di Marco Mazzoli (professore di Politica economica, Università di Genova)
A sessant’anni dai trattati di Roma, si continua a discutere del “deficit democratico” dell’Unione europea, che purtroppo non è ancora riuscita a mettere in pratica il modello classico di democrazia: un governo federale democraticamente eletto che risponde del proprio operato a un’opinione pubblica europea.
Marco Mazzoli
di Marco Mazzoli (professore di Politica economica, Università di Genova)
Il Transatlantic Trade and Investment Partnership è costituito da una serie di negoziazioni di trattati commerciali, condotti prevalentemente in segreto tra l’Unione europea e gli Stati Uniti d’America, con la motivazione ufficiale di «ridurre le barriere commerciali» tra Unione europea e Stati Uniti. Già il fatto che i contenuti della negoziazione, i suoi contorni e i suoi obiettivi siano segreti è di per sé inaccettabile per una democrazia rappresentativa (teoricamente dovrebbe esserlo anche l’Unione europea e, teoricamente, dovrebbero essere democratiche le sue istituzioni) e richiama, nel metodo, i trattati segreti tra le monarchie assolute, dove i governanti guidano sudditi e non cittadini.
Soprattutto, questa assenza di trasparenza non è certamente saggia in una fase in cui le istituzioni europee non godono esattamente di grande popolarità. Una forte impostazione ideologica già caratterizza l’architettura istituzionale dell’Unione europea, che prevede una moneta unica, non solo senza una politica fiscale “federale” europea, ma, per di più, senza il minimo coordinamento né la minima armonizzazione tra le politiche fiscali nazionali.
di Marco Mazzoli (professore di Politica economica all’Università di Genova)
Il 2016 si è aperto in un clima di inquietudine, tra emergenze umanitarie, conflitti sempre più drammatici (non più solo nel martoriato Medio Oriente) e preoccupazioni di carattere economico, legate al crollo della borsa cinese: un fatto molto rilevante per l’economia globale, dato che il Pil cinese rappresenta oltre il 13% del Pil mondiale. Nel 2016 i fattori geopolitici potrebbero influire sull’economia mondiale molto più di quanto sia avvenuto in tempi recenti. Partiamo dalla Cina. Il crollo della borsa è stato preceduto, nei mesi passati, da numerosi segnali di rallentamento della crescita cinese: il nuovo dato della Bank of China, che ha rivisto la sua previsione di crescita per il 2016 al 6,8%, è in calo sia rispetto alla precedente previsione (6,9%) che rispetto ai dati dell’inizio del 2015, attestati intorno al 7%. Dopo che nel luglio 2015 si era registrato un rallentamento delle esportazioni, in agosto le autorità monetarie cinesi hanno svalutato lo yuan. Ovviamente, lo scopo era quello di sostenere le esportazioni e, di conseguenza, la crescita del Pil.
Tuttavia è importante osservare le modalità inusuali con cui tale misura è stata messa in atto: se, in generale, questo tipo di decisioni sono implementate dalle autorità in modo rapido e drastico, nell’arco di poche ore, la svalutazione dell’agosto 2015 è stata effettuata a diverse riprese, nell’arco di più giorni.
di Marco Mazzoli, professore di Politica Economica, Università di Genova
Il flagello del monetarismo (in inglese, «The Scourge of Monetarism») era il titolo di un pamphlet economico-politico con cui Lord Nicholas Kaldor, nel lontano 1982 disegnava con incredibile lucidità gli effetti sociali e le contraddizioni logiche del pensiero neoliberista, allora appena affermatosi con le vittorie elettorali di Margareth Thatcher in Gran Bretagna nel 1979 e Ronald Reagan negli Stati Uniti, nel 1980. Ed è proprio l’ideologia (perché di ideologia si tratta) neoliberista, del rigore fine a se stesso, a fare da sfondo alla crisi greca, che si evolve drammaticamente di ora in ora. Gli eventi si rincorrono con nuovi colpi di scena, ancora nel momento in cui sto scrivendo (pomeriggio del 13 luglio).
La mattina del 12 luglio, a seguito delle dure prese di posizione del ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble, le proposte di Tsipras per uscire dalla crisi, anche se molto vicine a quelle del Fondo monetario internazionale (Fmi), sono state ritenute non credibili da molti ministri «rigoristi» della Commissione Europea. La notte tra il 12 e il 13 luglio è stata estenuante e carica di tensione e si è giunti letteralmente ad un passo dall’uscita della Grecia dall’euro, che avrebbe comportato una crisi, forse irrimediabile, della moneta unica, oltre che una spaventosa crisi bancaria e di liquidità per il sistema finanziario greco, con esiti imprevedibili e costi sociali spaventosi.