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Incontro con il sociologo Ferrarotti

by redazione

Il 9 marzo 2017 il gruppo redazionale di “Laicità vo cercando” ha avuto un lungo colloquio, in forma di intervista collettiva, con il sociologo Franco Ferrarotti. Proponiamo ai nostri lettori l’audio integrale, ascoltabile cliccando qui. Di seguito vi proponiamo delle riflessioni a margine dell’incontro scritte da due tra i partecipanti.

Riflessioni di un ex alunno

di Mario Campli

Una consapevolezza della società contemporanea forte, intensa, argomentata. Questa è la prima percezione che ho avuto dall’incontro ravvicinato con Franco Ferrarotti. Un ex-alunno sente ovviamente anche l’eco delle lezioni del professore: padronanza del pensiero, della/e teorie della società, ma il peso degli anni (dell’ex-alunno) mi immette subito in un’atmosfera di un vissuto corposo delle molteplici contraddizioni, tutte palpabili: una immersione vera-dura in questa società.

«grande pericolo», «irrilevanza del giudizio individuale», «tendenza isomorfica: la tecnologia informatica genera un appiattimento organizzativo formidabile, in cui l’individuo perde rilevanza…il W.T.O. con la sua potente forza è poca cosa!», «situazione storica di estremo pericolo», «siamo incantati dal declino della parola, a favore dell’immagine».

Sono, soltanto, alcune delle espressioni di Franco Ferrarotti, che – accogliente, disponibile, appassionato, e conquistato subito ad un colloquio da «atmosfera cenobitica» – torna più e più volte alla coppia cruciale e fatale dei «valori strumentali contro valori finali»: dove si svolge e si consuma la vicenda del conflitto sociale e, prima ancora, del pensiero. E «la tragedia» della Modernità. E dove sta (deve stare) la «laicità», come metodo e sostanza, che solo può preservare la forza e il valore, e la persistenza dell’individuo e del «suo» giudizio: «io sono qui».

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Ripensando la conversazione con Franco Ferrarotti

di Alfonso Pascale

L’uomo non può esistere né svilupparsi senza libertà, ma si danno storicamente modi e forme di liberazione che necessariamente approdano alla più totale schiavitù: alla colonizzazione interiore e alla proletarizzazione dell’anima. L’unico antidoto a tale destino è la capacità di prendere posizione individualmente – in base alla propria coscienza e senza la mediazione di istituzioni o autorità esterne – contro gli atteggiamenti e le opinioni correnti. In tale testimonianza, secondo Franco Ferrarotti, si racchiude l’attualità di Martin Lutero a cinquecento anni dalla Riforma. Da questa angolatura, il frate agostiniano è stato il primo intellettuale moderno.

Il primato della vita interiore dell’individuo e della sua capacità di dire “sto qui” non vale solo nel rapporto dell’uomo con le religioni, ma in ogni ambito della conoscenza, compresa la tecnica quando diventa perfezione priva di scopo. Il sociologo mette, però, in guardia dal pericolo di scivolare nel relativismo, nella soggettivizzazione della verità, nella scomparsa della comunità come base del consenso a una verità intersoggettivamente vincolante. E precisa che le idealità, le fedi, i miti, le visioni del mondo, la scienza e tutti gli ambiti della conoscenza costituiscono una componente fondamentale dell’esperienza umana in vista della libertà. Ma per evitare ogni deriva schiavizzante, ogni logica dell’armento, occorre sviluppare il senso critico individuale. Qui si colloca la nuova frontiera della laicità. La buona politica dovrebbe assumersi l’onere di contribuire in modo decisivo a educare alla laicità, a costruire diffusamente coscienza critica, consapevolezza e senso della responsabilità individuale.

Diceva Ludovico Geymonat: “Mi ribello perché non venga meno la mia esigenza di sincerità”. Il non venir meno di tale esigenza distingue il ribelle dal rivoluzionario, dal seguace, dal militante, dal fedele, giacché il ribelle è tale proprio perché può esserlo anche nei confronti di quella struttura, partito, chiesa, movimento o esercito rivoluzionario in cui ha militato. L’etica del ribelle – che esige sincerità, verità – coincide con la nuova laicità. In “Violenza e Islam” (Guanda, 2015) il poeta siriano conversa con la psicoanalista Houria Abdelouahed e, a proposito delle ormai appassite “primavere arabe”, così si esprime: “Per fare una rivoluzione (…) serve una rivolta interiore in nome della libertà”. La propria e quella altrui. E con parole diverse precisa ulteriormente: “Bisogna accettare l’altro nella sua diversità e questo è possibile creando una società laica”. Laica  appunto. Perché una rivoluzione funzioni nella società contemporanea occorre far crescere un’etica del ribelle, una capacità di esprimere senso laico della responsabilità individuale.

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