Abbiamo chiesto a Daniele Garrone, docente di Antico Testamento alla Facoltà valdese di teologia, di tracciare un ritratto di Mario Miegge, uno degli intellettuali valdesi più noti e acuti, scomparso il 19 marzo scorso.
È troppo presto per tracciare un bilancio dell’eredità di Mario Miegge. Ora è il tempo del vuoto per la perdita di un intellettuale fine e rigoroso; di un interlocutore pungente e sensibile al tempo stesso; di un appassionato sostenitore della sfera pubblica come luogo di interazione, nella polis, di discorsi volti alla ricerca di un migliore assetto della consociatio umana, sempre minacciata da tirannidi; di un valdese appassionato e critico; di un compagno di tante battaglie; per molti di noi, di un amico. La sua vita può essere innanzitutto descritta in base alle sue «scelte professionali», alla professione che proprio lui ci ha sempre ricordato essere «vocazione». Nato nel 1932, dopo la laurea all’Università di Roma La Sapienza, fu docente al liceo classico di Avezzano e all’Università di Urbino, per poi divenire professore ordinario di Filosofia teoretica all’Università di Ferrara, che lasciò con il titolo di emerito. Qui fu, tra l’altro, tra i fondatori, e poi preside, della Facoltà di Magistero (ora «Lettere e filosofia»).
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