L’amaca di Michele Serra (su la Repubblica del 14 luglio 2017) sembra richiamare una funzione di “Laicità vo cercando”: «…educare, innanzitutto noi stessi, […] a un conseguente costume del confronto, contenendo le intransigenze, anche di linguaggio».
Se un deputato può dare pubblicamente della “testa di circonciso” a un suo avversario politico ebreo, perché un modesto gestore di spiaggia dovrebbe farsi degli scrupoli quando invita all’altoparlante a «sterminare i tossici »? Le leggi servono (compresa quella contro l’apologia del nazifascismo, che come ben sanno i bagnanti di Chioggia è apologia dello sterminio), ma il vero problema è la contagiosa perdita di peso della parola, usata con la leggerezza del rutto anche quando ha la pesantezza del sasso. Massimamente sui social (vero, onorevole Corsaro?) che sono la dinamo inesauribile del deperimento verbale, ma anche sui giornali, in televisione, sulla scena pubblica, si tira a parlare così come si tira a indovinare. O la va, o la spacca. Sappiamo bene quante vittime ha fatto nei secoli, e ancora fa per mano jihadista, la sacralità del Verbo. Ma non è un buon rimedio questo parlare a vanvera, e vomitare quello che capita addosso agli altri. Il rischio è che alla fine il cerchio si chiuda, e si chiuda malamente: ovvero che l’uso scriteriato della parola (l’uso scriteriato della libertà) riporti in auge, come rimedio reazionario, la Parola Sacra. Ne farebbe le spese la parola libera, che è anche parola responsabile.
Ecco il link:
http://www.repubblica.it/rubriche/l-amaca/2017/07/14/news/l_amaca_del_14_luglio_2017-170771572/