di Grado Giovanni Merlo (docente di Storia del cristianesimo all’Università di Milano e presidente della Società internazionale di studi francescani)
L’imminente visita di papa Francesco alla comunità valdese di Torino rappresenta un fatto di enorme rilievo: un rilievo che va ben al di là del dato, per dir così, quantitativo. I valdesi contemporanei sono poche migliaia, sparsi e dispersi nella penisola italiana e nel lontano Uruguay: poche migliaia che però suscitano l’interesse curioso e, talora, ammirato di non pochi cittadini italiani, che da qualche anno a loro destinano una quota significativa dell’8 per mille. Eppure, dei valdesi contemporanei, in generale, si sa molto poco, come dimostrano quasi sempre gli organi di informazione di massa, che ripetono, in modo acritico, la favola della loro discendenza da «Pietro Valdo, ricco mercante di Lione». I valdesi contemporanei sarebbero, perciò, i “discendenti” degli “eretici medievali”, nascostisi nelle marginali valli delle Alpi occidentali per sfuggire alla repressione ecclesiastica e così sopravvissuti fino ai giorni nostri. L’attrazione mediatica dell’eventuale titolo giornalistico “Francesco incontra Pietro Valdo” diviene irresistibile: papa Bergoglio riproporrebbe la mitica figura di san Francesco d’Assisi e i valdesi si rinnoverebbero, a modo di sineddoche o di metonimia, nell’altrettanto mitica figura di Valdo.
papa
La rivista Confronti propone il seminario itinerante “Cuba: quale futuro?” (10-22 settembre)
Tornata al centro dell’attenzione geopolitica internazionale per il riavvicinamento con gli Stati Uniti che avrà importanti conseguenze per l’intero continente americano, Cuba è la destinazione del prossimo seminario itinerante della rivista Confronti. Oltre alla visita dei luoghi di interesse storico e culturale, come di consueto incontreremo rappresentanti delle comunità religiose locali. Incroceremo la visita papale nell’isola. Ci accompagnerà nel viaggio il giornalista Luigi Sandri.
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FINO AL 23 GIUGNO
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di Luigi Sandri, inviato di Confronti a Erevan
Il 23 aprile a Erevan i due catholicos hanno proclamato santi i martiri dei massacri perpetrati dai turchi ottomani. Poi, il 24, rappresentanti delle nazioni de lmondo hanno ricordato l’inizio del «Metz Yeghern». Le reazioni furenti della Turchia a chi (papa compreso) ha fatto proprie le tesi armene. Le speranze del futuro.
Non una spada, quasi per annunciare vendetta contro i turchi; non una bilancia, per ribadire la volontà di pareggiare il Metz Yeghern (Grande Male) subìto; ma l’indzi mi Mornar, cioè il nontiscordardimé – un umile fiore che di per sé invita ad una memoria intima e profonda, e però mite e nonviolenta – è stato scelto dall’Armenia per simboleggiare il centenario dell’inizio, il 24 aprile 1915, del genocidio del suo popolo. Un nontiscordardimé stilizzato, con cinque petali viola-blu e il cuore giallo, piccolo sui baveri delle giacche degli uomini e sui tailleurs delle signore, ben evidente sui cruscotti delle macchine, gigantesco sui fianchi delle montagne, dominava ovunque nel paese caucasico, dalla capitale Erevan a sperduti villaggi. E là presente era anche il nostro gruppetto di Confronti, per partecipare alle celebrazioni.
A cent’anni dal genocidio degli armeni, polemica fra il papa e il governo turco
di Luigi Sandri per Confronti/Riforma
Grande giornata armena, a Roma, il 12 aprile: papa Francesco ha ricordato ufficialmente il centenario del Metz Yeghern (il Grande Male), cioè l’inizio del genocidio del popolo armeno nell’impero ottomano, cominciato il 24 aprile 1915. Il pontefice ha celebrato messa nella basilica vaticana, insieme al patriarca cattolico di Cilicia degli armeni, Nerses Bedros XIX Tarmouni; ad essa hanno assistito Karekin II, supremo patriarca e catholicos di tutti gli armeni, e Aram I, catholicos della Grande Casa di Cilicia (di Antélias); presente anche il presidente dell’Armenia, Serz Sargsyan. Poi Francesco ha ricevuto tutte queste personalità, consegnando loro un apposito messaggio, nel quale ricordava: «Un secolo è trascorso da quell’orribile massacro che fu un vero martirio del vostro popolo, nel quale molti innocenti morirono da confessori e martiri per il nome di Cristo… Il vostro popolo, illuminato dalla luce di Cristo e con la sua grazia, ha superato tante prove e sofferenze, animato dalla speranza che deriva dalla Croce… Questa fede ha accompagnato e sorretto il vostro popolo anche nel tragico evento di cento anni fa che “generalmente viene definito come il primo genocidio del XX secolo” (come afferma la Dichiarazione comune firmata da Giovanni Paolo II e Karekin II il 27settembre 2001, a Etchmiadzin, la città santa degli armeni, vicino a Erevan)».
