di Antonio Sciotto (giornalista della redazione Economia e lavoro de “il manifesto”)
Non tutti lavorano meglio al tempo del Jobs act: se da un lato nel primo anno di applicazione della nuova legge si sono registrati nuovi contratti a tempo indeterminato e stabilizzazioni, come sottolinea il governo, dall’altro però si sono moltiplicate le occasioni di precarietà e impoverite le tutele. Un esempio per tutti: il boom dei voucher, una vera e propria esplosione, visto che dai 36 milioni del 2013 si è passati a 115 milioni nel 2015. Questo perché i buoni per il lavoro a chiamata – una sorta di ticket che retribuisce le singole prestazioni – sono stati liberalizzati e quindi trovano ormai le più svariate applicazioni, soprattutto nel terziario.
Le stesse assunzioni a tempo indeterminato – peraltro senza più l’articolo 18 come deterrente contro il licenziamento ingiustificato – sono state incentivate con sgravi molto generosi: 8000 euro per ogni neo-assunto nel 2015, che però scendono a poco più di 3mila per le imprese che attivano un contratto quest’anno. Molti analisti parlano di un “mercato drogato”: finiti gli incentivi (durano tre anni) si teme che potrebbe seguire una valanga di licenziamenti.
governo
di Pippo Civati
La vicenda che riguarda il Portogallo è un fatto politico senza precedenti per l’Europa. Un governo di coalizione di sinistra – che avrebbe i numeri sufficienti per governare – trova un presidente della Repubblica indisponibile alla sua formazione, nonostante appunto abbia i numeri in Parlamento (qualcuno ha parlato di «Napolitaño», ma come è noto l’argomento dei numeri, che peraltro allora contestai, quando Bersani chiese di poter andare alle Camere rappresentava un argomento reale: in Portogallo nemmeno quello).
Non sono bastate nemmeno le rassicurazioni di una parte della coalizione di sinistra (favorevole all’uscita dall’euro e dalla Nato) che avrebbe rinunciato ad alcune parti del suo programma proprio per poter formare un governo. Ci si è voltati dall’altra parte, per mantenere un rapporto sereno con l’Europa e soprattutto con i mercati. Larghe intese a prescindere, dal voto dei cittadini e dalla proporzione dei numeri. Uno si domanda a che cosa serva indire libere elezioni, se il risultato libero non è.
Appello a Renzi: accogliere i migranti e scongiurare il fallimento della Grecia
La 23ma Assemblea generale del Cilap Eapn Italia (Collegamento italiano lotta povertà – European Anti Poverty Network) si appella al presidente del Consiglio Renzi, all’Alto Rappresentante della Politica estera europea Mogherini e a tutti i capi di Governo europei, affinché vengano attuate al più presto tutte le misure necessarie per fermare le stragi nel Mediterraneo, costruendo una politica estera comune riguardante l’accoglienza. Si chiede con urgenza un cambio radicale dell’attuale politica economica europea, gestita dallo strapotere dei mercati finanziari, per scongiurare il fallimento della Grecia.
Roma, 22 giugno 2015 – L’Europa è a rischio di chiusura. Gli egoismi degli Stati nazionali, il respingimento dei migranti alle frontiere, le politiche economiche restrittive di austerità, lo smantellamento del welfare, la perdita del lavoro e l’aumento della povertà sono le facce più drammatiche di questa crisi che rischia di smantellare quanto abbiamo costruito in tutti questi anni per avere un’Europa unita.
di Vincenzo Vita
(già senatore del Partito democratico, nell’ultima legislatura Vita ha fatto parte della commissione di vigilanza Rai e si occupa da sempre di comunicazione e internet)
Il progetto di riforma radiotelevisiva di Renzi è una vera e propria controriforma: un passo indietro di quarant’anni, a prima della legge del 1975 che riformò davvero la Rai. Poi la ricerca del pluralismo degenerò nella lottizzazione, ma l’attuale progetto non affronta questo problema. Si vorrebbe una Rai sotto l’egida del «Partito della Nazione».
