di Felice Mill Colorni
Così com’è strutturata, l’Unione europea è un’aggregazione male assortita di Stati nazionali privi di reale sovranità. Allo stesso tempo, però, anche l’Europa nel suo assieme manca di sovranità, non dimostra la volontà di andare verso un vero federalismo europeo e continua così a contare poco sul piano internazionale.
C’è poco da fare. A livello statale non è più possibile nessuna forma di autodeterminazione democratica. O la politica europea si dota di strumenti di decisione democratica a livello europeo, o la democrazia non può più funzionare. Prima lo si capirà e meno disastrosi saranno gli effetti sull’idea stessa di democrazia. La sovranità nazionale non esiste più, e non è comunque più uno strumento adeguato alle sfide del nostro tempo. La lista Tsipras, qualunque cosa se ne pensasse, era parsa a molti portatrice di un’alternativa politica radicale alle politiche economiche prevalenti in tutta Europa.
Politica
di Marco Mazzoli, professore di Politica Economica, Università di Genova
Il flagello del monetarismo (in inglese, «The Scourge of Monetarism») era il titolo di un pamphlet economico-politico con cui Lord Nicholas Kaldor, nel lontano 1982 disegnava con incredibile lucidità gli effetti sociali e le contraddizioni logiche del pensiero neoliberista, allora appena affermatosi con le vittorie elettorali di Margareth Thatcher in Gran Bretagna nel 1979 e Ronald Reagan negli Stati Uniti, nel 1980. Ed è proprio l’ideologia (perché di ideologia si tratta) neoliberista, del rigore fine a se stesso, a fare da sfondo alla crisi greca, che si evolve drammaticamente di ora in ora. Gli eventi si rincorrono con nuovi colpi di scena, ancora nel momento in cui sto scrivendo (pomeriggio del 13 luglio).
La mattina del 12 luglio, a seguito delle dure prese di posizione del ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble, le proposte di Tsipras per uscire dalla crisi, anche se molto vicine a quelle del Fondo monetario internazionale (Fmi), sono state ritenute non credibili da molti ministri «rigoristi» della Commissione Europea. La notte tra il 12 e il 13 luglio è stata estenuante e carica di tensione e si è giunti letteralmente ad un passo dall’uscita della Grecia dall’euro, che avrebbe comportato una crisi, forse irrimediabile, della moneta unica, oltre che una spaventosa crisi bancaria e di liquidità per il sistema finanziario greco, con esiti imprevedibili e costi sociali spaventosi.
di Adriano Gizzi
Dopo aver fatto approvare la legge elettorale a colpi di fiducia, contro tutte le opposizioni e una parte del proprio stesso partito, Renzi affronta ora la lunga battaglia per far passare anche le riforme costituzionali, a cominciare dal ridimensionamento del Senato che diventerà organo di rappresentanza delle istituzioni territoriali. Chi fa le porzioni della torta non deve scegliere per primo la fetta: lo prevede una regola elementare di buon senso, proprio per evitare che poi possa scegliere per sé la più grande. Così dovrebbe essere anche per le regole del gioco democratico…
intervista a Stefano Ceccanti, costituzionalista
Il professor Ceccanti è docente di Diritto costituzionale italiano e comparato e di Diritto parlamentare all’Università La Sapienza di Roma ed è stato senatore del Pd nella scorsa legislatura. Lo abbiamo intervistato sulla riforma costituzionale all’esame del Parlamento e sull’Italicum, la legge elettorale approvata all’inizio di maggio.
Professor Ceccanti, quali sono a suo giudizio i principali vantaggi della riforma costituzionale che propone il governo?
Questa riforma risponde a due esigenze di fondo. La prima si collega alla forma di governo: è irrazionale avere un’elezione di due camere diverse che incidono entrambe sulla formazione dell’esecutivo, perché i risultati elettorali possono dare esiti diversi, anche qualora si votasse con un sistema identico per entrambi i rami del Parlamento. Questo vale a maggior ragione oggi che l’elettorato è diventato molto più mobile, ma anche in passato – nel ‘94, nel ‘96 e nel 2006 – abbiamo visto risultati diversi tra Camera e Senato. Si tratta quindi di una cosa palesemente insensata, che bisogna rimuovere…
di Ugo Melchionda (presidente del Centro studi e ricerche Idos – Roma)
Nella vera e propria jungla di notizie, allarmi, dichiarazioni, prese di posizione degli ultimi giorni qual è il filo rosso da seguire, quali i fatti principali da ordinare, per chiedere al lettore di mettere a fuoco una riflessione?
Che 700 profughi siano annegati domenica 19 aprile al largo delle coste della Libia, dopo che martedì 14 altri 400 erano morti, nel tentativo di raggiungere le nostre coste?
Che diecimila profughi in fuga dalle condizioni di guerra e dall’impossibilità di sopravvivere siano sbarcati tra venerdì 10 e martedì 14 aprile sulle coste italiane e che tra di loro oltre 500 fossero bambini, minori, spesso soli e non accompagnati?