Ci risiamo con il «gender». Le religioni vivono se comprendono il futuro
di Giancarla Codrignani
Per piacere, qualcuno dovrebbe informare papa Francesco e la Segreteria della Cei che perfino alla Banca mondiale esiste un Gender Action Plan, in cui la «Gender equality» viene definita «smart economics». Per non parlare dei PhD in «Women’s and Gender Studies» o dell’Erasmus Mundus che si occupa degli stessi Women’s and Gender Studies in cooperazione con sette università europee – tra le altre l’Università di Bologna – e altre nord e sud-americane.
Perfino l’Associazione italiana di Psicologia chiede che si promuova una cultura che favorisce la relazione e la nonviolenza. Dico questo perché, mentre dire «spuzza» crea un neologismo di buona efficacia mediatica, la manifestazione di ostilità nei confronti del gender mostra un mancato aggiornamento su una materia che la Chiesa cattolica può contestare solo se ne conosce la filosofia e le scuole. Perché il gender riguarda in primo luogo il genere femminile; potrebbe valere anche per il maschile se l’uomo si accorgesse di essere un «genere». Il termine ordinariamente tutti lo hanno incontrato alle elementari, dove la morfologia della lingua ha un gran bisogno di imparare il gender perché si impara che «maestro» fa regolarmente «maestra», mentre «ministro» rivolto a una donna con la desinenza in -o non è ancora errore blu.
di Luigi Sandri
Il viaggio di papa Francesco ad Ankara (incontro con Erdogan e con responsabili musulmani) e ad Istanbul, per rafforzare il dialogo con la Chiesa di Costantinopoli, è stato caratterizzato da gesti molto significativi. Ma il cammino con l’Ortodossia è arduo, date le permanenti tensioni tra il patriarca Bartolomeo I e Kirill di Mosca.
Il tempo aiuterà a meglio valutare le parole, i gesti, i segni, gli eventi dell’intenso viaggio di papa Francesco in Turchia (28-30 novembre) e, poi, gli echi di quanto avvenuto e le conseguenze che via via emergeranno. Qui, intanto, cerchiamo di fissare, in un polittico, i diversi quadri – geopolitico, ecumenico, interreligioso, intracattolico – che, pur distinti l’uno dall’altro, per certi aspetti sono inevitabilmente intrecciati nel puzzle turco.
Confronti, con il patrocinio di Università eCampus, invita all’incontro
Quo Vadis Chiesa di Francesco? Tra aperture, incertezze, speranze
Luigi Sandri, vaticanista di Confronti, intervista il teologo Vito Mancuso
Venerdì 19 dicembre 2014 ore 17.00
Università eCampus – via Matera 18, Roma
(Complesso S. Dorotea IV piano – Metro Re di Roma)
Saluti di apertura: Rita Neri, responsabile Università eCampus sede di Roma
Introduce: Gian Mario Gillio, direttore di Confronti
Nel corso dell’evento Vito Mancuso presenterà il suo ultimo libro Io Amo (Garzanti)
Seguirà cocktail
Per informazioni 06 699 40 111 – ufficiostampa@uniecampus.it
di Giovanni Franzoni
Recenti scelte e affermazioni del vescovo di Roma mostrano il suo tentativo di tenere insieme una Chiesa polarizzata. Su presenza del diavolo, aborto, eutanasia, egli ha espresso indicazioni che suscitano perplessità; su altri temi – questione sociale, povertà, sinodalità – ha invece indicato strade coraggiose e innovative.
È davvero difficile il «mestiere di vivere» del vescovo di Roma che, in quanto cardine dell’unità cattolica, deve custodire la comunione all’interno della sua Chiesa, solcata da opinioni variegate e, spesso, incomponibili (sintetizzando, tra conservatori e progressisti) su come affrontare certi intricatissimi nodi teologici, istituzionali, pastorali ed etici. Perciò ho sempre sentito sim-patia e affetto per i papi che hanno attraversato la mia esistenza, anche quando mi è sembrato che alcune loro decisioni fossero infelici. Con questo spirito guardo a Francesco e, senza darne una valutazione complessiva, vorrei qui riflettere su alcune sue recentissime iniziative, o dichiarazioni.
di Luigi Sandri
L’Assemblea del Sinodo dei vescovi dedicata alla famiglia, su input di Francesco, ha affrontato con ardimento anche i problemi più acuti, come la comunione ai divorziati e l’accettazione delle unioni omosessuali. E, su questi temi, si è divisa. Le decisioni sono rinviate al 2015. Ma, forse, infine sarà necessario un nuovo Concilio. Da Sinodo a Sinodo, con l’intermezzo di un anno durante il quale potrebbero sfiorire o, grazie al «popolo di Dio», venire a piena maturazione incisive riforme sulla pastorale della famiglia. Questa, ci sembra, la singolare situazione venuta a crearsi dopo l’Assemblea straordinaria del Sinodo dei vescovi che dal 5 al 19 ottobre ha riflettuto su «Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione». Infatti, con una inedita e appassionante stagione di dialogo, per dodici mesi la Chiesa cattolica romana nella sua globalità – con le 114 Conferenze episcopali e le diocesi e l’atteso coinvolgimento delle varie comunità, parrocchiali o meno, e di tutta la gente che voglia parteciparvi – potrebbe approfondire la Relatio Synodi, così che l’Assemblea ordinaria del Sinodo del 2015, anch’essa consultiva, e anch’essa dedicata alla famiglia, possa offrire a papa Francesco le sue proposte sul tema affrontato.
(vignetta di don Giovanni Berti – www.gioba.it)