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Beyond the Wall: Una terra due stati

di Manfredi Scanagatta

 

È uno di quei ricordi che si fa fatica ad inserire nel tempo.

Il corpo del soldato israeliano viene gettato da una finestra del secondo piano, si impiglia ad un albero, per qualche secondo rimane appeso a testa in giù. Non appena tocca terra un gruppo di uomini inizia a prenderlo a calci, una transenna viene usata come arma.

Mi ricordo i colori, verde marrone la divisa del soldato tutto in torno il bianco e il nero e il rosso di teste avvolte in quella che dopo qualche anno avrei scoperto chiamarsi kefiah. Io non l’ho mai avuta, non mi sono mai sentito di rivendicare la mia appartenenza alle popolazioni rurali arabe.

2002, un kamikaze palestinese si è fatto esplodere su un pullman pieno di ragazzi che stavano andando a scuola, sono identici a me, erano identici a me, ripenso alle teste nere e rosse e bianche che si accaniscono su un corpo morto. 2001, un kamikaze si è fatto esplodere in una delle vie principali di Gerusalemme, io e i miei amici saremmo stati dilaniati dall’esplosione. Ancora quelle teste e quei piedi che senza motivo si accaniscono.

Brutalità, sono diversi da me, appartengono ad un razza violenta, urlano ad un presunto Dio che gli dice che è giusto uccidere, sono delle bestie nient’altro, li temo li giudico ed ho il diritto di farlo.

Non riesco a trovare una giustificazione valida per quello che ho visto, ma con gli anni imparo che dei motivi esistono è un piccolo atto di consapevolezza, non di accettazione. È solo il primo pezzo che riesco ad incastrare in uno dei puzzle più complessi della storia. Prima guerra arabo israeliana, guerra dei sei giorni, intifada, colonie, missili, Gaza, ebrei arabi mussulmani israeliani americani.

Striscioni appesi nei centri sociali con su scritto “Palestina libera”, striscione appeso nella federazione di azione giovani con su scritto “Palestina libera”, così non mi aiutate.

Palestina libera, la foto di un bambino disperato che si attacca alla porta di casa sua mentre un militare lo porta via, è un colone, non il militare, il bambino.

Primo Libro bianco di Churchill. C’è un bambino che tira un sasso contro un carrarmato, intifada.

1994, Arafat e Rabin vincono il premio Nobel per la pace.

1995 Rabin viene assassinato a Tel Aviv. lo vedi, sono le stesse bestie che hanno preso a calci un corpo morto, non vogliono la pace; d’altronde tutti i giorni la televisione ci ricorda che Arafat è un terrorista cosa potevo aspettarmi. Rabin è stato ucciso da un colone ebreo no, ho capito male, Rabin era il primo ministro dello stato di Israele. La questione si complica.

Passano gli anni, devo tenere una lezione sul conflitto arabo israeliano, adesso qualcosa l’ho capita; a riguardo ho un’idea mia, ma come posso essere sicuro sia quella giusta?

Torniamo li, leggiamo la storia, dichiarazione di Balfour, anzi no, 1948, lo stato di Israele sorge li dove dove gli ebrei hanno la loro più antica origine, è la terra Santa. Ma scusate, la terra Santa non è dove è nato Gesù?

1994, a Hebron un medico americano ebreo entra in una moschea armato di un fucile d’assalto e vestito da militare israeliano apre il fuoco su chi sta pregando. Uccide 30 persone, 125 vengono ferite. Ma che c’entrano le moschee? Questa è la terra Santa.

I miei piedi nudi sui tappeti della moschea di Hebron, per entrare i militari israeliani ci hanno fatto lasciare fuori il cavalletto della telecamera. Un militare israeliano armato e in divisa viene verso di me, non posso fare a meno di guardarlo negli occhi, in torno a noi dei bambini, non sembrano spaventati, io forse.

