Fuocoammare
di Gianfranco Rosi
(Italia, 2016)
Giorgio Brancia
un film di Abderrahmane Sissako
recensione a cura di Giorgio Brancia
Sissako allestisce una narrazione corale per raccontare l’attualità del Mali, paese d’origine dei suoi genitori e in cui vive ormai da anni. Attraverso le storie, le voci e i volti del pastore Touareg Kidane (Ibrahim Ahmed) e della sua orgogliosa famiglia, del piccolo Issan (Mehdi Ag Mohamed), del jihadista Abdelkerim (un credibilissimo Abel Jafri) e di altre decine di personaggi di contorno, il regista mostra quel microcosmo di divieti e angoscia in cui si è trasformata la città del titolo, dopo l’arrivo dei jihadisti nel 2012 (Timbuctu è stata poi liberata, nel 2013, grazie ad un intervento del governo francese). Non c’è, dunque, un vero e proprio protagonista, ma è un’intera città-ostaggio – simbolo di una popolazione, quella africana – ad essere descritta: così, solo per citare alcuni episodi, abbiamo la pescivendola che si rifiuta di mettersi i guanti perché non potrebbe pulire il pesce al mercato e si ribella alla polizia islamica; i ragazzi fustigati per aver cantato e suonato e per essere stati nella stessa stanza; la straziante sequenza della lapidazione di due amanti; il confronto tra l’imam della moschea di Timbuctu (Adel Mahmoud Cherif) e il leader dei jihadisti (Hichem Yacoubi) sull’interpretazione dell’islam, dove il primo propugna un’idea di pace e di dialogo, mentre il secondo vede un mondo di fede cieca dove applicare la sharia alla lettera.