di Pedro Jesús Teruel. Docente presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università di Valencia
Valencia ha un governo e un inno. Il governo ha un nome antico e bello: Generalitat. Fin dal Medioevo, allude alla sfera comune: una sfera politica governata da principi che riguardano tutti i suoi membri e che devono tornare al loro bene. La Generalitat deve essere la casa di tutti.
L’inno cattura questo spirito in bellissimi versi: «Tots a una veu, / germans, vingau / Ja en el taller / i en el camp remoregen / càntics d’amor, / himnes de pau» (“Tutti a una voce, / fratelli, venite. / Già nell’officina / e in campagna risuonano / cantici d’amore / inni di pace”). Eleva a musica il desiderio di comunanza e sottolinea l’aspirazione alla pace: soltanto la pace è la cornice in cui ogni persona può vivere in società nel modo la cui scelta ha motivi di valutare. Perciò, e nonostante tutto, la pace si farà strada. E possiamo affermare, sottolinea Kant, che questa è più di una fantasticheria consolatoria.
Il primo fine settimana dopo la catastrofe di Valencia, facevo parte di uno dei gruppi di volontari che lavoravano nella zona colpita. Convocati dalla Generalitat, verso le nove eravamo già in uno dei villaggi. Il breve viaggio in autobus – meno di un quarto d’ora – aveva tracciato un percorso straziante dai dintorni futuristici della Città delle Arti e delle Scienze a strade desolate, disseminate di fango e oggetti inutili. La deviazione del fiume Túria, realizzata alla fine degli anni Sessanta, ha permesso alla capitale di uscire indenne da un temporale furioso, insolito per la sua forza distruttiva simile a un uragano. Le città al Sud dell’area metropolitana hanno sopportato il peso maggiore in termini di perdite umane e materiali.
Siamo stati lì tutta la mattina, in una unica strada, con un compito molto semplice: rimuovere fango e rifiuti. Era un gruppo volenteroso. Dopo un po’ di disorientamento, ogni membro ha presto preso il suo posto: alcuni con le scope, altri con le pale o i secchi per scaricare; poi, ognuno ha svolto il suo compito nella catena di raccolta dei rifiuti. È bello vedere come i gruppi umani si organizzano, in una sorta di adattamento che affonda le sue radici nella nostra Storia biologico-evolutiva.
Ma è stato un altro aspetto a catturare la mia attenzione. Nel gruppo c’erano molti accenti, provenienti da regioni e latitudini diverse.
Durante il viaggio di ritorno, ho chiesto a tutti la loro origine. Con mia sorpresa ho costatato che meno della metà (27) proveniva da Valencia. I restanti 31 provenivano da altre comunità autonome spagnole (4) e, in numero equivalente (27), da altri Paesi. Da molti Paesi. In ordine alfabetico, provenivano da Austria, Bielorussia, Bolivia, Brasile, Colombia, Ecuador, Francia, Italia, Messico, Paraguay, Regno Unito, Stati Uniti, Turchia, Ucraina e Venezuela. Su quell’autobus – appena 58 passeggeri – c’erano persone provenienti da sedici Paesi: una piccola Onu!
Già arrivati, vicino al Museo delle Scienze, ho chiacchierato con una famiglia di origine colombiana – madre e tre figli – che era anche sul pulmino. La madre era arrivata vent’anni fa con due figli; la figlia era nata qui. Uno dei figli mi ha detto, con un grande sorriso: «València è la nostra casa. Ci piace vivere qui. Vogliamo aiutare in ogni modo possibile».
E così la Generalitat è arrivata ad abbracciare molti che vengono da lontano. I fratelli e le sorelle a cui si rivolge oggi l’inno sono persone con accenti, colori della pelle e retroterra culturali diversi. Ed eccoli lì, a raccogliere fango da una strada in cui probabilmente non torneranno mai più, senza ricevere nulla in cambio: gratis et amore.
In un momento di gravi conflitti internazionali, di arretramento della salute democratica di non pochi Paesi, di stagnazione nella lotta contro la povertà e di fronte a sfide storiche come il cambiamento climatico, c’è molto che ci unisce. Quell’autobus, che ha riunito una manciata di persone in una mattina di novembre, mostra un cambiamento duraturo nella forma delle nostre società. Il suo messaggio, a una sola voce, risuona nei differenti e begli accenti dei luoghi in cui siamo nati. Così quest’articolo diventa un manifesto di gratitudine.
Quest’articolo è stato pubblicato il 13 novembre sul quotidiano spagnolo Levante. Per la revisione della sua traduzione all’italiano, l’autore ringrazia vivamente Laura Pisa.
Foto: Cauce del ríoTuria DANA 2024. Barrio de la Torre © Jaigascom, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons
Pedro Jesús Teruel
Docente presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università di Valencia