di Mostafa El Ayoubi
La risoluzione 2336 dell’Onu sul cessate il fuoco tra governo siriano e opposizioni armate e il meeting di Astana in Kazakistan, patrocinato da Russia, Iran e Turchia, aprono un barlume di luce sulla urgente riconciliazione nazionale.
Turchia
di Mostafa El Ayoubi
6 anni di guerra, oltre 300mila morti, 11 milioni tra sfollati e profughi.
di Mostafa El Ayoubi
Tra i tanti dossier scottanti che Obama lascerà in eredità a Trump c’è quello turco.
di Enrico Campofreda
(giornalista, esperto di questioni mediorientali)
Bisogna risalire agli eventi della Prima guerra mondiale (e alle spartizioni decise a tavolino da inglesi e francesi) per ricostruire le complesse vicende del popolo curdo che oggi si trova a vivere diviso tra quattro nazioni: Turchia, Siria, Iraq, Iran.
Siria. Sit-in a Roma, il 2 settembre, per sostenere l’appello alla tregua
(dal sito di articolo 21)
Vi chiediamo l’adesione a questa iniziativa per far arrivare un messaggio forte alle istituzioni e per testimoniare la nostra vicinanza al popolo siriano.
L’appuntamento e a Roma, in piazza Santi Apostoli, venerdì 2 settembre, dalle ore 11.
di David Gabrielli
Dato l’aggravarsi dei rapporti Mosca-Ankara, il metropolita Hilarion ha disdetto un viaggio a Istanbul. Un segnale preoccupante in vista del Concilio panortodosso.
L’asperrimo contrasto russo-turco (per la vicenda dell’aereo russo abbattuto dai turchi), oltre le preminenti conseguenze geopolitiche, ne avrà anche altre, di carattere religioso, che potrebbero mettere in forse il Concilio panortodosso la cui apertura era programmata per il 16 maggio prossimo? La domanda s’impone, e a sollevarla è una vicenda all’apparenza minore. Il 25 novembre il metropolita Hilarion di Volokolamsk, presidente del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del patriarcato di Mosca, ha infatti cancellato una sua visita a Istanbul, organizzata per presentare un libro del patriarca Kirill insieme con il patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo I, e con l’ambasciatore della Russia in Turchia.
di Franco Cardini (storico)
Le elezioni legislative di novembre hanno rafforzato la posizione di Erdogan. Consapevole dell’importanza geostrategica della Turchia per la Nato, il «sultano» manda segnali chiari all’Europa giocando la carta dei profughi e avverte la Russia – abbattendo un suo aereo militare – che Ankara difenderà i suoi interessi nel Medio Oriente.
Possiamo forse adesso cominciare a capire come sfrutterà Erdogan la sua prestigiosa vittoria nelle elezioni, ma da qui a sostenere che ci sono stati dei brogli, delle intimidazioni, delle violenze, ce ne corre. Anzi, diciamolo pure: a parte qualche caso particolare e qualche diceria, sostanzialmente non è vero. L’affluenza ai seggi è stata alta ma ordinata, com’è del resto nelle tradizioni turche. Gente abituata alla disciplina, e non da ieri, i turchi sono disciplinati perfino quando protestano. La Turchia si è espressa liberamente e a larga maggioranza: sta con Erdogan, ed è perfettamente inutile rispolverare la solita obiezione idiota che «anche Hitler andò al potere vincendo libere elezioni». Un paragone che non vuol dir nulla.
di Mostafa El Ayoubi
La Turchia è un Paese in concorrenza sia politico-militare sia religiosa con le altre potenze del Medio Oriente, in particolare Arabia Saudita e Iran. Con la prima, si trova in conflitto sulle questioni che riguardano un altro importante paese dell’area, l’Egitto: la Turchia sostiene i fratelli musulmani, defenestrati dal colpo di Stato del generale al-Sisi, mentre l’Arabia Saudita appoggia – anche economicamente – il governo dei militari. In Siria, invece, gli interessi della Turchia e dell’Arabia Saudita convergono. L’Iran resta comunque l’avversario più difficile.
La Turchia, per la sua storia e per la sua posizione geografica, è un attore politico di rilievo nello scacchiere geopolitico del mondo islamico, in quello arabo in particolare. Essa si contende oggi, con l’Arabia Saudita e l’Iran, il primato nella regione del Medio Oriente sia dal punto di vista politico-militare che da quello religioso.
di Luigi Sandri, inviato di Confronti a Erevan
Il 23 aprile a Erevan i due catholicos hanno proclamato santi i martiri dei massacri perpetrati dai turchi ottomani. Poi, il 24, rappresentanti delle nazioni de lmondo hanno ricordato l’inizio del «Metz Yeghern». Le reazioni furenti della Turchia a chi (papa compreso) ha fatto proprie le tesi armene. Le speranze del futuro.
Non una spada, quasi per annunciare vendetta contro i turchi; non una bilancia, per ribadire la volontà di pareggiare il Metz Yeghern (Grande Male) subìto; ma l’indzi mi Mornar, cioè il nontiscordardimé – un umile fiore che di per sé invita ad una memoria intima e profonda, e però mite e nonviolenta – è stato scelto dall’Armenia per simboleggiare il centenario dell’inizio, il 24 aprile 1915, del genocidio del suo popolo. Un nontiscordardimé stilizzato, con cinque petali viola-blu e il cuore giallo, piccolo sui baveri delle giacche degli uomini e sui tailleurs delle signore, ben evidente sui cruscotti delle macchine, gigantesco sui fianchi delle montagne, dominava ovunque nel paese caucasico, dalla capitale Erevan a sperduti villaggi. E là presente era anche il nostro gruppetto di Confronti, per partecipare alle celebrazioni.
A cent’anni dal genocidio degli armeni, polemica fra il papa e il governo turco
di Luigi Sandri per Confronti/Riforma
Grande giornata armena, a Roma, il 12 aprile: papa Francesco ha ricordato ufficialmente il centenario del Metz Yeghern (il Grande Male), cioè l’inizio del genocidio del popolo armeno nell’impero ottomano, cominciato il 24 aprile 1915. Il pontefice ha celebrato messa nella basilica vaticana, insieme al patriarca cattolico di Cilicia degli armeni, Nerses Bedros XIX Tarmouni; ad essa hanno assistito Karekin II, supremo patriarca e catholicos di tutti gli armeni, e Aram I, catholicos della Grande Casa di Cilicia (di Antélias); presente anche il presidente dell’Armenia, Serz Sargsyan. Poi Francesco ha ricevuto tutte queste personalità, consegnando loro un apposito messaggio, nel quale ricordava: «Un secolo è trascorso da quell’orribile massacro che fu un vero martirio del vostro popolo, nel quale molti innocenti morirono da confessori e martiri per il nome di Cristo… Il vostro popolo, illuminato dalla luce di Cristo e con la sua grazia, ha superato tante prove e sofferenze, animato dalla speranza che deriva dalla Croce… Questa fede ha accompagnato e sorretto il vostro popolo anche nel tragico evento di cento anni fa che “generalmente viene definito come il primo genocidio del XX secolo” (come afferma la Dichiarazione comune firmata da Giovanni Paolo II e Karekin II il 27settembre 2001, a Etchmiadzin, la città santa degli armeni, vicino a Erevan)».