Che 15 migranti musulmani appena sbarcati da una di queste imbarcazioni cariche di disperazione e di speranza, siano stai arrestati, accusati di aver gettato a mare 12 cristiani?
di Enzo Ciconte
(docente di Storia della criminalità organizzata all’Università di Roma Tre e consulente delle Nazioni Unite)
Con l’indagine definita Mafia capitate il panorama mafioso s’è arricchito di una organizzazione mafiosa molto particolare perché è capeggiata, secondo l’accusa, da Massimo Carminati (noto esponente della destra eversiva) e composta da romani. Dopo gli arresti è subito iniziato un controcanto teso a veicolare l’idea che quella scoperta non era mafia, era soltanto un gruppo di individui abituati a chiacchierare per telefono: una mafia all’amatriciana, alla coda alla vaccinara, certo chiacchierona ma assolutamente innocua e non pericolosa. Il sospetto è che una tale tesi nasconda la convinzione, un po’ razzista, che non ci può essere mafia se non è formata da siciliani, calabresi, campani o pugliesi. Il panorama mafioso è davvero cambiato negli ultimi anni, e in segmenti significativi. Ad esempio, è certo che Cosa nostra sta attraversando un periodo di forte difficoltà. La difficoltà nasce dal fatto che è clamorosamente fallita l’operazione stragista, quella che ha portato tra il ‘92 e il ‘94 ad insanguinare la Sicilia con le stragi di Falcone e Borsellino e poi quelle di Roma, Milano e Firenze.
I parlamentari per la pace vi invitano a incontrare le donne della Cooperativa Agricola Insieme di Bratunac (Srebrenica) in occasione dell’8 marzo, giornata internazionale della donna
Sala Aldo Moro, Camera dei Deputati, ore 15.00
Durante la giornata sarà offerta una degustazione dei prodotti (confetture, succhi di frutta, ecc.) della cooperativa e sarà esposta una mostra fotografica sulla guerra e la pace in ex Jugoslavia, del fotoreporter Mario Boccia
Porterà il saluto la Presidente della Camera, on. Laura Boldrini
Da undici anni la Cooperativa Agricola Insieme si pone l’obiettivo di sostenere e facilitare il ritorno dei rifugiati e la vita in comune nella regione della Bosnia Erzegovina di Bratunac e Srebrenica, attraverso la riattivazione di un sistema microeconomico basato sulla coltivazione di piccoli frutti (lamponi, mirtilli, ecc.) in fattorie di famiglia unite in cooperativa. E’ un progetto nato, anche grazie all’esperienza di operatori umanitari impegnati in organizzazioni di volontariato del nostro paese, raccolte nel Consorzio Italiano di Solidarietà. Oggi soci della Cooperativa sono più di cinquecento, in rappresentanza di altrettante famiglie bosniache. I loro prodotti sono arrivati in Italia, importati e distribuiti da: “Alce Nero” (per Coop-Italia); “CTM-Altromercato” (per la rete dei negozi equo-solidali); “Mio-Bio” (per i GAS).
di Paolo Naso
Fermo restando che la condanna degli attacchi terroristici in Francia va pronunciata senza alcuna esitazione o giustificazione, occorre porsi alcune domande sulla satira: il principio fondamentale della libertà di espressione implica l’abolizione automatica di ogni limite al dileggio e allo sberleffo?
«Uccidere nel nome di Dio è un’aberrazione, ma le religioni non vanno insultate», ha dichiarato il papa parlando con i giornalisti nello Sri Lanka. «Si può danneggiare una persona anche con le parole – gli ha fatto eco il rabbino Riccardo Di Segni, capo spirituale degli ebrei romani – e non si deve mancare di rispetto agli altri. La persona ha diritto alla sua dignità e io non sono Charlie».
Neanch’io, e mi riconosco nelle parole del papa e del rabbino capo. Forse per ragioni diverse dalle loro e attraverso un altro filo di ragionamento ma, se si vuole essere diretti e sintetici, ciò che hanno detto nella sostanza esprime anche il mio pensiero.
di Paolo Naso
A caldo è difficile trovare le parole per commentare l’attentato del 7 gennaio al settimanale satirico Charlie Hebdo di Parigi. La «geometrica precisione» di un’azione paramilitare, la forza simbolica dell’obiettivo, la brutalità dell’esecuzione a freddo di giornalisti, disegnatori e poliziotti ci danno la misura di un gesto clamoroso e calcolato.
La domanda di queste ore è che cosa gli attentatori abbiano voluto dire e a chi intendessero rivolgersi. Rispondere a questi interrogativi quando ancora mancano certezze sul piano delle indagini è certamente molto rischioso. Ma di fronte a un gesto eccezionalmente grave e programmatico come quello di Parigi tacere sarebbe irresponsabile e incomprensibile.
È questo il tempo di parlare e forse di urlare per dire che quanto è accaduto non può avere alcuna giustificazione religiosa, politica o culturale.
di Paolo Corsini
(deputato del Partito democratico ed ex sindaco di Brescia)
Da qualche tempo, soprattutto dopo la Leopolda, si discute di un nuovo «partito della nazione» (Pdn). Nuovo perché, almeno in sede storiografica, già era stata elaborata da Agostino Giovagnoli la categoria di «partito italiano» quale cifra interpretativa della Democrazia cristiana, il partito «pigliatutto», allorquando il sistema politico era strutturato in termini di bipartitismo imperfetto o, meglio, di pluripartitismo centripeto. Un’analogia casuale, il sintomo di una nostalgia, la prospettiva di una palingenetica riclassificazione del quadro politico? Oltre il bipolarismo muscolare che abbiamo conosciuto e aldilà del bipartitismo che la più recente versione dell’Italicum, con un sostanzioso premio di maggioranza assegnato al partito in grado di superare la soglia del 40%, intenderebbe prefigurare. L’interrogativo non pare infondato, né tutto consegnato ad una visione politicistica, ma rimanda al profilo del Pd, alla sua vocazione maggioritaria, alle concrete policy da attuare in un tempo di recessione e di possibile deflazione, alla rappresentanza di ceti sociali ed interessi, alla stessa identità etico-politica del partito.