In Kenya il terrorismo di matrice islamista continua a mietere vittime, senza che si riesca a elaborare una politica efficace di contenimento. Una guerra impropriamente definita “a bassa intensità” che dura ormai da ventuno anni.
terrorismo
di Domenico Chirico, direttore dei programmi di Un ponte per…, operatore umanitario. Nel 2014 l’Isis, che chiameremo con l’acronimo arabo Daesh per…
Perché non possiamo non dirci morotei. Riflessioni su “Un atomo di verità” di Marco Damilano
di Roberto Bertoni (giornalista e scrittore) Della sterminata pubblicistica riguardante Aldo Moro, che quest’anno, comprensibilmente, ha avuto un incremento, visto che ricorre…
intervista a Emma Bonino (a cura di Mostafa El Ayoubi)
A maggio ha preso il via la campagna “Ero straniero – L’umanità che fa bene”, una raccolta firme su una legge di iniziativa popolare in materia di immigrazione per superare la legge Bossi-Fini, promossa da Radicali italiani insieme a molte associazioni e sindaci.
Nella mattinata del 22 marzo abbiamo appreso, sgomenti, la notizia dei tremendi attentati che all’aeroporto e nella metropolitana di Bruxelles hanno provocato oltre trenta vittime e duecentocinquanta feriti.
Senza poter addentrarci, ora, in un’analisi approfondita dei tragici eventi, vogliamo esprimere – insieme naturalmente al cordoglio per le vittime – la nostra totale condanna per la strategia della morte e del terrore portata nel cuore dell’Europa (nella capitale belga hanno sede, infatti, le massime istituzioni dell’Ue) da terroristi collegati con il cosiddetto Califfato dell’autoproclamatosi Stato islamico.
Dopo quanto è accaduto, ancora più determinato è il nostro impegno ad unirci a tutti coloro che si battono per contrastare il terrorismo e le sue radici, ovunque esso si manifesti, e chiunque lo promuova; per difendere la democrazia; per costruire un’Europa libera, solidale, giusta e accogliente; per vigilare contro ogni forma di discriminazione, razzismo e xenofobia.
di Claudio Paravati
La strage di Parigi del 13 novembre ha fatto aumentare la diffidenza verso tutti i musulmani presenti in Europa, come se fossero tutti sostenitori dello Stato islamico. Pur non avendo alcuna responsabilità per le violenze, la comunità musulmana italiana ha voluto opportunamente dare un segnale che risultasse chiaro a tutta l’opinione pubblica allarmata dalla propaganda populista anti-islamica, scendendo in piazza il 21 novembre al grido di «Not in my name».
Beirut (12 novembre, 43 morti), Parigi (13 novembre, 129 morti, 300 feriti), Bamako, in Mali (20 novembre, 170 ostaggi, 22 morti): questo è il pesante bollettino di novembre del terrorismo del cosiddetto Stato islamico (l’Isis, il cui acronimo, in arabo, è Daesh) e dei movimenti a esso affiliati. Un’azione terribile di guerra «a pezzetti» perpetrata, con drammatica folle lucidità, da coloro che seguono una propria ideologia del terrore.
Il terrore. A dieci mesi da Charlie Hebdo, ancora una volta la Parigi di Rousseau e Voltaire è stata colpita. Questa volta però con una violenza ancor più impressionante: sei attacchi coordinati nel giro di 33 minuti, sparando sulla folla…
di Mario Campli
Caro direttore, non vorrei abusare della tua paziente «accoglienza». Ma il momento è quanto mai grave e anche drammatico. Non solo per il sangue e le morti di decine e decine di ragazzi, ragazze, uomini e donne a Parigi e nel cuore di altre città; anche per i nostri destini.
Ho partecipato con attenzione e grande interesse al seminario-progetto- Minareti e Campanili (Roma, 13-14 novembre 2015): «Da musulmani immigrati a cittadini italiani: la sfida dell’integrazione e del dialogo». Nella notte del venerdì, la tragedia di Parigi ha raggiunto anche la nostra «piccola» ricerca e testimonianza. Ho ascoltato e intensamente condiviso la tensione della ricerca e della costruzione incessante del dialogo tra le fedi (cristiana e musulmana, in questo caso) e le religioni. Ho toccato con mano lo sforzo del com-prendersi.
Di fronte ai tragici attentati di Parigi di venerdì 13 novembre, noi esponenti di varie organizzazioni islamiche e cristiane, riuniti a Roma per il convegno promosso dalla rivista Confronti sul tema: «Da musulmani immigrati a cittadini italiani: la sfida dell’integrazione e del dialogo» (13-14 novembre 2015), esprimiamo il nostro cordoglio e il nostro sconcerto, nonché la nostra solidarietà al popolo francese, con tutte le sue componenti religiose e culturali, e a tutti i popoli vittime del terrorismo. Condanniamo ogni forma di terrore e di violenza nel nome di Dio; rivolgiamo un appello a tutte le nostre comunità perché contrastino con tutte le loro forze messaggi d’odio e di violenza incompatibili con l’Islam, con il Cristianesimo e con tutte le altre religioni e il loro messaggio di pace. Rinnoviamo la nostra totale disponibilità a collaborare a ogni iniziativa tesa al dialogo interreligioso e al contrasto di ogni abuso della religione per perseguire obiettivi politici e di potere che nulla hanno a che fare con una fede autenticamente vissuta.
All’interno l’elenco dei promotori e le prime adesioni.
Per aderire all’appello, inviare una mail a: info@3.121.62.245
Pubblichiamo il testo dei documenti del Centro islamico culturale d’Italia e dell’Unione delle comunità islamiche d’Italia (Ucoii) sugli attacchi terroristici in Francia. All’interno, i link ad altri appelli provenienti dal mondo islamico.
Il Centro Islamico Culturale d’Italia condanna con forza l’attentato compiuto oggi a Parigi contro la sede della rivista francese Charlie Hebdo. In una nota il Centro islamico Culturale d’Italia, che gestisce la Grande Moschea di Roma, esprime le proprie condoglianze ai familiari delle vittime della strage di oggi sentendosi “vicino ai Parigini, alle forze dell’ordine della capitale e a tutto il Popolo francese per il brutale attacco subito”. Il Segretario Generale del Centro Islamico, Abdellah Redouane, ricorda che “quello di oggi è certo in primo luogo il momento nel quale esprimere la nostra solidarietà e vicinanza alle famiglie delle vittime e al popolo francese per il grande tributo di sangue versato, il momento per stringerci a tutti loro e condividerne il dolore, ma è anche un momento per riconsiderare il fallimento del vivere insieme voluto e causato da elementi terroristici.
di Paolo Naso
A caldo è difficile trovare le parole per commentare l’attentato del 7 gennaio al settimanale satirico Charlie Hebdo di Parigi. La «geometrica precisione» di un’azione paramilitare, la forza simbolica dell’obiettivo, la brutalità dell’esecuzione a freddo di giornalisti, disegnatori e poliziotti ci danno la misura di un gesto clamoroso e calcolato.
La domanda di queste ore è che cosa gli attentatori abbiano voluto dire e a chi intendessero rivolgersi. Rispondere a questi interrogativi quando ancora mancano certezze sul piano delle indagini è certamente molto rischioso. Ma di fronte a un gesto eccezionalmente grave e programmatico come quello di Parigi tacere sarebbe irresponsabile e incomprensibile.
È questo il tempo di parlare e forse di urlare per dire che quanto è accaduto non può avere alcuna giustificazione religiosa, politica o culturale.
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