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Mon Inséparable: genitorialità e disabilità

di Anne Sophie Bailly

Anne-Sophie Bailly. Regista

Intervista a cura di Valeria Brucoli. Redazione Confronti.

Dopo essere stato presentato nella sezione Orizzonti di Venezia 81,
Mon Inséparable è arrivato in concorso alla XXVIII edizione del Tertio Millennio Film Fest, dal titolo “Uomo, dove sei?”, che si è tenuto a Roma dall’’11 al 16 novembre. Qui abbiamo incontrato la regista del film Anne-Sophie Bailly.

Mon Inséparable è incentrato sul rapporto tra Mona e suo figlio Joël, affetto da un lieve ritardo mentale. Pur essendo adulto, Joël è legato alla madre, con la quale vive nella periferia di Parigi, da un rapporto di interdipendenza quasi simbiotico. A turbare il loro equilibrio la notizia che Joël, nella struttura specializzata che frequenta assiduamente, ha incontrato una ragazza, Océane, anche lei con disabilità, e dall’amore tra i due sta per arrivare un figlio. La notizia della gravidanza pone Mona, i genitori di Océane e tutto lo staff della struttura davanti a una serie di scelte e di interrogativi etici, su cosa sia più giusto per i due ragazzi, e sull’opportunità di portare avanti o meno la gravidanza. Le stesse domande sono poste allo spettatore, che attraverso la storia di Joël ha l’opportunità di riflettere sul tema del diritto alla genitorialità delle persone disabili: «Chi siamo noi per giudicare la capacità di prendersi cura di qualcun altro? Quali diritti e doveri abbiamo gli uni sugli altri? Sui corpi e sulle vite degli altri?».

Come è nata l’idea per il film?

Da adolescente per guadagnare qualcosa ho lavorato con mia madre, che è infermiera, in una casa di riposo in cui ho conosciuto madre e figlia, la prima di circa 80 anni e la seconda di 60, che aveva un ritardo mentale. Erano molto attaccate l’una all’altra e, nel momento in cui la madre era diventata troppo anziana per accudire la figlia, non c’era altra soluzione che far vivere entrambe in una casa di riposo. Di conseguenza la figlia si era trovata a essere una donna relativamente giovane in un contesto in cui erano tutti molto più anziani. Quando si è innamorata di un altro dei residenti del centro, tutti gli assistenti sociali si sono attivati perché non sapevano come gestire una situazione del genere e per quanto tempo i due potessero vedersi senza supervisione. Allora mi sono resa conto di quanto possa essere difficile per due persone con disabilità portare avanti un rapporto e quante questioni sollevasse. In
questo centro ci si domandava molto spesso quale fosse il diritto di questa donna di fare esperienze, cosa potesse veramente fare e fino a che punto potesse essere consenziente. Poi c’erano moltissimi conflitti con la madre, tantissimo amore ma anche molti contrasti, proprio come accade nella classica relazione madre-figlia. 

Nel film si esplora il tema della genitorialità a tutto tondo, sia nel rapporto tra madre e figlio, sia nel rapporto tra il figlio e il bambino che avrà con la sua compagna. In che maniera queste due forme di genitorialità si incontrano?

Quando ho iniziato a lavorare a questo film, ho incontrato moltissime persone che avevano già dei figli, e molte altre che ne volevano, residenti in centri per categorie protette, come quello in cui ho lavorato. E la cosa che mi ha più toccato è il fatto che nel momento in cui c’era per queste persone l’accesso alla genitorialità, non poteva più essere loro negato l’accesso allo stato sociale. Quindi mi ha fatto molto riflettere il fatto che a un certo punto la questione della genitorialità non riguardava più solo prendersi cura di persone con disabilità, ma anche il fatto che queste persone, a loro volta, dovessero prendersi cura di qualcun altro. 

Una cosa che per me è molto interessante è che, studiando vari casi e varie famiglie in cui ci sono figli con disabilità, si assiste a come il rapporti tra genitori cambi col passare del tempo, e si assista a uno scambio dei ruoli, laddove il genitore che si è preso cura del figlio per tutta la vita, inizia a preoccuparsi del fatto che in età avanzata dovrà essere poi il figlio, con tutte le sue difficoltà, a prendersi cura di lui. In casi come quello del film a questo si aggiunge la paura che questa persona possa fare un figlio a sua volta, e quindi ci sia poi un terzo individuo, ancora più fragile, di cui prendersi cura.

Un tema che nel film viene toccato è quello che si definisce il “dopo di noi”, ovvero l’assistenza delle persone con disabilità dopo la morte dei genitori. Ma cosa accade nel momento in cui queste persone si creano una nuova famiglia? La possibilità di creare un nuovo nucleo familiare, per una persona con disabilità, può essere un’alternativa al “dopo di noi”?

Questa è la questione su cui si interroga anche Joël. Cosa succederà dopo Mona se deciderà di avere questo figlio? Il supporto da parte della madre in questa scelta per lui è decisivo, ma allo stesso tempo le incognite sono tante su quello che accadrà dopo la sua scomparsa. La storia di Mona e Joël ci insegna che dobbiamo aiutare queste persone e come società dobbiamo attivarci per permettere a loro di avere una vita normale e un quadro familiare funzionale, proprio come tutti. Il percorso che li aspetta non è semplice, ma molto probabilmente dopo Mona ci sarà una comunità di volontari e persone buone che potranno aiutare suo figlio e la sua compagna. 

Questo film mette in campo una serie di temi etici, come la possibilità di gestire una gravidanza per una coppia di ragazzi con disabilità? In che modo il cinema può affrontare questi temi?

Per me ogni zona cieca nella realtà è una richiesta di testimonianza visiva e questa storia aveva un interesse cinematografico diretto, perché aveva bisogno di essere raccontata. Il cinema non può dare veramente delle risposte a queste tematiche, ma può aprire un dialogo, cosa che per me è estremamente preziosa. La possibilità che ci sia qualcuno che si interessi a questioni poco dibattute, voglia parlarne e interrogarsi su come vengono gestite è già molto. 

Nel futuro ha in campo altri progetti su temi sociali?

Non penso di aver mai fatto un film sociale. Mi sono interessata a dei personaggi che poi, senza ombra di dubbio, avevano un riscontro sociale importante, però mi sono sempre interessata della loro intimità e non penso in alcun modo che i miei film possano essere didattici. Tuttavia il mio gusto personale va sempre verso storie che abbiano un impatto sociale o politico. Al momento sto sviluppando diverse idee in questo senso che spero vedano presto la luce. 

Anne-Sophie Bailly

Regista

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