Tra le 3800 pagine di motivazioni della sentenza di primo grado del maxiprocesso che chiama in causa la cattiva gestione della grande fabbrica di Taranto, il racconto dei colleghi degli operai uccisi e dei periti inchiodano i dirigenti: assenza di formazione, manutenzione delle macchine inadeguata, ma la produzione doveva continuare ad ogni costo.
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Sei estati dopo il sequestro della più grande fabbrica italiana perché secondo i magistrati di Taranto: “produceva malattie e morte”, cosa è cambiato all’Ilva. Sette operai morti sul lavoro, centinaia di persone che ogni anno continuano ad ammalarsi nei quartieri vicini alla fabbrica. Un processo per disastro ambientale tuttora in corso, dodici decreti di legge, decine e decine di tavoli ministeriali. L’ultimo vertice, forse decisivo, tra i sindacati metalmeccanici, il ministero dello sviluppo economico e la multinazionale Arcelor Mittal, che si era aggiudicata a giugno scorso la gara per rilevare la fabbrica, bandita dal ministro precedente Carlo Calenda, si è concluso qualche giorno fa.