di Adriano Gizzi
A ottobre gli italiani saranno chiamati a pronunciarsi su un referendum costituzionale di cui molti ignorano i contenuti. Come previsto – e voluto dallo stesso Renzi – l’appuntamento si trasformerà in un plebiscito pro o contro il governo.
In una domenica di ottobre, molto probabilmente il 16, gli elettori italiani verranno separati nettamente in due, neanche fossero le acque del Mar Rosso: da una parte quelli che ritengono Matteo Renzi il più grande statista di tutti i tempi (e la sua riforma costituzionale, approvata il 12 aprile scorso, la soluzione ai problemi del paese) e dall’altra parte coloro che vedono nel premier un ducetto che vuole stravolgere e ridurre a carta straccia «la Costituzione più bella del mondo». Delle due l’una, tertium non datur. Ma probabilmente la maggior parte delle persone andranno alle urne per il referendum costituzionale senza aver letto neanche una riga del ddl Boschi e decideranno cosa votare esclusivamente sulla base delle simpatie o antipatie politiche. Non è un caso se la quasi totalità del Partito democratico è mobilitata a favore, con migliaia di comitati per il Sì, e tutte le forze di opposizione sono schierate per il No.
politica
Julian Nida-Rümelin DEMOCRAZIA E VERITÀ Franco Angeli, 2015 128 pagine, 17 euro In democrazia bisogna rinunciare alla verità pur di garantire la…
di Pippo Civati
La vicenda che riguarda il Portogallo è un fatto politico senza precedenti per l’Europa. Un governo di coalizione di sinistra – che avrebbe i numeri sufficienti per governare – trova un presidente della Repubblica indisponibile alla sua formazione, nonostante appunto abbia i numeri in Parlamento (qualcuno ha parlato di «Napolitaño», ma come è noto l’argomento dei numeri, che peraltro allora contestai, quando Bersani chiese di poter andare alle Camere rappresentava un argomento reale: in Portogallo nemmeno quello).
Non sono bastate nemmeno le rassicurazioni di una parte della coalizione di sinistra (favorevole all’uscita dall’euro e dalla Nato) che avrebbe rinunciato ad alcune parti del suo programma proprio per poter formare un governo. Ci si è voltati dall’altra parte, per mantenere un rapporto sereno con l’Europa e soprattutto con i mercati. Larghe intese a prescindere, dal voto dei cittadini e dalla proporzione dei numeri. Uno si domanda a che cosa serva indire libere elezioni, se il risultato libero non è.
di Adriano Gizzi
Dopo aver fatto approvare la legge elettorale a colpi di fiducia, contro tutte le opposizioni e una parte del proprio stesso partito, Renzi affronta ora la lunga battaglia per far passare anche le riforme costituzionali, a cominciare dal ridimensionamento del Senato che diventerà organo di rappresentanza delle istituzioni territoriali. Chi fa le porzioni della torta non deve scegliere per primo la fetta: lo prevede una regola elementare di buon senso, proprio per evitare che poi possa scegliere per sé la più grande. Così dovrebbe essere anche per le regole del gioco democratico…
di Paolo Corsini
(deputato del Partito democratico ed ex sindaco di Brescia)
Da qualche tempo, soprattutto dopo la Leopolda, si discute di un nuovo «partito della nazione» (Pdn). Nuovo perché, almeno in sede storiografica, già era stata elaborata da Agostino Giovagnoli la categoria di «partito italiano» quale cifra interpretativa della Democrazia cristiana, il partito «pigliatutto», allorquando il sistema politico era strutturato in termini di bipartitismo imperfetto o, meglio, di pluripartitismo centripeto. Un’analogia casuale, il sintomo di una nostalgia, la prospettiva di una palingenetica riclassificazione del quadro politico? Oltre il bipolarismo muscolare che abbiamo conosciuto e aldilà del bipartitismo che la più recente versione dell’Italicum, con un sostanzioso premio di maggioranza assegnato al partito in grado di superare la soglia del 40%, intenderebbe prefigurare. L’interrogativo non pare infondato, né tutto consegnato ad una visione politicistica, ma rimanda al profilo del Pd, alla sua vocazione maggioritaria, alle concrete policy da attuare in un tempo di recessione e di possibile deflazione, alla rappresentanza di ceti sociali ed interessi, alla stessa identità etico-politica del partito.
di Vannino Chiti
Come sottolinea il senatore Chiti, presidente della Commissione permanente sulle Politiche dell’Unione europea, il Parlamento eletto in questa legislatura non sembra porre il tema della libertà religiosa tra le sue priorità, ma si tratta di questioni fondamentali per tutelare e rafforzare la democrazia, i diritti dei cittadini e la coesione sociale. Un’Intesa aiuterebbe anche a creare un «islam italiano».
