di Carmelo Cedrone. Coordinatore Laboratorio Europa/Eurispes Sono più di dieci anni che l’Unione europea è ferma e avvitata su se stessa; è a…
Unione europea
Nella Dichiarazione universale dei diritti umani veniva sancito il diritto alla libertà religiosa. Oggi, a settan’tanni dall’approvazione della Dichiarazione da parte dell’assemblea dell’Onu si discute anche di libertà dalla religione. L’Unione degli atei e degli agnostici razionalisti (Uaar), ha recentemente promosso un convegno internazionale su questo tema.
intervista a Gianfranco Pasquino (a cura di Adriano Gizzi)
Proseguiamo il nostro ciclo di riflessioni sull’Europa a sessant’anni dai trattati di Roma incontrando Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica dell’Università di Bologna, che al sogno europeo e alle sue difficoltà ha dedicato il suo ultimo lavoro, “L’Europa in trenta lezioni”.
di Marco Mazzoli (professore di Politica economica, Università di Genova)
Il Transatlantic Trade and Investment Partnership è costituito da una serie di negoziazioni di trattati commerciali, condotti prevalentemente in segreto tra l’Unione europea e gli Stati Uniti d’America, con la motivazione ufficiale di «ridurre le barriere commerciali» tra Unione europea e Stati Uniti. Già il fatto che i contenuti della negoziazione, i suoi contorni e i suoi obiettivi siano segreti è di per sé inaccettabile per una democrazia rappresentativa (teoricamente dovrebbe esserlo anche l’Unione europea e, teoricamente, dovrebbero essere democratiche le sue istituzioni) e richiama, nel metodo, i trattati segreti tra le monarchie assolute, dove i governanti guidano sudditi e non cittadini.
Soprattutto, questa assenza di trasparenza non è certamente saggia in una fase in cui le istituzioni europee non godono esattamente di grande popolarità. Una forte impostazione ideologica già caratterizza l’architettura istituzionale dell’Unione europea, che prevede una moneta unica, non solo senza una politica fiscale “federale” europea, ma, per di più, senza il minimo coordinamento né la minima armonizzazione tra le politiche fiscali nazionali.
di Simone Maghenzani (docente di Storia moderna, Università di Cambridge)
Il referendum del 23 giugno vedrà il Regno Unito decidere della propria adesione all’Unione europea: non un fatto nuovo nella storia britannica. Già nel 1975 il paese venne chiamato alle urne per approvare la partecipazione al mercato comune europeo, con un referendum indetto dal primo ministro laburista, Harold Wilson. Oggi come allora il dibattito non coinvolge i temi dell’identità europea delle isole britanniche, o il ruolo di Londra sullo scacchiere internazionale. Se nel 1975 la decolonizzazione era fatto ancora recente, e si poteva pensare al Regno Unito come punto originale di intersezione tra la tradizionale “relazione speciale” anglo-americana, il Commonwealth, e l’Europa, oggi l’eredità dell’impero è lontana, e partner commerciali nuovi sono al centro della scena. Tuttavia, le due consultazioni sono assai simili. Se nel 1975 il referendum aveva l’obiettivo di tenere insieme il partito laburista, con una sinistra interna preoccupata che le decisioni di politica industriale sarebbero state prese a Bruxelles e non più a Westminster (tra gli oppositori di allora all’adesione al mercato comune, l’attuale leader del Labour, Jeremy Corbyn), oggi il referendum non ha altra ambizione che quella di David Cameron di mantenere l’unità del partito conservatore.
di Felice Mill Colorni
Così com’è strutturata, l’Unione europea è un’aggregazione male assortita di Stati nazionali privi di reale sovranità. Allo stesso tempo, però, anche l’Europa nel suo assieme manca di sovranità, non dimostra la volontà di andare verso un vero federalismo europeo e continua così a contare poco sul piano internazionale.
C’è poco da fare. A livello statale non è più possibile nessuna forma di autodeterminazione democratica. O la politica europea si dota di strumenti di decisione democratica a livello europeo, o la democrazia non può più funzionare. Prima lo si capirà e meno disastrosi saranno gli effetti sull’idea stessa di democrazia. La sovranità nazionale non esiste più, e non è comunque più uno strumento adeguato alle sfide del nostro tempo. La lista Tsipras, qualunque cosa se ne pensasse, era parsa a molti portatrice di un’alternativa politica radicale alle politiche economiche prevalenti in tutta Europa.
di Giulietto Chiesa
La crisi attuale – spiega a Confronti il giornalista Giulietto Chiesa, già parlamentrare europeo, fondatore del laboratorio politico-culturale «Alternativa» – non parte dalla cosiddetta «annessione» della Crimea. Che, in realtà, è stata un vero, plebiscitario pronunciamento popolare. La storia è cominciata con un colpo di Stato, avvenuto a Kiev il 22 febbraio, con il rovesciamento violento di un presidente regolarmente eletto dalla maggioranza degli ucraini. Corrotto fin che si vuole, e anche un po’ di più. Ma se dovessimo applicare questi criteri, di governanti corrotti ce ne sono stati e ce ne sono in abbondanza anche nel resto d’Europa.
Devo a un amico russo un documento molto interessante, che presto ripubblicherò in edizione integrale su pandoratv.it: si tratta di un’intervista televisiva a Vladimir Putin risalente presumibilmente al 2004, cioè ai primi anni della sua prima presidenza. Ne traggo qualche citazione testuale che ci permette di collocare precisamente in quel contesto la fine dell’idillio tra la Russia di Eltsin e gli Stati Uniti. Parlo della Russia di Eltsin perché Putin ne faceva parte così intimamente da essere stato designato come successore.
E dunque quale fu la cosa che fece terminare l’idillio? Putin discorre sui missili antimissile che gli americani volevano piazzare nella Repubblica Ceca e poi in Polonia…
di Felice Mill Colorni
Le elezioni europee non sono ancora mai state del tutto europee. Lo diventeranno se e quando eleggeremo il Parlamento con la stessa legge elettorale e voteremo per partiti europei, per formare un esecutivo europeo. Per ora sono le leggi statali a stabilire il sistema elettorale. Si eleggono, separatamente, e perfino in date parzialmente diverse, i deputati europei «spettanti» ai diversi Stati membri. E l’«esecutivo» europeo è ancora oggi nominato con una complessa procedura prevista dal trattato di Lisbona, che, se riconosce al Parlamento maggiori poteri di prima, non arriva al punto di richiedere che esista fra il Parlamento e la Commissione lo stesso rapporto di fiducia che è richiesto fra Parlamento e governo nelle democrazie dei paesi membri.
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