di Claudio Paravati
Parole d’odio, lo hate speech, non è più questione solo da bar. Dal 21 marzo, con lo slogan «Silence hate – Changing words changes the world» e l’hashtag #silencehate, ha preso il via la campagna europea contro l’hate speech on line. Di che si tratta? Delle parole d’odio che costellano la rete internet, sui social network, nei blog, nei commenti agli articoli, nelle condivisioni di testi, foto o altro. Parole che ci raggiungono quotidianamente perché “socializzate” nella rete, dove incontriamo, talvolta quasi assuefatti, xenofobia, islamofobia, discorsi antisemiti e rigurgiti razzisti.
Claudio Paravati
intervista a Pupa Garribba, a cura di Claudio Paravati
In occasione del Giorno della Memoria, abbiamo intervistato Pupa Garribba, giornalista e storica collaboratrice di Confronti, testimone e intervistatrice della Shoah Foundation di Los Angeles.
Cosa vuole dire per te ricordare?
Per me ricordare ha un significato se c’è qualcuno disposto ad ascoltare. La mia esperienza è molto traumatica: finita la guerra, tornata dall’esilio svizzero – ero profuga – ho trovato, al mio rientro, un muro impenetrabile davanti a me. Nessuno voleva sapere. Questa impressione, di un’Italia che non voleva ascoltare e che non voleva fare i conti col proprio passato, è stata una ferita che non si è chiusa per molti anni.
Quando è cambiato qualcosa?
Quando nel 1990, in pieno periodo dei naziskin, una scuola – ancora non c’era il Giorno della Memoria – mi ha contatto per andare a raccontare la mia testimonianza presso il proprio istituto…
intervista a Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma
La visita di papa Francesco in Sinagoga a Roma è stata accolta con molto calore dalla comunità ebraica: «Un evento altamente simbolico che ha lanciato parole di amicizia, rispetto e pace», ha commentato il rabbino capo Di Segni in questa intervista per Confronti a cura di Claudio Paravati.
Dopo Giovanni Paolo II (nel 1986) e Benedetto XVI (nel 2010), anche papa Francesco ha fatto visita al Tempio Maggiore di Roma, dove è stato accolto domenica 17 gennaio calorosamente dalla comunità ebraica romana, e dai discorsi di saluto di Ruth Dureghello (presidente della Comunità romana), Renzo Gattegna (presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane – Ucei) e dal rabbino capo Riccardo Di Segni.
di Claudio Paravati
La strage di Parigi del 13 novembre ha fatto aumentare la diffidenza verso tutti i musulmani presenti in Europa, come se fossero tutti sostenitori dello Stato islamico. Pur non avendo alcuna responsabilità per le violenze, la comunità musulmana italiana ha voluto opportunamente dare un segnale che risultasse chiaro a tutta l’opinione pubblica allarmata dalla propaganda populista anti-islamica, scendendo in piazza il 21 novembre al grido di «Not in my name».
Beirut (12 novembre, 43 morti), Parigi (13 novembre, 129 morti, 300 feriti), Bamako, in Mali (20 novembre, 170 ostaggi, 22 morti): questo è il pesante bollettino di novembre del terrorismo del cosiddetto Stato islamico (l’Isis, il cui acronimo, in arabo, è Daesh) e dei movimenti a esso affiliati. Un’azione terribile di guerra «a pezzetti» perpetrata, con drammatica folle lucidità, da coloro che seguono una propria ideologia del terrore.
Il terrore. A dieci mesi da Charlie Hebdo, ancora una volta la Parigi di Rousseau e Voltaire è stata colpita. Questa volta però con una violenza ancor più impressionante: sei attacchi coordinati nel giro di 33 minuti, sparando sulla folla…
di Claudio Paravati
Oggi in Italia possiamo parlare di un «nuovo pluralismo religioso», dovuto in buona parte all’arrivo di comunità differenti, portatrici anche di religioni prima non presenti nel paese. Tra i molti dati del Dossier Statistico Immigrazione 2015, vi sono anche le nuove stime dell’appartenenza religiosa riguardo alla popolazione straniera. Classificare le persone secondo il credo non è un’operazione semplice e sarebbe sbagliato farlo «meccanicamente» sulla base del paese d’origine.
Che siano «ponti di Babele» invece che «torri», di pluralità è comunque necessario parlare oggi forse più che ieri, in un’Italia che faticosamente prende coscienza di essere terra di religioni, al plurale, e non solo di religione, una, santa e universale. Capita che, quando se ne accorga, subito dopo si faccia prendere dal timore di perdere la propria presunta «identità». O almeno c’è chi dice così: persino su importanti e diffuse testate nazionali c’è chi propone lo schema della reciprocità non solo per i diritti, tra cui quello di costruire i luoghi di culto, ma persino per il dialogo tra le religioni.
di Claudio Paravati e Luigi Sandri
Accolto con tutti gli onori all’Avana, dove ha salutato anche l’ex lider maximo Fidel Castro, Francesco ha implicitamente indicato ai cattolici – la metà dei cubani – la strada per aiutare il passaggio dallo status quo ad un paese rinnovato che dispieghi le sue potenzialità e garantisca libertà di esprimersi a tutte le sue anime.
