L’esperimento democratico del Rojava, oltre ad aver contribuito attivamente a bloccare l’avanzata dell’Isis, aveva al centro la pratica della democrazia diretta e un rinnovamento sociale il cui fulcro era la ricerca di una vera parità di genere. Tutto questo è messo in discussione dal patto sancito a Sochi da Putin e Erdoğan il 22 ottobre scorso e accettato da tutti, compresi obtorto collo i non consultati rappresentanti kurdi.
Rojava
di Enrico Campofreda
(giornalista, esperto di questioni mediorientali)
Bisogna risalire agli eventi della Prima guerra mondiale (e alle spartizioni decise a tavolino da inglesi e francesi) per ricostruire le complesse vicende del popolo curdo che oggi si trova a vivere diviso tra quattro nazioni: Turchia, Siria, Iraq, Iran.
di Amelia Vescovi
Ospiti internazionali al convegno «Le donne, un filo che unisce mondi e culture diverse», organizzato a Roma dall’Associazione Telefono Rosa, in occasione della Giornata contro la violenza sulle donne del 25 novembre. Tra i partecipanti, Ozlem Tanrikulu, componente della Commissione degli Affari Esteri del Knk (Congresso nazionale del Kurdistan) e presidente dell’Ufficio di informazione sul Kurdistan in Italia, che ha parlato al pubblico di studenti delle scuole superiori del sistema di auto-organizzazione delle donne curde nella regione di Rojava, divisa nei cantoni di Kobane, Efrin e Cizre, dove si sono create unità di difesa in cui uomini e donne vivono e combattono in un regime di democrazia pura, oltre ogni forma di patriarcato o matriarcato.
Qui sono nate le Accademie delle donne, dove si è insegnanti ed allieve allo stesso tempo, con l’obiettivo comune di rintracciare la propria identità e i propri bisogni. E qui sono state aperte le Case delle donne, per la prevenzione della violenza di genere, fisica, economica, psicologica. Insieme agli uomini, le donne di Rojava hanno aiutato i civili a fuggire in sicurezza durante gli attacchi ai centri abitati, ed hanno allestito campi per i profughi su modello della loro comunità.