di Marco Mazzoli (professore di politica economica all’Università di Genova)
Le decisioni di Trump di imporre dazi doganali sulle interpretazioni non sono una semplice scelta di politica economica, ma vanno inquadrate nel più generale contesto geo-politico. La prima conseguenza dei dazi sulle importazioni è che anche altri Paesi adottino a loro volta dazi come contromisura, con la possibilità di riduzione del Pil mondiale.
economia
di Marco Mazzoli (professore di Politica economica, Università di Genova)
A sessant’anni dai trattati di Roma, si continua a discutere del “deficit democratico” dell’Unione europea, che purtroppo non è ancora riuscita a mettere in pratica il modello classico di democrazia: un governo federale democraticamente eletto che risponde del proprio operato a un’opinione pubblica europea.
di Marco Mazzoli (professore di Politica economica, Università di Genova)
Il Transatlantic Trade and Investment Partnership è costituito da una serie di negoziazioni di trattati commerciali, condotti prevalentemente in segreto tra l’Unione europea e gli Stati Uniti d’America, con la motivazione ufficiale di «ridurre le barriere commerciali» tra Unione europea e Stati Uniti. Già il fatto che i contenuti della negoziazione, i suoi contorni e i suoi obiettivi siano segreti è di per sé inaccettabile per una democrazia rappresentativa (teoricamente dovrebbe esserlo anche l’Unione europea e, teoricamente, dovrebbero essere democratiche le sue istituzioni) e richiama, nel metodo, i trattati segreti tra le monarchie assolute, dove i governanti guidano sudditi e non cittadini.
Soprattutto, questa assenza di trasparenza non è certamente saggia in una fase in cui le istituzioni europee non godono esattamente di grande popolarità. Una forte impostazione ideologica già caratterizza l’architettura istituzionale dell’Unione europea, che prevede una moneta unica, non solo senza una politica fiscale “federale” europea, ma, per di più, senza il minimo coordinamento né la minima armonizzazione tra le politiche fiscali nazionali.
Julian Nida-Rümelin DEMOCRAZIA E VERITÀ Franco Angeli, 2015 128 pagine, 17 euro In democrazia bisogna rinunciare alla verità pur di garantire la…
di Marco Mazzoli (professore di Politica economica all’Università di Genova)
Il 2016 si è aperto in un clima di inquietudine, tra emergenze umanitarie, conflitti sempre più drammatici (non più solo nel martoriato Medio Oriente) e preoccupazioni di carattere economico, legate al crollo della borsa cinese: un fatto molto rilevante per l’economia globale, dato che il Pil cinese rappresenta oltre il 13% del Pil mondiale. Nel 2016 i fattori geopolitici potrebbero influire sull’economia mondiale molto più di quanto sia avvenuto in tempi recenti. Partiamo dalla Cina. Il crollo della borsa è stato preceduto, nei mesi passati, da numerosi segnali di rallentamento della crescita cinese: il nuovo dato della Bank of China, che ha rivisto la sua previsione di crescita per il 2016 al 6,8%, è in calo sia rispetto alla precedente previsione (6,9%) che rispetto ai dati dell’inizio del 2015, attestati intorno al 7%. Dopo che nel luglio 2015 si era registrato un rallentamento delle esportazioni, in agosto le autorità monetarie cinesi hanno svalutato lo yuan. Ovviamente, lo scopo era quello di sostenere le esportazioni e, di conseguenza, la crescita del Pil.
Tuttavia è importante osservare le modalità inusuali con cui tale misura è stata messa in atto: se, in generale, questo tipo di decisioni sono implementate dalle autorità in modo rapido e drastico, nell’arco di poche ore, la svalutazione dell’agosto 2015 è stata effettuata a diverse riprese, nell’arco di più giorni.
di Marisa Patulli Trythall
Quasi tutti gli articoli del dossier «Religioni ed economia» (pubblicato da Confronti nel settembre scorso) hanno suscitato in me commenti, pensieri, ricordi, curiosità, interesse per un’esposizione particolare, originale, del tema trattato e mi sono interrogata a lungo sul tipo di approccio che avrei personalmente utilizzato o che avrei desiderato leggere. Ho certamente apprezzato la presentazione, che tratteggia molto efficacemente il globale senso di disorientamento che, forse, in tutto il mondo si prova. Certamente ciascuno in modi, intensità e condizioni socio-economiche diverse. Si parla di «religioni che vogliono valere» e di sistemi economici che producono «valore». Viene lanciato insomma un macigno in uno stagno, imbevendo tutti coloro che lo leggono, lo ascoltano e osservano, di una pioggia di significati, di termini politici, economici, religiosi che coprono l’arco della storia a noi nota.