Se dal punto di vista mediatico l’icona del pellegrinaggio di papa Francesco a Cuba è stata il suo incontro con Fidel Castro, a livello profondo la domanda sottesa che attraversava in filigrana discorsi e gesti del pontefice e quelli dei suoi interlocutori – presidente Raúl Castro, vescovi, religiosi/e, giovani – era sul «come» accompagnare nel modo migliore la transizione del regime cubano dallo status quo alla «cosa», per ora indecifrabile, che si imporrà a seguito del miglioramento delle relazioni con gli Stati Uniti d’America, e che prima o poi inevitabilmente comporterà la fine del bloqueo (l’embargo che dura dal 1961, quando John Kennedy lo impose all’isola castrista, e che Raúl ha definito «crudele, illegale e immorale»); e che si imporrà all’uscita dei fratelli Castro dalla scena politica. Questo sembra a noi il filo rosso che ha collegato i vari eventi della visita papale (19-22 settembre) a Cuba
Come ogni settembre, Confronti propone ai suoi lettori un numero monografico. Il tema di quest’anno è «Religioni ed economia». All’interno di questo articolo, potrete trovare l’elenco degli autori che hanno scritto per noi sull’argomento.
presentazione di Claudio Paravati
Il mondo è «upside down», a testa in giù, se pensiamo che nel 1939 si cantava in Italia il singolo di successo Mille lire al mese, col suo carico di speranza (…malriposta, data l’imminenza della guerra), dieci anni dopo la grande crisi del 1929, che aveva traumatizzato il sistema economico mondiale basato fino ad allora sulla fiducia in una crescita illimitata. Il mondo è «upside down», a testa in giù, se pensiamo che alcuni decenni dopo, negli anni Novanta del secolo scorso, si cantava «Se avessi un milione di dollari» (If I had a million dollar): senz’altro era cambiato il potere d’acquisto, questo è sicuro. Eppure è un mondo che faceva – e fa tuttora – i conti «con i conti»: la crisi del 2008, ancora in atto, ha messo nuovamente in ginocchio l’ideologia della produzione illimitata, della «mano invisibile» del mercato, che tutto avrebbe dovuto regolare. Più realistica allora ci sembra un’altra canzone italiana degli anni Novanta che recitava con una certa rassegnazione «con un deca non si può andar via»…
di Claudio Paravati
«Licht aus – Luci spente» a Dresda, per spegnere i riflettori sulle migliaia di persone che marciano contro la presunta islamizzazione dell’Occidente. Per l’occasione il movimento Pegida (Patrioti europei contro l’islamizzazione dell’Occidente) ha rispolverato il termine Abendland, per definire l’Occidente, al posto di Westen. Scelta terminologica tutt’altro che secondaria, dato che rimanda a quell’Europa pre-bellica, figlia del grande rinascimento teutonico, dei Goethe, Schiller, Kant sino a Spengler, autore del «Tramonto dell’Occidente» (Abendland per l’appunto). «Westen» è il nome invece del patto atlantico, della stagione di un blocco di mondo contro un altro, durante la Guerra Fredda. Abendland è la terra del tramonto (dove tramonta il sole), del chiaroscuro, del passaggio alla vecchiaia in vista, si sperava, di una rinascita. Hölderlin, il poeta, ricorda: «dove il pericolo cresce, cresce anche ciò che salva». Un mondo sepolto, richiamato da Pegida in parole chiave, slogan, motti, che di quel mondo ne fanno caricatura.
di Claudio Paravati
Con questo editoriale, Claudio Paravati inizia la sua direzione di Confronti. Gli auguri e l’in bocca al lupo di tutta la redazione, dell’ufficio di Confronti e della Cooperativa Com Nuovi Tempi.
C’è un tempo per ogni cosa sotto il cielo. L’imprevedibile avvicendamento della vita ci è consegnato dalla sapienza antica. Tutto è vanità, per di più, ci viene detto. Questo per ricordare che il mondo consegnatoci è transeunte, manchevole, in continuo movimento. La sfera dei «più», delle molte parole, è quella che ereditiamo, quella dimensione della parola, dell’incontro, della politica, della società nella quale siamo chiamati a esistere, coesistere, intervenire. Le modalità di intervento sono altresì molteplici. In questo fiume nel quale di volta in volta «siamo e non siamo» è la vita che scorre. Noi tutti, uomini e donne, abbiamo la capacità di prendere la parola, di intervenire, contrappuntare quel flusso magmatico, che attraverso le nostre voci e le nostre vite diviene polifonico, polifonia.
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