno tolga – agli uomini di vent’anni già vecchi – quella libertà che fu spesso la sola fiamma per riscaldare la loro inesistente giovinezza». Questo è stato ed è bene rileggere tali riflessioni, perché oggi, alla luce dello scempio cui stiamo assistendo ovunque, non abbiamo più la certezza che non accada di nuovo.

Consentitemi, infine, una notazione personale. Chi scrive appartiene alla generazione cui era stato raccontato che avremmo vissuto nell’Europa dei ponti e in un mondo di pace. Se volete trovare le ragioni del non voto e del disagio esistenziale, dunque, cercatele qui.

Ph. Monumento alla Resistenza (Ancona) © Beta16, Public domain, via Wikimedia Commons

Picture of Roberto Bertoni Bernardi

Roberto Bertoni Bernardi

Scrittore e giornalista

Abbonati ora!

Solo 4 € al mese, tutta Confronti
Novità

Seguici sui social

Articoli correlati

Lascia un commento

Scrivici
Send via WhatsApp