Riceviamo e volentieri pubblichiamo queste riflessioni di Mario Campli sul numero di Confronti di settembre dedicato a religioni ed economia
Come abbonato e lettore della nostra rivista (durante il suo ricco percorso: COM, Com-Nuovi Tempi e poi Confronti) ci tengo ad esprimermi su questo numero, per la serietà dell’operazione culturale compiuta; non scontata e non semplice in questo tempo di sovrabbondante concitazione sulle problematiche economiche e sul ritornato ruolo delle religioni. Ecco, quindi, il motivo prioritario per cui tengo ad intervenire: il Quaderno è un utile abbecedario su ambedue i termini della relazione. Dopo aver ascoltato anche le relazioni (nel corso della presentazione che si è tenuta il 23 ottobre al Salone dell’editoria sociale di Roma), la mia lettura del Quaderno parte, volutamente ed esplicitamente, da questo interrogativo: «È possibile un cambiamento della cultura economica?» ( titolo del saggio di Roberto Schiattarella).
Caro direttore, partire da qui richiede un approccio analitico (necessario, per chi parla di economia) e non ideologico (doveroso, per chi parla di religione) e responsabile, nel senso di rispondere a chi legge o ascolta o con te riflette e si interroga con la tensione del cambiamento. Spesso, al contrario, ho la sensazione che proprio il critico radicale non abbia questo obiettivo, o lo abbia ormai accantonato.
di Felice Mill Colorni
Così com’è strutturata, l’Unione europea è un’aggregazione male assortita di Stati nazionali privi di reale sovranità. Allo stesso tempo, però, anche l’Europa nel suo assieme manca di sovranità, non dimostra la volontà di andare verso un vero federalismo europeo e continua così a contare poco sul piano internazionale.
C’è poco da fare. A livello statale non è più possibile nessuna forma di autodeterminazione democratica. O la politica europea si dota di strumenti di decisione democratica a livello europeo, o la democrazia non può più funzionare. Prima lo si capirà e meno disastrosi saranno gli effetti sull’idea stessa di democrazia. La sovranità nazionale non esiste più, e non è comunque più uno strumento adeguato alle sfide del nostro tempo. La lista Tsipras, qualunque cosa se ne pensasse, era parsa a molti portatrice di un’alternativa politica radicale alle politiche economiche prevalenti in tutta Europa.
Come ogni settembre, Confronti propone ai suoi lettori un numero monografico. Il tema di quest’anno è «Religioni ed economia». All’interno di questo articolo, potrete trovare l’elenco degli autori che hanno scritto per noi sull’argomento.
presentazione di Claudio Paravati
Il mondo è «upside down», a testa in giù, se pensiamo che nel 1939 si cantava in Italia il singolo di successo Mille lire al mese, col suo carico di speranza (…malriposta, data l’imminenza della guerra), dieci anni dopo la grande crisi del 1929, che aveva traumatizzato il sistema economico mondiale basato fino ad allora sulla fiducia in una crescita illimitata. Il mondo è «upside down», a testa in giù, se pensiamo che alcuni decenni dopo, negli anni Novanta del secolo scorso, si cantava «Se avessi un milione di dollari» (If I had a million dollar): senz’altro era cambiato il potere d’acquisto, questo è sicuro. Eppure è un mondo che faceva – e fa tuttora – i conti «con i conti»: la crisi del 2008, ancora in atto, ha messo nuovamente in ginocchio l’ideologia della produzione illimitata, della «mano invisibile» del mercato, che tutto avrebbe dovuto regolare. Più realistica allora ci sembra un’altra canzone italiana degli anni Novanta che recitava con una certa rassegnazione «con un deca non si può andar via»…
di Brunetto Salvarani (teologo, direttore di CEM Mondialità e di Qol – curatore del dossier “Religioni ed economia” assieme al direttore di Confronti, Claudio Paravati)
«Dovremo adattarci ad avere meno risorse. Meno soldi in tasca. Essere più poveri. Ecco la parola maledetta: povertà. Ma dovremo farci l’abitudine. Se il mondo occidentale andrà più piano, anche tutti noi dovremo rallentare. Proviamoci, con un po’ di storia alle spalle, con un po’ d’intelligenza e d’umanità davanti» (Edmondo Berselli, L’economia giusta, 2010).
La crisi finanziaria ed economica scoppiata nel 2008 e le successive difficoltà di quelle economie occidentali che fino a tempi recenti sembravano prosperare ci hanno costretto a riaprire un’agenda che sembrava definitivamente chiusa con la definitiva vittoria del capitalismo e la contestuale catastrofe dei sistemi del cosiddetto «socialismo reale». La cosa ha spinto fra l’altro diversi autori a mettere a tema le questioni economiche, la loro fragilità e il loro rapporto con i sistemi religiosi…