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«Lavoro senza padroni»

by redazione

(Mastrandrea)

Angelo Mastrandrea

«Lavoro senza padroni. Storie di operai che fanno rinascere imprese»

Baldini & Castoldi, 2015, 176 pagine, 15 euro

 

di Michele Lipori

Un’antologia che raccoglie storie di lavoratori che stanno reagendo, in Italia e in Europa, alla cosiddetta «crisi» economica che, da evento passeggero, ha assunto sempre di più una connotazione strutturale. I percorsi attraverso i quali è possibile, per i lavoratori, riappropriarsi della propria azienda anche dopo un fallimento e conservare così il proprio posto di lavoro.

A pagare lo scotto dei fallimenti del capitalismo sono sempre e solo i lavoratori. È possibile uscire da un sistema del genere? Con le sue testimonianze, Lavoro senza padroni di Angelo Mastrandrea ci fornisce degli interessanti elementi di riflessione e lo fa partendo dal caso emblematico dell’Argentina che, con la crisi economica della fine degli anni Novanta e l’inizio del decennio successivo, sembra aver solo preannunciato l’attuale crisi economica globale.

Nel libro veniamo a conoscenza di esempi di riconversione tutti italiani come quelli della Ri-Maflow alle Officine Zero, passando per la Fenix Pharma e anche per le esperienze di paesi come la Grecia (con la Vio.Me di Salonicco) o la Turchia (con la Ozgur Kasovala) o la Francia. È proprio dalla Francia che arriva l’esempio dei lavoratori della ex Fralib di Gémenos, in Provenza, ridenominati Scop Ti (Société Coopérative Ouvrière Provençale), che – dopo 1336 giorni di occupazione, una vertenza e la riacquisizione dei locali dall’Unilever – hanno riconvertito la propria produzione in chiave ecologista, riuscendo a renderla competitiva anche nella grande distribuzione.

Mastrandrea sottolinea come in Italia ci siano dei percorsi attraverso i quali è possibile, per i lavoratori, riappropriarsi della propria azienda, della propria fabbrica perfino dopo un fallimento e riappropriarsi così della propria professionalità. Del proprio lavoro. Esiste ad esempio la legge 49/1985 (la cosiddetta «legge Marcora») che sostiene il percorso di recupero delle aziende, agevolando i processi di riconversione delle aziende in cooperative grazie alle quali gli (ex) operai sono in grado, così, di continuare a lavorare secondo la propria formazione e – cosa ancor più importante – di conservare il proprio posto di lavoro. Questa legge è, secondo Mastrandrea, «uno dei pilastri del sistema che rende possibile il recupero delle fabbriche in Italia, perché mette a disposizione dei lavoratori ciò che è venuto meno: il capitale». Ma in Italia sono anche altri i provvedimenti presi in tal senso. È stato disposto, infatti, un fondo (denominato Cooperazione finanza impresa) facente capo al Ministero dello Sviluppo, ma anche la Legacoop ne ha istituito uno per le stesse finalità, dal nome Coopfond, alimentato con il 3 per cento degli utili delle cooperative iscritte. Come anche esiste la possibilità di ingresso nel capitale delle nuove imprese, che coinvolge attori quali Banca Etica e Unipol. Ricordiamo, fra le altre, l’esperienza delle Officine Zero, sorte dalle ceneri delle officine romane per la manutenzione dei vagoni letto dei treni notturni, non lontane dalla moderna Stazione Tiburtina. «Le ex-Rsi – racconta Mastrandrea – sono una sorta di retrobottega della stazione Tiburtina, interamente ricostruita per diventare il nuovo hub ferroviario dell’alta velocità romana. […] Come tutti i retrobottega, le ex-Rsi non sono visibili al pubblico e sono raggiungibili solo dagli addetti ai lavori. Un binario portava nelle vecchie officine i treni da risistemare […]. Poi il binario, simbolico cordone ombelicale che legava le officine al datore di lavoro, fu troncato e i falegnami e meccanici che lavoravano all’interno rimasero da un giorno all’altro senza lavoro. […] Insieme ai treni notturni che avevano unito l’Italia del dopoguerra, trasportando migliaia di emigranti con la valigia di cartone dal sud verso il nord, furono soppressi anche gli addetti alla loro manutenzione». La decisione di Trenitalia, giustificata come una razionalizzazione delle spese, si è rivelata irrevocabile, nonostante le numerose proteste dei lavoratori.

Di conseguenza, lo spazio delle ex-Rsi è stato immediatamente abbandonato, come avviene quando si ha la consapevolezza di una catastrofe imminente. Solamente gli operai hanno deciso di non andarsene e di dare vita ad una vera e propria «pazza idea»: reinventarsi un lavoro a partire dal recupero e il riciclo. Da questa pazza idea sono nate le Officine Zero (Oz). È anche su esempi come questo che passa la battaglia contro l’egemonia neoliberista.

 

(pubblicato su Confronti di novembre 2015)

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