intervista ad Aldo Cazzullo (a cura di Gian Mario Gillio)
«Raggi e Appendino, due volti giovani, poco conosciuti e freschi, sono apparsi come uno specchio in cui ogni singolo elettore ha potuto riconoscere se stesso». Cazzullo è editorialista e inviato del Corriere delle Sera.
Cazzullo, torinese e da 14 anni residente a Roma, che idea si è fatto dei risultati delle ultime amministrative di due città, Roma e Torino, che le appartengono?
«Al di là dei risultati, ciò che ho trovato un po’ stridente è stata l’esaltazione mediatica dei due personaggi femminili: Raggi e Appendino. Sono state definite da molti come «il nuovo che avanza», e fin qui può andare. Ho trovato invece fuori luogo il paragone fatto con le due prime cittadine di Madrid e Barcellona: Manuela Carmena e Ada Colau. Due donne, queste ultime, con un pregresso importante: Carmena come magistrato e Colau come attivista per i diritti umani. Virginia Raggi e Chiara Appendino fino a prima dell’elezione erano due consigliere comunali che hanno fatto bene il loro lavoro di opposizione e che hanno saputo incarnare la volontà di cambiamento che due grandi città come Roma e Torino stavano cercando».
elezioni
di Adriano Gizzi
Riconosce la sconfitta alle amministrative, ma come ricetta propone di mantenere la rotta che per molti è proprio la causa della crisi del Pd.
di Franco Cardini (storico)
Le elezioni legislative di novembre hanno rafforzato la posizione di Erdogan. Consapevole dell’importanza geostrategica della Turchia per la Nato, il «sultano» manda segnali chiari all’Europa giocando la carta dei profughi e avverte la Russia – abbattendo un suo aereo militare – che Ankara difenderà i suoi interessi nel Medio Oriente.
Possiamo forse adesso cominciare a capire come sfrutterà Erdogan la sua prestigiosa vittoria nelle elezioni, ma da qui a sostenere che ci sono stati dei brogli, delle intimidazioni, delle violenze, ce ne corre. Anzi, diciamolo pure: a parte qualche caso particolare e qualche diceria, sostanzialmente non è vero. L’affluenza ai seggi è stata alta ma ordinata, com’è del resto nelle tradizioni turche. Gente abituata alla disciplina, e non da ieri, i turchi sono disciplinati perfino quando protestano. La Turchia si è espressa liberamente e a larga maggioranza: sta con Erdogan, ed è perfettamente inutile rispolverare la solita obiezione idiota che «anche Hitler andò al potere vincendo libere elezioni». Un paragone che non vuol dir nulla.
di Pippo Civati
La vicenda che riguarda il Portogallo è un fatto politico senza precedenti per l’Europa. Un governo di coalizione di sinistra – che avrebbe i numeri sufficienti per governare – trova un presidente della Repubblica indisponibile alla sua formazione, nonostante appunto abbia i numeri in Parlamento (qualcuno ha parlato di «Napolitaño», ma come è noto l’argomento dei numeri, che peraltro allora contestai, quando Bersani chiese di poter andare alle Camere rappresentava un argomento reale: in Portogallo nemmeno quello).
Non sono bastate nemmeno le rassicurazioni di una parte della coalizione di sinistra (favorevole all’uscita dall’euro e dalla Nato) che avrebbe rinunciato ad alcune parti del suo programma proprio per poter formare un governo. Ci si è voltati dall’altra parte, per mantenere un rapporto sereno con l’Europa e soprattutto con i mercati. Larghe intese a prescindere, dal voto dei cittadini e dalla proporzione dei numeri. Uno si domanda a che cosa serva indire libere elezioni, se il risultato libero non è.
di Mostafa El Ayoubi
Quando il 3 luglio 2013 l’islamista Mohamed Morsi, eletto presidente dell’Egitto nel giugno 2012, è stato deposto per mano di Abdel Fattah al Sisi, capo delle forze armate, ministro della Difesa (e attuale vice primo ministro), non tutti gli osservatori erano d’accordo nel definire quell’operazione un colpo di stato militare. Secondo la narrazione ufficiale, la rimozione di Morsi è stata voluta da 30 milioni di egiziani scesi in piazza il 30 giugno 2013 e il Consiglio supremo delle forze armate (Csfa) è intervenuto in nome del popolo e della democrazia. In realtà è stato l’esercito a strumentalizzare la piazza per riprendere il potere che aveva ceduto per un anno agli islamisti. Infatti il generale al Sisi – che di fatto gestisce l’attuale fase di transizione – si è ufficialmente candidato nel marzo scorso, dopo aver lasciato il suo incarico di capo del Csfa, alle elezioni presidenziali del 26-27 maggio prossimo. E salvo clamorosi colpi di scena l’ex generale verrà incoronato a giugno come nuovo rais dell’Egitto. In questo paese, avere al vertice dello Stato un militare è una tradizione iniziata nel 1952, anno in cui l’esercito con un colpo di Stato strappò il potere al monarca Farouk.
l risultato delle elezioni di febbraio ha riportato al centro dell’attenzione la necessità di una riforma elettorale. Tutti vogliono disfarsi del porcellum, ma non c’è accordo sul come. Nessuna legge potrà mai conciliare pienamente governabilità e rappresentatività, ma questa è riuscita nel «capolavoro» di colpirle entrambe.
Settimana decisiva per la legge elettorale. Questo l’ottimistico titolo che giornali e televisioni hanno ripetuto ininterrottamente tra giugno e inizio dicembre dell’anno scorso. Per mesi sembrava che le forze politiche fossero alla vigilia di un accordo che finalmente cancellasse il porcellum, la legge che il suo stesso autore – il leghista Calderoli – ha definito «una porcata» e che poi tutti si sono affrettati a rinnegare, compreso quel centro-destra che l’aveva votata.
In questa campagna elettorale non vale la logica secondo cui «il nemico del mio nemico è mio amico». Le forze politiche – moltiplicatesi negli ultimi mesi – tendono infatti a differenziarsi, accentuando i motivi di scontro. E dopo le elezioni torneranno a nuove disgregazioni e riarticolazioni, come accade da vent’anni.
«Affermare un’idea di rinnovamento che cancella i diritti è innovazione solo nelle apparenze – si afferma “io cambio” – ma nella sostanza è regressione profonda, sia culturale che civile».
Tutti ricordano la sua attività come presidente dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali, ma il giurista Stefano Rodotà in precedenza è stato anche parlamentare della Sinistra indipendente e poi del Pds.