“Dovresti andare in Siria o in Afghanistan, te mi giudichi perché non mi sono tolto gli stivali, lì il pavimento delle moschee è coperto di sangue, ma nessuno dice nulla”

Prima che i militari entrassero erano stati stesi altri tappeti sopra a quelli presenti nella moschea; i militari non si tolgono le scarpe per entrare ma non possono calpestare i tappeti dove centinaia di fedeli si piegano a pregare verso la Mecca

Dopo l’attentato del 1994 la sicurezza è molto aumentata, prima la moschea e la sinagoga di Hebron erano unite, oggi un muro le divide e condividono la sguardo sulla tomba di Abramo.

“Questo è un mio luogo sacro, prima che ci fosse una moschea c’era una chiesa, lo sapevi? E prima ancora questo era un luogo sacro per gli ebrei”

Un tempio, una sinagoga costruita da Erode durante l’occupazione romana per soddisfare le richieste della popolazione ebraica.

Appartenenza, questo forse è il termine che dovrei prender in esame, chi appartiene alla terra e la terra a chi appartiene?

Percorriamo la strada che da Betlemme ci porta verso Nablus, sulla nostra destra delle colonie israeliane, a sinistra una città palestinese, in torno il nulla. Sono facili da distinguere, le colonie sono circondate da un muro e non hanno sui tetti quelle enormi cisterne piene d’acqua.

Israele controlla i flussi d’acqua e rifornisce le città palestinesi circa una volta ogni venti giorni. Guardo a destra, mi giro verso sinistra, la mia mente non riesce a razionalizzare, è la prima volta che mi trovo davanti, in mezzo, ad una situazione che non ho timori a definire disumana.

Sono uno storico, conosco le atrocità che l’essere umano è sempre stato in grado di compiere, ma solo adesso le posso osservare, toccare con mano, mi spavento, sento che ciò che ho conosciuto come vita qui non ha senso.

Improvvisamente ritorno nella casa all’interno del campo di rifugiati di Dheisheh. La notte prima l’esercito israeliano aveva fatto irruzione in diverse case del campo cercando qualcuno, la sparizione dei tre ragazzi israeliani tiene alta la tensione. Attraverso villaggi isolati nel deserto, improvvise sono le distese di pietre e terra e buche, non posso non pensare al terrore che un ragazzo di 16 anni può provare trovandosi improvvisamente tenuto prigioniero chi sa dove, sperando di sopravvivere. Non possiamo sapere quale possa essere il terrore di questa speranza.

Questo non è un conflitto religioso, questa è l’unica cosa che mi sento di affermare con sicurezza, ma forse no.

Il problema è la storia e quei termini che tonano, la diaspora, la ricerca della terra promessa, Sion.

1890 Nathan Birbaum conia il termine Sionismo, un movimento nazionalista che vuole il ritorno del popolo ebraico nella propria terra. La collina di Sion, nella Bibbia gli israeliti vengono spesso definiti figli di Sion.

Nella Bibbia vengono spesso definiti, il conflitto non è religioso, ma una delle radici del problema si.

Chi appartiene a questa terra? No, la domanda è sbagliata, come posso pensare di trovare una risposta?

Chi vive in questa terra? Ecco, meglio, chi vive in questa terra?

Sono stati ritrovati i tre corpi dei ragazzi israeliani, la speranza è morta. Gaza è in fiamme. Ripenso alla mattina in cui abbiamo saputo che nella notte a Beit Sahour, la città dove siamo ospitati, quattro persone sono state prelevate durante un raid israeliano. I tre ragazzi sono morti.

7 luglio 2014 sei israeliani sono stati arrestati per il rapimento e l’omicidio di un ragazzo palestinese di 16 anni.

Mi devo arrendere all’evidenza, non ho spiegazioni, non riesco a capire, ma non posso smettere di pensare che l’ignoranza sia il vero unico male che è possibile estirpare e non mi rimane che confidare nella conoscenza, nella consapevolezza, nella ragione, non di qualcuno ma di esseri umani che non hanno altra via se non l’accettazione delle differenze. È necessario ritrovare il tutto nell’uno. Abbattiamo i muri, issiamo le due bandiere una accanto all’altra. Ogni altra pratica sarà ripetizione disfunzionale, violenta, coercitiva senza alcuna possibilità di riuscita.

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