di Michele Lipori. Redazione Confronti.
L’economia israeliana è sotto pressione a causa della guerra più lunga e costosa nella storia del Paese, che ha portato addirittura a un declassamento del suo rating creditizio da parte dell’agenzia statunitense Moody. Secondo i dati della Banca di Israele, i costi della guerra potrebbero raggiungere 250 miliardi di shekel (più di 60 miliardi di euro) entro la fine del prossimo anno, pari a circa il 12% del Pil di Israele; inoltre si prevede che – in relazione all’aumento della spesa per la Difesa – il deficit di bilancio di Israele raddoppi fino all’8% del Pil. Le proiezioni di crescita economica per Israele sono scese dall’aspettativa iniziale del 3,4% a una forbice compresa tra l’1% e l’1,9%. Inoltre, il settore tecnologico, che rappresenta il 20% dell’economia d’Israele, rischia di subire danni a lungo termine, inclusa una massificata “fuga di cervelli”.
Le piccole e medie imprese stanno chiudendo a un ritmo accelerato, con stime elaborate da Coface BDi – una delle principali società di analisi aziendale in Israele – che parlano di 60mila chiusure nel 2024. Ma anche il rapporto con i “vicini” palestinesi ha una grossa influenza sull’economia israeliana: anche a causa della mancanza di manodopera palestinese, infatti, la produzione agricola in Israele ha subito una flessione del 25%.
Inoltre, la mobilitazione militare (con una chiamata alle armi di circa 300mila riservisti) ha causato una significativa perdita di forza lavoro, riducendo l’operatività delle aziende. In risposta, sono state implementate nuove strategie di adattamento, come il lavoro da remoto e l’istituzione di fondi per supportare le aziende rallentate dalla guerra, ma rimangono preoccupazioni sulla fiducia degli investitori e sulla sostenibilità a lungo termine del settore in cui si rileva un calo del 55% nella mobilitazione di capitali per startup “ad alto rischio”.
Ma se la situazione in Israele desta preoccupazione, a Gaza è semplicemente devastante a causa della disoccupazione (oltre l’80%), della crisi umanitaria e della mancanza di fonti di reddito, mentre Le Monde registra un aumento dei prezzi di circa il 250% in un anno. Ma anche in Cisgiordania la disoccupazione è alle stelle e l’Autorità Palestinese (Anp) è sull’orlo del collasso finanziario, soprattutto a causa del fatto che Israele trattiene le tasse doganali che dovrebbe trasferire all’Anp, causando un’ulteriore crisi fiscale.
La Cisgiordania è inoltre altamente dipendente dall’esterno e da Israele in particolare, con il 64,1% del commercio estero diretto verso di esso. Attualmente, solo il 2,3% dei lavoratori palestinesi di Cisgiordania sono impiegati in Israele, il che rappresenta un drastico calo rispetto al 22%, precedente agli attacchi del 7 ottobre 2023.
Il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha indicato che il Pil di Gaza si è ridotto di quasi il 90% a causa dei continui bombardamenti israeliani che hanno gravemente inficiato i mezzi di sussistenza della popolazione civile e contribuito a una crisi umanitaria caratterizzata da condizioni socioeconomiche disastrose e da una insufficiente fornitura di aiuti umanitari.
La risposta della comunità internazionale alla crisi economica di Gaza è stata multiforme, concentrandosi su aiuti umanitari immediati, sforzi di ripresa a lungo termine e richieste di cambiamenti strutturali. Organizzazioni come l’International Rescue Committee (Irc) stanno fornendo attivamente cure mediche di emergenza e forniture alimentari a Gaza e nonostante il perdurare della guerra, sono riusciti a fornire servizi essenziali e sostegno alle famiglie sfollate, compresi servizi di salute mentale e programmi nutrizionali.
Si tratta di però di una goccia nel mare e la situazione rimane critica a causa del fatto che le possibilità di intervento nella Striscia di Gaza sono molto limitate: pertanto le Nazioni Unite hanno evidenziato l’urgente necessità di assistenza umanitaria, sottolineando che un cessate il fuoco è fondamentale per assicurare che gli aiuti internazionali giungano a destinazione. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha chiesto inoltre il libero accesso agli aiuti umanitari, sottolineando che le condizioni attuali sono letteralmente “insostenibili” per la popolazione civile.
Una situazione drammatica, che – oltre all’enorme costo in termini di vite umane – rappresenta un ulteriore fattore di inasprimento del conflitto.
Ph. Gaza © Mohammed Ibrahim via Unsplash

Michele Lipori
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