di Monica Di Sisto (vicepresidente dell’associazione Fairwatch, tra i portavoce della Campagna Stop Ttip Italia – www.stopttip-italia.net)
Proseguono in segreto i negoziati del Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti per la creazione della più grande area di libero scambio al mondo (44% del commercio mondiale). Le conseguenze per l’Occidente e per i Paesi in via di sviluppo.
6,5 miliardi: sono tutti gli abitanti del pianeta che, non essendo cittadini degli Stati Uniti né dell’Europa, in teoria potrebbero volersi disinteressare del negoziato transatlantico di liberalizzazione di commercio e servizi in corso, quasi in segreto, dal 2013: il Ttip. In realtà, se le trattative arrivassero in fondo, creerebbero la più grande area di libero scambio interregionale al mondo, pari al 47% del Pil mondiale e al 44% del commercio mondiale, cosa che avrebbe implicazioni molto profonde non soltanto per le due sponde dell’Atlantico. Il 75% circa della facilitazione degli scambi tra i due blocchi, infatti, arriverà dalla rimozione delle attuali “barriere” che rendono gli scambi più complessi di quanto non vorrebbero le grandi imprese che operano attualmente su questa scala.
Usa
di Roberto Bertoni (giornalista free lance e autore di saggi, romanzi e poesie)
Anche se le sue probabilità di ottenere la nomination alla presidenza degli Stati Uniti nella convention democratica di luglio sono scarse, il “socialista” Bernie Sanders sta creando qualche difficoltà alla collaudata macchina elettorale di Hillary Clinton. Il ruolo chiave della generazione dei “Millennials”.
Probabilmente, al termine delle primarie democratiche, prevarrà Hillary Clinton: più rodata, più esperta della macchina del potere, sostenuta da tutti i pezzi da novanta del partito e capace di far breccia nel cuore di quelle minoranze nere e ispaniche verso cui da anni, fin dai tempi in cui era presidente suo marito Bill, manifesta un sincero interesse. Attenzione, tuttavia, a credere che quella dell’ex first lady ed ex segretario di Stato sarà una passeggiata, perché sul suo cammino ha incrociato un rivale su cui nessuno, all’inizio della competizione, avrebbe scommesso un soldo e che invece sta mettendo in seria difficoltà una donna tanto potente quanto emblematica di tutto ciò che gli americani non sopportano più.
di Maurizio Simoncelli, vicepresidente dell’Archivio Disarmo
Quando si tratta delle tensioni in atto nel mondo, si rimane sorpresi della scarsa o nulla memoria storica circa le vicende che le hanno precedute e causate. Quasi in modo inaspettato i governi e l’opinione pubblica assistono da un lato all’espansione delle crisi mediorientali, dall’altro a nuove tensioni tra Mosca e Washington. Eppure le premesse e i segnali di tutto questo erano evidenti da tempo. La crisi del Medio Oriente affonda le sue radici negli accordi anglo-francesi del 1916 per spartirsi in futuro i territori sottratti all’Impero ottomano. Lo spezzettamento dell’area, la conflittualità israelo-palestinese, le tensioni insolute e la “geopolitica del caos” hanno creato le condizioni per un’instabilità sempre più grave ed allargata, evidenziando come la superpotenza superstite, gli Stati Uniti, in realtà non possa ergersi ad arbitra di un mondo multipolare e in profonda trasformazione. L’esportazione della democrazia con le baionette fallisce. Gli interventi militari occidentali prima in Afghanistan, poi in Iraq, infine in Libia, invece di essere risolutivi, precipitano tali paesi e quelli vicini in situazioni drammatiche, mentre l’Onu viene progressivamente emarginata.
di David Gabrielli
Dopo Cuba (19-22 settembre) Francesco ha visitato per cinque giorni gli Usa, costellando il suo pellegrinaggio di incontri importanti. Particolarmente significativi i discorsi da lui tenuti al Congresso statunitense, all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, all’Incontro mondiale delle famiglie svoltosi a Philadelphia. I temi geopolitici ed ecclesiali emersi, evidenziano prospettive di grande portata ma manifestano anche asperità data la complessità dei problemi incombenti la stessa difficoltà di attuare in concreto i princìpi a cui ci si appella.
