di Cristina Obber (giornalista e scrittrice; tra i suoi libri: “Siria mon amour” e “L’altra parte di me”; scrive sul blog “La27esima ora” del Corriere della sera, su cui questo articolo è stato pubblicato).
Mi chiedono spesso che cosa dicono i ragazzi nelle scuole. Da nord a sud, dai licei classici ai professionali, i ragazzi e le ragazze non sono un’entità omogenea, come non lo siamo noi adulti. Serve precisarlo? Sì, serve, perché spesso sentiamo parlare di adolescenti in termini assoluti, che non li rappresentano. Rispetto all’omosessualità sento dire le cose più diverse, e anche quando ciò che sento non mi piace mi rendo benissimo conto di quanto sia importante anche solo pronunciare ad alta voce certe parole, certe sensazioni, condividerle, mettere in fila i pensieri.
Come quando Matteo, 17 anni, mi dice che gli omosessuali gli fanno schifo; quando chiedo a lui e ai suoi sostenitori quali altre “categorie” di persone gli fanno schifo si parla di barboni, e anche di tossici, ma senza motivazioni che oltrepassino la misera soglia del «perché sono dei falliti»; per alcuni tutto ciò che esce dal modello di maschio eterosessuale virile socialmente riconosciuto come vincente è un perdente, e allora meglio tenerlo lontano, non esserne contaminati. Meglio schifarlo, appunto.
Tag: