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Quella volta che (non) incontrai Maradona

by Goffredo Fofi 4 Dicembre 2020

di Goffredo Fofi 4 Dicembre 2020

di Goffredo Fofi. Scrittore, critico letterario e cinematografico, giornalista. Direttore della rivista Gli asini. Ho abitato a lungo a Napoli, in particolare…

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5 ore fa

Lo scorso 27 giugno, l’uccisione del diciassettenne Nahel Merzouk da parte di un agente di polizia ha scatenato un’ondata di proteste e una conseguente escalation di violenza. E le banlieue francesi tornano tragicamente al centro del dibattito per la questione integrazione.

Leggi l'articolo di Maurizio Ambrosini sul numero di settembre!
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1 giorno fa

🎵 Michele Lipori consiglia "12" di Ryuichi Sakamoto

L’ultimo album di Ryuichi Sakamoto, l’artista giapponese tra i pionieri della fusione tra musica etnica ed elettronica
scomparso a marzo scorso, 12, ha qualcosa di simile con Blackstar (2016) dell’amico David Bowie (con il quale era stato co-protagonista del celebre film Merry Christmas, Mr. Lawrence – Furyo diretto da Nagisa Ōshima nel 1983): entrambi sono vere e proprie meditazioni sulla consapevolezza dell’imminenza della propria morte.

Già nel 2014, la diagnosi di un tumore alla faringe aveva costretto Sakamoto a ritirarsi dalla musica e a portarlo a ridefinire il proprio lavoro: «Non do nulla per scontato – aveva dichiarato nel documentario Ryuichi Sakamoto: Coda del 2017 –. Ma so che voglio fare ancora musica. Musica che non mi vergognerò di lasciarmi alle spalle: un lavoro significativo».

Da quella riflessione seguì la registrazione del disco Async, un capolavoro cupo e introspettivo, dove si analizzava la presa di coscienza (evidentemente asincronica) con la realtà della malattia.

Similmente, 12 sembra avere la forma di un diario («D’ora in poi, vivrò accanto alla malattia», aveva annunciato quando gli era stato diagnosticato di nuovo un cancro), dove le varie tracce – che compongono una sorta di collage impressionistico in stile ambient – sono intitolate e messe in sequenza nell’ordine in cui sono state registrate. ... See MoreSee Less

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2 giorni fa

Thailandia. Il “buddhismo socialmente impegnato” in cerca di giustizia, di Michele Lipori

Il defunto maestro zen vietnamita Thích Nhất Hạnh aveva coniato il concetto di “buddhismo impegnato” durante la guerra del Vietnam, quando ha ripensato la sua pratica monastica in modo che potesse rispondere in maniera fattuale alle privazioni che la guerra aveva causato al popolo vietnamita.

A condividere questo modo di intendere la vita monastica anche il monaco thailandese Sulak Sivaraksa, che ha fondato la Rete internazionale dei buddhisti impegnati (International Network of Engaged Buddhists – Ineb), di cui lo stesso Thích Nhất Hạnh ha fatto parte fino alla sua morte, insieme al 14° Dalai Lama.

Il movimento sta crescendo in risposta al conflitto religioso in Thailandia. La violenza religiosa è scoppiata nell’estremo sud del Paese, dove si concentra la popolazione musulmana e dove monaci ultranazionalisti diffondono odio anti-islamico. Secondo l’opinione di Suchart Setthamalinee, commissario nazionale per i diritti umani della Thailandia, la disinformazione viene diffusa attraverso i templi alimentando i timori che i musulmani intendano “conquistare il Paese”, per questo in alcune aree sono emerse organizzazioni “a difesa del buddhismo”.

L’Ineb è molto attivo su questo fronte e sta facilitando il dialogo tra i monaci buddhisti, compresi i gruppi estremisti al fine di contrastare il nazionalismo. Inoltre, di recente l’Ineb ha recentemente sostenuto i diritti dei transgender e l’ordinazione monastica delle delle donne, spesso osteggiate da altre correnti buddhiste tanto che non permettono loro neanche di entrare nei templi in qualità di visitatrici.

Il gruppo è stato anche coinvolto nella costruzione di templi rispettosi dell’ambiente e nella sensibilizzazione sul degrado delle foreste, che è sia una questione ambientale che di diritti umani in Thailandia, poiché molte persone sono state costrette a lasciare le loro terre a causa dell’inquinamento a opera umana. ... See MoreSee Less

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