L’orizzonte “interreligioso” domina ormai da decenni il dibattito teologico e, in misura non irrilevante, quello culturale, non senza ricadute in ambito politico. Tuttavia, sebbene sia del tutto evidente che l’incontro tra religioni sia importante, può accadere che capi religiosi abbiano la presunzione di parlare in nome dell’umanità intera sulla base dei “veri insegnamenti delle religioni”, dei quali sarebbero depositari.
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Il conflitto militare avviato il 7 ottobre 2023 dall’attacco del Movimento di resistenza islamico (Hamas) contro lo Stato ebraico, tra i molti altri e anche più gravi effetti, quello di diminuire sensibilmente in quelle zone, e quasi azzerarla, la presenza cristiana.
La ripresa del conflitto israelopalestinese dal 7 ottobre scorso s’innnesta in una spirale di odi e risentimenti reciproci che sta infettando le vocazioni autentiche dell’ebraismo e dell’islam. Oltre al numero enorme di vittime, feriti e sfollati, il suo lascito malato è l’ulteriore benzina fornita ai fondamentalisti delle due parti, idolatri rabbiosi votati alla narrativa della paura e della violenza sistematica.
Nel fuoco del pluridecennale dibattito sul conflitto israelo-palestinese sono coinvolte anche le Chiese cristiane. In questo articolo si formulano degli “appunti” su quali caratteristiche (non) dovrebbe avere una “postura ecclesiale”.
Intervistiamo Wasim Almasri, palestinese, direttore dei programmi dell’Alleanza per la pace in Medio Oriente (Allmep), una coalizione di oltre 170 organizzazioni che mirano alla cooperazione interpersonale, all’uguaglianza, alla società condivisa, alla comprensione reciproca e alla pace tra le loro comunità.
Le proteste nei campus statunitensi stanno mettendo in evidenza le diverse spaccature della società americana. Una situazione le cui conseguenze potrebbero riverberarsi sulla tornata elettorale di novembre.
Oltre il dolore, la speranza congiunta di palestinesi e israeliani
Ogni anno, le organizzazioni Combatants For Peace e dal Parents Circle-Families Forum organizzano una cerimonia congiunta israelo-palestinese con l’intento di dare un’opportunità – pressoché unica – per israeliani e palestinesi di piangere insieme ed essere uniti nel chiedere la fine dello spargimento di sangue.
C’era una volta, in Europa, loStato sociale anche se – in realtà – le Chiese non hanno mai abbandonato l’intervento diretto nel sociale e, anzi, ne hanno sottolineato con ragione il carattere insostituibile. Qualcuno, nelle comunità cristiane, teme la trasformazione della Chiesa in Ong. Il rischio è effettivo, come sempre accade in una situazione inedita, ma costituisce una fatalità.
Qual è il ruolo delle Chiese in un contesto in cui, sempre di più, l’opinione pubblica di molti Paesi ritiene che altre formule, più autoritarie rispetto alla democrazia, possano garantire una migliore qualità della vita alla maggioranza della popolazione?
Esistono temi politico-sociali che sono considerati di chiara competenza delle Chiese, ma la “politicità” del messaggio evangelico è in gioco anche su un altro piano, più profondo. Una carica politica indiretta, dunque, ma fortissima che non a caso le varie dittature del mondo cercano in qualche modo di arginare.
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