«Verrà un giorno…», diceva ne I promessi sposi Fra Cristoforo. E chissà se verrà mai un giorno in cui la questione della Rai assurgerà al rango di grande vicenda industriale, tecnologica e culturale. Già, perché – come sottolineò lucidamente Raymond Williams nel 1974 – la (radio)televisione è tecnologia e forma culturale. Tuttavia, speranze e profezie non trovano spazio nella concreta discussione in corso. Il disegno del governo Renzi è molto, molto di meno. Per riprendere la «leggerezza» di Calvino, si tratta di «sottrarre peso» ad annunci e descrizioni, separando la sostanza dall’accidente: il poco che rimane è limitato e terribile. Il baricentro del testo è di fatto uno solo: la conquista da parte dell’esecutivo della romana cittadella di viale Mazzini. Una vera e propria controriforma. Un grottesco (oltre che pericoloso) viaggio a ritroso nel tempo: si spostano indietro i calendari di quarant’anni.
di Corradino Mineo, senatore del Pd – Il problema di Renzi non è Renzi, sono gli altri. Si è affermato, come politico puro, grazie alla debordante volontà di potenza e dopo che i maestri della politica, i professionisti presunti di quel mestiere, uno dopo l’altro s’erano gettati giù dalla torre. Il «rottamatore» ha dato solo l’ultima spintarella. Molto di più hanno fatto Beppe Grillo, sputtanando l’opposizione inconcludente al ventennio di Berlusconi, e Giorgio Napolitano prima ricorrendo al governo dei tecnici e mostrando con che povera creta fosse impastata la «riserva della Repubblica», poi ostinandosi a proporre un governo costituente con Berlusconi, sovrapponendo alla palude le «larghe intese della Casta».
Così è arrivato sul proscenio il piè veloce, non scordiamolo. Ma cosa c’è dietro Renzi: il nulla sotto vuoto spinto, come pretende Maurizio Crozza? Vediamo. Ha accompagnato il Pd dentro il socialismo europeo ma sarebbe dura definirlo socialista. Né democristiano: gli manca il pensiero lungo di Moro, il senso dello Stato di Scalfaro, quello della mediazione di Prodi. La sera in cui vinse le primarie, Renzi chiamò l’Italia «la bella addormentata». Bella, per natura e cultura, ma dormiente, incapace di scuotersi dal torpore, e di scrollarsi di dosso le piattole che la tormentano.
di Stefano Fassina, deputato Pd – La politica economica dell’Unione europea e di ogni Stato dell’Unione deve avere come stella polare il lavoro. Il lavoro non può essere più il sotto-prodotto eventuale delle politiche di bilancio. Il problema del lavoro è essenzialmente un problema macro-economico. Poi, di politiche industriali, di contesto produttivo, di modello di impresa e di investimenti in innovazione di processo e di prodotto. Nella fase storica in corso, è anche un problema di redistribuzione dei tempi di lavoro. Il costo del lavoro, le regole del mercato del lavoro e le forme contrattuali possono essere, con soluzioni adeguate, soltanto un complemento. Il Decreto varato dal governo Renzi va cambiato in Parlamento. Nella versione presentata, è l’ennesimo intervento di svalutazione del lavoro, data l’impraticabile svalutazione della moneta, per tentare una impossibile competizione di costo all’inseguimento delle esportazioni.
di Adriano Gizzi – Al di là delle simpatie o antipatie per il personaggio, ma anche al di là del giudizio sui modi e lo stile, dopo la manovra politica che ha portato Renzi a sostituire Letta alla presidenza del Consiglio tutti si sono posti la stessa domanda: perché? Cosa lo ha spinto? Cosa gli dà tanta sicurezza?
Il 26 febbraio scorso si è tenuto alla Fondazione Basso di Roma un incontro organizzato da Lunaria e Sbilanciamoci.info su «L’alba del renzismo». L’occasione è stata fornita dall’uscita di un inserto speciale del quotidiano il manifesto (il quarto di una serie intitolata «Sbilanciamo l’Europa») dedicato al «Renzismo in arrivo».
di Felice Mill Colorni – Quasi a tutti, anche a chi non apprezzava il Presidente Nipote, la sostituzione di Renzi a Letta è sembrata, se non altro per le modalità, un’inutile e gratuita manifestazione di brutalità e di incontinenza, spiegabile più con gli strumenti dell’analisi psicologica e caratteriale che con quelli dell’analisi politica. L’inizio non cessa di essere pessimo…
l risultato delle elezioni di febbraio ha riportato al centro dell’attenzione la necessità di una riforma elettorale. Tutti vogliono disfarsi del porcellum, ma non c’è accordo sul come. Nessuna legge potrà mai conciliare pienamente governabilità e rappresentatività, ma questa è riuscita nel «capolavoro» di colpirle entrambe.
Settimana decisiva per la legge elettorale. Questo l’ottimistico titolo che giornali e televisioni hanno ripetuto ininterrottamente tra giugno e inizio dicembre dell’anno scorso. Per mesi sembrava che le forze politiche fossero alla vigilia di un accordo che finalmente cancellasse il porcellum, la legge che il suo stesso autore – il leghista Calderoli – ha definito «una porcata» e che poi tutti si sono affrettati a rinnegare, compreso quel centro-destra che l’aveva votata.
- 1
- 2