Dopo 32 anni di violenta instabilità politica, preceduti da altri 5 anni di rivolte, la Somalia è ancora un Paese fortemente a rischio. Hassan Mohamud – il presidente rieletto per un secondo mandato – ha deciso di demandare alle milizie claniche il monopolio dell’uso della forza per arginare il terrorismo degli al-Shabaab e deve far fronte a una crisi alimentare e climatica senza precedenti.
Borsellino
Dopo 32 anni di violenta instabilità politica, preceduti da altri 5 anni di rivolte, la Somalia è ancora un Paese fortemente a rischio. Hassan Mohamud – il presidente rieletto per un secondo mandato – ha deciso di demandare alle milizie claniche il monopolio dell’uso della forza per arginare il terrorismo degli al-Shabaab e deve far fronte a una crisi alimentare e climatica senza precedenti.
di Amelia Vescovi
Ospiti internazionali al convegno «Le donne, un filo che unisce mondi e culture diverse», organizzato a Roma dall’Associazione Telefono Rosa, in occasione della Giornata contro la violenza sulle donne del 25 novembre. Tra i partecipanti, Ozlem Tanrikulu, componente della Commissione degli Affari Esteri del Knk (Congresso nazionale del Kurdistan) e presidente dell’Ufficio di informazione sul Kurdistan in Italia, che ha parlato al pubblico di studenti delle scuole superiori del sistema di auto-organizzazione delle donne curde nella regione di Rojava, divisa nei cantoni di Kobane, Efrin e Cizre, dove si sono create unità di difesa in cui uomini e donne vivono e combattono in un regime di democrazia pura, oltre ogni forma di patriarcato o matriarcato.
Qui sono nate le Accademie delle donne, dove si è insegnanti ed allieve allo stesso tempo, con l’obiettivo comune di rintracciare la propria identità e i propri bisogni. E qui sono state aperte le Case delle donne, per la prevenzione della violenza di genere, fisica, economica, psicologica. Insieme agli uomini, le donne di Rojava hanno aiutato i civili a fuggire in sicurezza durante gli attacchi ai centri abitati, ed hanno allestito campi per i profughi su modello della loro comunità.
di Enzo Ciconte
(docente di Storia della criminalità organizzata all’Università di Roma Tre e consulente delle Nazioni Unite)
Con l’indagine definita Mafia capitate il panorama mafioso s’è arricchito di una organizzazione mafiosa molto particolare perché è capeggiata, secondo l’accusa, da Massimo Carminati (noto esponente della destra eversiva) e composta da romani. Dopo gli arresti è subito iniziato un controcanto teso a veicolare l’idea che quella scoperta non era mafia, era soltanto un gruppo di individui abituati a chiacchierare per telefono: una mafia all’amatriciana, alla coda alla vaccinara, certo chiacchierona ma assolutamente innocua e non pericolosa. Il sospetto è che una tale tesi nasconda la convinzione, un po’ razzista, che non ci può essere mafia se non è formata da siciliani, calabresi, campani o pugliesi. Il panorama mafioso è davvero cambiato negli ultimi anni, e in segmenti significativi. Ad esempio, è certo che Cosa nostra sta attraversando un periodo di forte difficoltà. La difficoltà nasce dal fatto che è clamorosamente fallita l’operazione stragista, quella che ha portato tra il ‘92 e il ‘94 ad insanguinare la Sicilia con le stragi di Falcone e Borsellino e poi quelle di Roma, Milano e Firenze.