di Brunetto Salvarani (teologo, saggista, direttore di Qol)
Lo scorso 12 maggio, parlando all’Unione Internazionale delle Superiore Generali, a una domanda sulla creazione di figure diaconali al femminile, papa Francesco ha risposto di voler costituire una commissione che studi la questione. Tanto è bastato per rilanciare non solo l’idea di ordinare delle donne in una Chiesa che, com’è noto, non le ammette a divenire presbitere, ma anche per rilanciare un dibattito sul loro ruolo complessivo: lo stesso Bergoglio, nell’occasione, ha ammesso che in ambito ecclesiale «è molto debole l’inserimento delle donne nei processi decisionali».
L’intervento è passato nell’opinione pubblica per il tema donne e diaconato: il che, ha evidenziato la presidentessa del Coordinamento teologhe italiane, Cristina Simonelli, mostra che i tanti rifiuti a discutere l’argomento nel mezzo secolo che ci separa dal Vaticano II non sono per nulla condivisi nella comunità ecclesiale. Non solo dalle donne, consacrate o no, ma anche da molti uomini.
Francesco
“Vino Nuovo in otri vecchi: Novità e contraddizioni nelle comunità e nella società al tempo di Francesco”. Questo il titolo del XXXVI Incontro nazionale delle Comunità cristiane di base che si è tenuto a Verona a fine aprile. Pubblichiamo di seguito alcuni interventi di chi ha dato vita a quel dibattito articolato. I primi due li trovate anche sul numero di giugno 2016 di Confronti.
Amoris Laetitia e pastorale per le persone omosessuali: alcune considerazioni
di Damiano Migliorini (filosofo, specializzato in scienze religiose)
L’Amoris Laetitia era un’esortazione molto attesa dalle persone omosessuali, che da tempo vedevano in papa Francesco il possibile sostenitore di un’apertura verso nuovi linguaggi e nuove prospettive circa la dottrina sull’omosessualità. La modalità di gestione da lui decisa per il Sinodo 2014-15 aveva dato grande slancio alle loro speranze; un’aspettativa probabilmente troppo elevata, gradualmente ridimensionata mano a mano che il Sinodo ha proseguito la sua discussione, producendo i documenti che ben conosciamo. Vi era comunque la speranza che il papa potesse aggiungere o togliere qualcosa, rispetto a quanto presentatogli dai padri sinodali.
di Luca Baratto (servizio stampa, radio e televisione della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, curatore della trasmissione “Culto evangelico” di Radio Uno)
Tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo si sono verificati tre eventi significativi per il rapporto tra le Chiese evangeliche italiane e la Chiesa cattolica romana. Vediamoli cronologicamente. Il 29 febbraio a Roma, gli esponenti delle Chiese che fanno riferimento alla Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei), sono stati invitati dai responsabili dell’Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso (Unedi) della Cei per discutere insieme di un convegno nazionale sul protestantesimo, che l’Unedi organizzerà il prossimo novembre a Trento, alla vigilia del Cinquecentenario della Riforma protestante. A molti dei partecipanti evangelici questo invito, sebbene in un contesto e con modalità diverse, ha ricordato i Convegni ecumenici nazionali organizzati in passato, anche con la Sacra arcidiocesi ortodossa d’Italia, e ormai dimenticati da anni.
36° INCONTRO NAZIONALE DELLE COMUNITÀ CRISTIANE DI BASE ITALIANE
36° INCONTRO NAZIONALE DELLE COMUNITÀ CRISTIANE DI BASE ITALIANE
Verona, 23-25 aprile 2016
Fondazione CUM – Via Bacilieri, 1
“Vino nuovo in otri vecchi” (Lc, 5,37)
Novità e contraddizioni nella comunità e nella società al tempo di Francesco
(all’interno il programma completo)
intervista a Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma
La visita di papa Francesco in Sinagoga a Roma è stata accolta con molto calore dalla comunità ebraica: «Un evento altamente simbolico che ha lanciato parole di amicizia, rispetto e pace», ha commentato il rabbino capo Di Segni in questa intervista per Confronti a cura di Claudio Paravati.
