di Enzo Nucci. Corrispondente della Rai per l’Africa subsahariana Lo scorso 18 agosto i militari sono stati molto abili nel cavalcare il…
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di Raul Caruso. Economista, Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano). Direttore del Center for Peace Science Integration and Cooperation (CESPIC) di Tirana.…
di Enrico Campofreda. Giornalista e scrittore. La guerra a bassa intensità, imposta dalla lobby militare del presidente Al Sisi non tanto ai…
In tempo di crisi la prima reazione è quella di riscoprire un qualche tipo di patriottismo, che resiste come una delle poche idee di comunità cui sappiamo ancora fare riferimento. Ma come sarebbe il mondo se…
di Mostafa El Ayoubi
Quando il 3 luglio 2013 l’islamista Mohamed Morsi, eletto presidente dell’Egitto nel giugno 2012, è stato deposto per mano di Abdel Fattah al Sisi, capo delle forze armate, ministro della Difesa (e attuale vice primo ministro), non tutti gli osservatori erano d’accordo nel definire quell’operazione un colpo di stato militare. Secondo la narrazione ufficiale, la rimozione di Morsi è stata voluta da 30 milioni di egiziani scesi in piazza il 30 giugno 2013 e il Consiglio supremo delle forze armate (Csfa) è intervenuto in nome del popolo e della democrazia. In realtà è stato l’esercito a strumentalizzare la piazza per riprendere il potere che aveva ceduto per un anno agli islamisti. Infatti il generale al Sisi – che di fatto gestisce l’attuale fase di transizione – si è ufficialmente candidato nel marzo scorso, dopo aver lasciato il suo incarico di capo del Csfa, alle elezioni presidenziali del 26-27 maggio prossimo. E salvo clamorosi colpi di scena l’ex generale verrà incoronato a giugno come nuovo rais dell’Egitto. In questo paese, avere al vertice dello Stato un militare è una tradizione iniziata nel 1952, anno in cui l’esercito con un colpo di Stato strappò il potere al monarca Farouk.