La legge sulla libertà religiosa è indispensabile e urgente. Non solo per rafforzare una coerenza democratica, dal momento che è ancora in vigore una legge, quella sui culti ammessi, risalente al periodo della dittatura fascista, ma anche perché da diversi anni in Italia si è ampliato il pluralismo religioso. Sono presenti, oltre agli evangelici e agli ebrei, ortodossi, musulmani, buddhisti, induisti, per restare alle religioni con maggior numero di fedeli (o aderenti). Il tema della libertà religiosa viene ancora sottovalutato dalle forze politiche e rischia di esserlo nello stesso Parlamento eletto in questa legislatura, che non sembra porlo tra le sue priorità. Si tratta di questioni fondamentali per tutelare e rafforzare la democrazia, i diritti dei cittadini, la coesione sociale.
di Augusto Cavadi
A chi crede che la corruzione e la rispettiva concussione siano fenomeni recenti, alludendo a «epoche d’oro» in cui tutto ciò non avveniva, il filosofo Cavadi risponde che invece il passato è pieno di esempi che dimostrano il contrario. Ma perché si ruba? Così come Kierkegaard disse che non si è angosciati perché si pecca, ma si pecca perché si è angosciati, in termini laici si potrebbe tradurre che non si è infelici perché si corrompe, e ci si lascia corrompere, ma si sguazza nella corruzione perché si è infelici.
di Felice Mill Colorni
Le elezioni europee non sono ancora mai state del tutto europee. Lo diventeranno se e quando eleggeremo il Parlamento con la stessa legge elettorale e voteremo per partiti europei, per formare un esecutivo europeo. Per ora sono le leggi statali a stabilire il sistema elettorale. Si eleggono, separatamente, e perfino in date parzialmente diverse, i deputati europei «spettanti» ai diversi Stati membri. E l’«esecutivo» europeo è ancora oggi nominato con una complessa procedura prevista dal trattato di Lisbona, che, se riconosce al Parlamento maggiori poteri di prima, non arriva al punto di richiedere che esista fra il Parlamento e la Commissione lo stesso rapporto di fiducia che è richiesto fra Parlamento e governo nelle democrazie dei paesi membri.
di Adriano Gizzi
Per mesi i media hanno preparato l’opinione pubblica al fatto che con le elezioni europee si sarebbe abbattuta un’ondata euroscettica e «anti-europea» su tutto il continente. Spesso, però, hanno dimenticato di analizzare e spiegare come e perché nascono le critiche verso alcune scelte compiute dall’Unione europea. I cittadini vengono così divisi in pro e contro l’Europa: la possibilità di essere a favore dell’unità, ma per andare in una direzione diversa, non viene presa in considerazione.
Come previsto da tutti, le elezioni europee di maggio hanno segnato il trionfo dei cosiddetti «euroscettici»: categoria molto vaga, che può essere più o meno estesa a seconda dei punti di vista. Potremmo comprendere in questa definizione tutti i critici verso le politiche portate avanti in questi anni da popolari, socialisti e liberali nel Parlamento europeo. Ma quest’area vasta (ormai quasi al 40%) è anche molto eterogenea e comprende forze politiche moderate ed estremiste, di destra, di sinistra e senza etichetta. C’è tutto e il suo contrario: pacifisti e ultranazionalisti, difensori dei diritti umani e beceri razzisti, fini intellettuali e populisti, amici degli animali e neonazisti. Non tutti i media sono stati attenti a distinguere, per cui per esempio è capitato che qualcuno definisse «euroscettici» i nazisti greci di Alba dorata.
di Giuseppe Giulietti
Milioni di italiani non hanno gradito una campagna elettorale sguaiata, urlata… Come utilizzerà ora Renzi questa investitura popolare? La riterrà un via libera su tutto, una promozione del governo con Alfano, un “sí” anche ad eventuali alleanze con Berlusconi? Oppure la utilizzerà per “cambiare verso” davvero all’Italia e preparare lo schieramento che dovrà affrontare le prossime elezioni politiche? Le prossime mosse saranno decisive e faranno capire la direzione di marcia.
«Fortunato di essere in Italia». Questa la prima paradossale sensazione, mentre guardo i risultati che arrivano dal resto d’Europa. Altrove razzisti, neonazisti, neofascisti raggiungono percentuali a due cifre: dalla Francia alla Danimarca, dalla Grecia all’Ungheria… qui sono restati al palo, non sono, almeno per ora, in condizione di nuocere. Per una volta l’infelice anomalia italiana ha avuto la meglio sulla infelicissima norma europea e non ci sembra poca cosa anche perché, pure a casa nostra, erano risuonate le parole della discriminazione, della xenofobia, della caccia allo straniero e al diverso.