di Stefano Ciccone (presidente dell’associazione Maschile plurale) – Quelle ragazze diventano una categoria, sono «prostitute» e uno stigma ne segna l’identità. I clienti no. Tutti siamo clienti: di supermercati, di servizi, di professionisti. Ed anche quando consumiamo prostituzione non siamo segnati per sempre come «clienti», siamo liberi di entrare e uscire da quella pratica. Consideriamo la prostituzione una questione di decoro delle città e chiediamo che la polizia ripulisca le strade. Le «prostitute» nelle strade sono spesso minorenni, spesso soggette a tratta e violenza ma sono rimosse come soggetti grazie a quel processo di disumanizzazione dell’alterità che ci permette di tollerare e non vedere l’esclusione. Se le minorenni sono figlie di famiglie italiane «normali», non marginali, ciò diventa perturbante perché chiama in causa la nostra «normalità».
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