di Giancarla Codrignani
Ci sono diritti che, nella ricerca di sistemazione giuridica, forniscono materia per estendere l’educazione civica dei cittadini. Uno di questi è la famiglia: se fosse “naturale” non avrebbe bisogno di leggi. Infatti nessuno dice come deve essere la forma del corpo; ma i corpi entrano in relazione e la scelta delle relazioni conformano il costume rendendo necessarie le regole.
Leggo in Diritto d’amore di Stefano Rodotà che la Costituzione italiana ha modificato “la gerarchia delle fonti giuridiche… sì che non era possibile invocare il codice contro la Costituzione”: Maria Maddalena Rossi subito intervenne a chiarire il punto dolente sulla famiglia, richiamando la volontà delle donne di cambiare, in coerenza con questi principi, il codice civile che le rendeva subalterne nel matrimonio.
Certo, per un Calamandrei poco convinto di una strana “famiglia democratica” e ben convinto che il marito fosse “il capo” della medesima, l’arcobaleno dei diritti genitoriali sarebbe stato impensabile. Eppure tutti conoscono i secoli di clandestinità e di sofferenze per migliaia di “diversi” disprezzati e perfino suicidi, mentre alle leggi (civili) piaceva solo il matrimonio tra un uomo e una donna nella versione religiosa, praticata anche dagli atei perché socialmente approvata, oppure laica, ormai più diffusa anche per molti cristiani ma un tempo trasgressiva rispetto alle regole sociali che ne hanno determinato le leggi. Sennonché al codice civile non importa nulla che le persone si vogliano bene per sposarsi, è sempre più praticata la “convivenza fondata sull’amore”. Dedicare una riflessione ai 128 femminicidi del 2015? Tutto bene?
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