di Gianna Urizio (giornalista, già presidente della Federazione delle donne evangeliche in Italia, impegnata al Centro antiviolenza “Donna LISA” di Roma)
Il 26 novembre hanno sfilato a roma centinaia di migliaia di donne e uomini contro la violenza esercitata sulle donne, ma i media quasi non ne hanno parlato.
Perdersi in una marea di donne e non solo. Cartelli, striscioni, slogan, danze e musica hanno camminato il 26 novembre nel lungo percorso da piazza della Repubblica di Roma alla storica piazza di San Giovanni, testimone di tante grandi manifestazioni operaie, da quella oceanica in risposta all’attentato a Togliatti del 1948, agli scioperi di altri anni del Primo Maggio, alla piazza con Berlinguer, fino ai più recenti concerti on-demand.
In un’epoca di manifestazioni da club dei francobolli, in cui ci si ritrova tra amici del bar, una manifestazione di 200mila persone dichiarate dalla Questura (ma non serve giocare con i numeri per chi c’era) ha fatto addirittura saltare le luci della ribalta dei media, che l’hanno praticamente oscurata. Dopo le rituali commemorazioni del 25 novembre contro la violenza esercitata sulle donne, una cascata di dati statistici conditi con interviste ad esperte (ed esperti) ovvero con “vittime” sopravvissute, viene da chiedersi se i media (o chi li muove) abbiano avuto paura di un evento così inusuale. Nessuna sigla politica o sindacale, nessuna “alleanza” strategica se non quella di donne con donne, nessun battage mediatico hanno portato per le strade di Roma tante persone, soprattutto donne, ma anche uomini. A quanto pare, così tanti da averne paura e cancellare l’evento.
Eppure. Eppure bisogna domandarsi come e perché. Ed è questo che è interessante, oltre alla proiezione verso il futuro che le organizzatrici hanno già pensato.
Tutto è nato in sordina. Da maggio, ma anche da prima, si è cominciato negli sparuti gruppi di donne a parlare di fare qualcosa di speciale per il 25 novembre: basta le celebrazioni di rito o per le poche aficionadas che non perdono una manifestazione (sono tra queste?). E poi c’era anche una chiamata internazionale, «Ni una menos», dall’Argentina. La voglia, dopo anni, di provare a denunciare i legami forti tra la violenza di genere e la società patriarcale, contro la narrazione mediatica della violenza, per non parlare degli effetti che la crisi ha sulle donne, non solo in famiglia, ma anche nel lavoro, dove si evidenzia sempre più una nuova disparità di retribuzione di genere che talvolta sfiora il 50%, pur dentro una legislazione che dal 1969 l’ha cancellata. Altro che tetto di cristallo!
Le donne da tempo, anche insieme agli uomini, si stavano interrogando sulle scelte politiche ed economiche che hanno trasformato il lavoro in lavoro sempre più precario di cui sono le prime vittime. E ancora si sentono gli scricchiolii che minacciano le architravi su cui si basa il nostro sistema sanitario e previdenziale, per non parlare della “buona” scuola. Insomma, l’ipotesi era quella di porre le donne al centro, di partire da sé e dalle proprie esperienze per affrontare tematiche che toccano tutti e tutte e il nostro futuro. Quale società vogliamo essere o diventare. E così è stato.
Nel corso dell’estate una strategia è stata messa a punto. Tre percorsi diversi si sono incontrati: quello delle “donne giovani”, espressione di un nuovo femminismo post-femminista (toccherà tornarci su), le donne dell’Udi (Unione donne in Italia), che tengono alta la memoria di altre lotte, di altri anni, di altre speranze, e la Rete nazionale dei centri antiviolenza Dire, che da tempo denuncia le inadempienze del piano nazionale contro la violenza. Varie assemblee romane hanno sviluppato i temi su cui ci si voleva confrontare, un’assemblea nazionale ai primi di ottobre con più di 500 donne aveva definito le strategie e modalità (no alle bandiere dei partiti, no alle strumentalizzazioni politiche, sì ad un’organizzazione dal basso) e poi un nuovo strumento di mobilitazione ha “fatto bingo”: la mobilitazione sui social. Di questa forma di organizzazione abbiamo già vari esempi, dall’elezione di Obama a quest’ultima di Trump, ma anche Podemos in Spagna e varie mobilitazioni: Cina, Iran, primavere arabe…
La trama, spesso sommersa, delle donne è emersa con forza il 26 novembre, è proseguita il 27 novembre con i tavoli tematici e si ritroverà il 4-5 febbraio a Bologna per costruire un’agenda politica da proporre al nostro attuale confuso mondo politico. Sarà vero? Forse saranno le contraddizioni di vita attuali a spingerla in avanti.
(pubblicato su Confronti di gennaio 2017)