Dopo Giovanni Paolo II (nel 1986) e Benedetto XVI (nel 2010), anche papa Francesco ha fatto visita al Tempio Maggiore di Roma, dove è stato accolto domenica 17 gennaio calorosamente dalla comunità ebraica romana, e dai discorsi di saluto di Ruth Dureghello (presidente della Comunità romana), Renzo Gattegna (presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane – Ucei) e dal rabbino capo Riccardo Di Segni.
di Luigi Sandri
La storia insegna che, quando tra un papa regnante e i fedeli s’intreccia un certo “feeling”, le parole d’ordine e gli esempi che vengono da Roma sono particolarmente sentiti e seguiti. Perciò, che Francesco abbia indetto un Giubileo straordinario della misericordia, è una scelta davvero feconda, in prospettiva capace di avviare una rivoluzione, pacifica ma trascinante, all’interno della Chiesa cattolica e, per contagio, almeno in parte, al di fuori di essa. Continuando per un anno a suonare l’inno della e alla misericordia, la campana di San Pietro rende dunque un servizio prezioso.
Ma che significa “misericordia”? Quella del Padre verso di noi che – sottolinea il papa – ci ama per primo e ci perdona sempre; e la disponibilità di ogni persona a perdonare chi le ha fatto un torto. È dunque l’invito a una conversione personale. Però la misericordia dovrebbe riguardare anche la Chiesa romana in quanto comunità semper reformanda, insiste Francesco.
Francesco Peloso, «La banca del Papa. Le finanze vaticane fra scandali e riforma», Marsilio, Roma 2015, 220 pagine, 16 euro. di…
di Luigi Sandri
L’Assemblea che in ottobre (4-25) ha riflettuto sulla famiglia ha raggiunto alcune conclusioni aperte al futuro ma, su molti temi che hanno visto i «padri» divisi, ha confermato visioni pastorali arcaiche, respinte da molti cattolici. Il chiaroscuro del Sinodo accelera perciò la necessità di un nuovo e rappresentativo Concilio.
Sarà il tempo a dire se le conclusioni del Sinodo dei vescovi dedicato alla famiglia avranno portato pace e chiarezza all’interno della Chiesa cattolica romana, o se l’audacia su alcuni temi, la reticenza e le contraddizioni su altri, e l’armistizio su altri ancora – come la non esplicita ammissione alla comunione delle persone divorziate e risposate civilmente – riaprirà contrasti dottrinalmente irrisolti e dibattiti laceranti su problemi pastorali assai sentiti dalle persone direttamente interessate e dagli stessi parroci chiamati a «discernere caso per caso». E perciò papa Francesco, da una parte rinfrancato per alcuni «consigli» incoraggianti giuntigli da un’Assemblea consultiva che sembra aver compreso il suo leit-motiv sulla misericordia, ma anche reso pensoso per altri pesanti «no» o «ni», nella sua esortazione apostolica post-sinodale dovrà trovare una sintesi, aperta al futuro, tra le strade nuove imboccate e i problemi semplicemente rinviati e le parole attese ma non dette.
di Claudio Paravati e Luigi Sandri
Accolto con tutti gli onori all’Avana, dove ha salutato anche l’ex lider maximo Fidel Castro, Francesco ha implicitamente indicato ai cattolici – la metà dei cubani – la strada per aiutare il passaggio dallo status quo ad un paese rinnovato che dispieghi le sue potenzialità e garantisca libertà di esprimersi a tutte le sue anime.
Se dal punto di vista mediatico l’icona del pellegrinaggio di papa Francesco a Cuba è stata il suo incontro con Fidel Castro, a livello profondo la domanda sottesa che attraversava in filigrana discorsi e gesti del pontefice e quelli dei suoi interlocutori – presidente Raúl Castro, vescovi, religiosi/e, giovani – era sul «come» accompagnare nel modo migliore la transizione del regime cubano dallo status quo alla «cosa», per ora indecifrabile, che si imporrà a seguito del miglioramento delle relazioni con gli Stati Uniti d’America, e che prima o poi inevitabilmente comporterà la fine del bloqueo (l’embargo che dura dal 1961, quando John Kennedy lo impose all’isola castrista, e che Raúl ha definito «crudele, illegale e immorale»); e che si imporrà all’uscita dei fratelli Castro dalla scena politica. Questo sembra a noi il filo rosso che ha collegato i vari eventi della visita papale (19-22 settembre) a Cuba