La tappa statunitense del pellegrinaggio americano di papa Francesco ha avuto quattro picchi in altrettanti discorsi: al Congresso, all’Onu, all’episcopato degli Usa e alla conclusione dell’Incontro mondiale delle famiglie, a Philadelphia. Insieme questi testi rappresentano, ci pare, un corpus che riassume il pensiero geopolitico e quello ecclesiale e pastorale di Bergoglio.
Mostafa El Ayoubi
Il 30 giugno prossimo dovrebbe essere siglata l’intesa raggiunta ad aprile sul nucleare iraniano. La preoccupazione dei paesi arabi del Golfo, in particolare l’Arabia Saudita, e soprattutto la contrarietà assoluta di Israele, che vede l’Iran come una minaccia gravissima. Soddisfatto Obama, ma la maggioranza repubblicana del Congresso è contraria alla linea di apertura all’Iran. Le ragioni che hanno portato gli Stati Uniti a cambiare strategia e le importanti trasformazioni geopolitiche nella regione mediorientale.
L’accordo preliminare sul nucleare tra l’Iran e il gruppo 5+1 (i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu più la Germania), firmato a Losanna all’inizio di aprile, costituisce un nuovo elemento importante da tenere in considerazione nel complesso puzzle geopolitico del Levante e del Golfo. Salvo imprevisti, il 30 giugno prossimo verrà siglata l’intesa che metterà fine a più di trent’anni di sanzioni ed embarghi imposti dagli Usa e dall’Ue al governo di Teheran, con l’impegno di quest’ultimo di rinunciare alla produzione del nucleare per scopi militari, l’atomica in sostanza!
intervista ad Alessandro Portelli
(Portelli ha insegnato Letteratura americana alla facoltà di Scienze umanistiche dell’Università La Sapienza di Roma)
I recenti episodi che hanno visto cittadini afroamericani – quasi sempre disarmati – uccisi da agenti di polizia, le reazioni della comunità nera, la condanna delle discriminazioni razziali espressa dal presidente Obama alle celebrazioni del cinquantesimo anniversario di Selma e il conflitto tra il Congresso e la Casa Bianca.
«Un cittadino nero statunitense ha più probabilità di essere ucciso nel suo quartiere che in Afghanistan. Sono infatti circa 400 le persone uccise ogni anno dalla polizia negli Stati Uniti, mentre la media dei soldati americani che muoiono in Iraq o in Afghanistan è di 385 l’anno». A parlare è Alessandro Portelli, che ha insegnato Letteratura americana alla Sapienza di Roma ed è impegnato da sempre a diffondere la cultura «dell’America a cui vogliamo bene», come lui stesso la definisce, «quella di Woody Guthrie, Pete Seeger, Bob Dylan, Bruce Springsteen, Malcolm X, Martin Luther King, Cindy Sheehan, Mark Twain, Don DeLillo, Spike Lee e Woody Allen».
di Mostafa El Ayoubi
Il Medio Oriente è una delle arene geopolitiche dove Usa e Russia si combattono per difendere o estendere ognuno i propri interessi. Anche l’attuale crisi ucraina contribuirà a complicare la situazione in questa martoriata regione del mondo.
L’attuale grave crisi diplomatica tra Washington e Mosca scoppiata intorno alla questione ucraina avrà delle conseguenze dirette sulla situazione geopolitica nel Medio Oriente. In particolare questo scontro si rifletterà sulla guerra in Siria, sul nucleare dell’Iran e anche sul conflitto israelo-palestinese. Quando tre anni fa è scoppiata la ribellione armata in Siria, gli Usa/Nato avevano calcolato che nel giro di pochi mesi al Assad sarebbe caduto, come è avvenuto per Gheddafi in Libia. Ma la reazione della Russia (e della sua alleata Cina) ha scombinato tali calcoli. Diversamente da quanto ha fatto nel caso della Libia, il Cremlino si è opposto fermamente all’intervento militare in Siria. La mossa di Mosca è stata ovviamente dettata dai suoi interessi geopolitici nel Medio Oriente. La destabilizzazione della Siria – messa in atto dal governo americano e dai suoi alleati – aveva come obiettivo togliere di mezzo al Assad e sostituirlo con un governante alleato ed estendere quindi la sua totale egemonia sull’intero Medio Oriente. Questa operazione avrebbe ridotto a zero l’influenza della Russia nella regione. Occorre ricordare che l’unica base militare russa che le consente di essere presente nel Mar Mediterraneo si trova a Tartus, in Siria.