Amos Oz, “Contro il fanatismo” - Confronti
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Amos Oz, “Contro il fanatismo”

by redazione

Amos Oz,

“Contro il fanatismo”

Feltrinelli 2004, pagg. 78

una recensione/rilettura a cura di Fausto Tortora 

La rilettura di questo testo, che raccoglie tre lezioni tenute all’Università di Tubinga nel 2002, mi è apparsa quasi un dovere istituzionale dovuto al tema della laicità. In realtà queste pagine, che pure contengono intuizioni e pensieri folgoranti, mi appaiono oggi inesorabilmente datate.

Il motivo principale risiede nel fatto che oggi più di ieri serpeggia fra queste parole l’ombra drammatica del conflitto israelo-palestinese; e quello che sembrava un obiettivo possibile: due popoli due Stati, quindici anni fa, appare oggi irrimediabilmente compromesso. E l’invito conclusivo dell’ultima lezione, rivolto a noi “…europei di non dover più scegliere fra essere pro Israele o pro Palestina… e essere per la pace”, appare falso e fuori dal contesto storico. L’Autore nel momento in cui scriveva, al pari di altre personalità israeliane, riteneva che “la realtà dovesse correre, più o meno, lungo i confini del 1967”. Oggi, che Gaza è sempre più un campo di concentramento in cui perfino dal mare non si esce, e che la Cisgiordania è rid. otta a frammenti di territorio, solcati da mura e da insediamenti di “coloni”sempre più invasivi, il commendevole proposito con il quale queste lezioni erano state svolte e pubblicate appare sfuocato.

Ma restano, tuttavia, in queste pagine, pensieri da meditare. La Gerusalemme degli anni cinquanta, una sorta di territorio cosmopolita, era “…una città mista…un approssimativo agglomerato di quartieri…a Gerusalemme la smania religiosa, le tensioni interconfessionali erano tali che ci si poteva diventare matti oppure sviluppare un ottimo senso dell’umorismo. O ancora, un senso di relatività. La convinzione insomma che, d’accordo, ciascuno ha la sua storia, ma non ce n’è una più valida o avvincente dell’altra.”

Oz fa la sua dichiarazione programmatica:”Sono un gran fautore del compromesso. So che questa parola gode di una pessima reputazione, in particolare fra i giovani. Il compromesso è considerato come una mancanza di integrità, di dirittura morale, di consistenza, di onestà. Il compromesso puzza, è disonesto. Non nel mio vocabolario. Nel mio mondo la parola compromesso è sinonimo di vita. E dove c’è vita ci sono compromessi. Il contrario di compromesso non è non è integrità e nemmeno determinazione o devozione. Il contrario di compromesso è fanatismo, morte.” E poi aggiunge: ”…non esistono compromessi felici: un compromesso felice è una contraddizione.”

Se leggessimo le ultime stagioni della politica, non solo di quella, miserrima, nazionale, alla luce di queste parole forse i nostri linguaggi sarebbero contaminati; al fanatismo, chiamato “coerenza” e “rigore”, dovrebbe essere affiancata una massiccia dose di umorismo e ricordarci che “dove siamo integerrimi non cresce nessun fiore”. Eppure le storie plurali delle sinistre sono state contrassegnate dall’assoluto, più che dalla pratica del relativo. O dalla coazione ad excludendum; dice ancora Oz: “Ogni sistema sociale e politico che trasforma noi in un’isola darwiniana e il resto del mondo in un nemico o un rivale è un mostro”.

Se solo il linguaggio si uniformasse a queste intuizioni, il grado di civiltà degli scambi umani (verbali, corporei, ecc) conoscerebbe una inusitata impennata verso l’alto.

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