di Paolo Naso, politologo, Centro Studi Confronti
Dopo la prova di una dura malattia, il 10 agosto ci ha lasciato Marco Rostan. Aveva 83 anni e nella sua vita di credente valdese impegnato e di intellettuale pubblico aveva ricoperto diversi ruoli.
Formatosi ad Agape negli anni in cui il centro valdese in val Germanasca (Prali, TO) fu laboratorio di un nuovo rapporto tra religione e politica e sviluppava importanti collaborazioni con credenti impegnati nelle lotte di liberazione anticoloniali o postcoloniali, Rostan si trovò ad essere una sorta di portavoce del movimento critico che, nel ’68, coinvolse anche la chiesa valdese. Ruolo difficile, dato che suo padre – pastore, già cappellano militare, poi moderatore della Tavola valdese – era un tipico esponente di quel moderatismo della chiesa che una nuova generazione di evangelici criticava apertamente.
La professionale e felice direzione di Gioventù Evangelica – dal 1972 al 1980 – fu la naturale conseguenza di quella stagione di impegno pienamente coinvolgente, al punto da indurlo a preferire il lavoro di insegnante ad una promettente carriera professionale come architetto. “Militanza” era il termine in voga in quegli anni, ma per Marco non significò mai rinuncia a un pensiero critico, anche sulla propria azione politica e sulla riflessione teologica di una generazione di pastori e di laici che si preparava a incarichi di responsabilità nella Chiesa valdese e nella Federazione delle chiese evangeliche.
Gli anni ’70 furono quelli dell’ecumenismo “di base”: con la rete delle “comunità” che incanalavano il “dissenso” cattolico, così con i “Cristiani per il socialismo” nel breve tempo in cui questa organizzazione restò in vita e, soprattutto, con Com Nuovi Tempi, la testata ecumenica antesignana di Confronti. È di quegli anni anche l’esperienza della “comune” romana di via Mantellini, un progetto di vita comunitaria condiviso con altri giovani provenienti dal mondo evangelico. La candidatura nelle liste del PCI alle elezioni comunali di Roma nel 1976 si iscrive in questa stagione di testimonianza evangelica e militanza politica. Non fu eletto ma l’insuccesso era prevedibile e messo nel conto, data la critica che Rostan e buona parte del mondo protestante esprimevano nei confronti della strategia berlingueriana del “compromesso storico” che, non di rado, implicava ulteriori concessioni al mondo cattolico e alle sue istituzioni. A partire dall’Insegnamento religioso confessionale (IRC) contro il quale Marco condusse vigorose battaglie, anche all’interno delle scuole dove ebbe modo di insegnare.
Mettendosi a servizio della Chiesa, nel 1979 Marco e la moglie Roberta Peyrot, con il piccolo Davide – oggi pastore nelle Valli valdesi – si resero disponibili a trasferirsi da Roma a Cinisello Balsamo, allora periferia industriale di Milano. In un quartiere dormitorio satellite delle grandi industrie milanesi, da qualche anno un gruppo di evangelici che tra gli altri comprendeva Giorgio Bouchard e Toti Rochat, insieme a dei cattolici e alcuni non credenti, aveva dato vita al “Lombardini”: una scuola serale per lavoratori, un centro culturale e, soprattutto, una “comune” di vita per una ventina di persone. L’inserimento nel nuovo contesto non fu semplicissimo ma, in breve, Marco divenne uno degli intellettuali di riferimento di una città che cambiava pelle e che, dopo la stagione delle grandi fabbriche e dell’operaismo, si preparava ad una traumatica trasformazione post-industriale. In quegli anni, sostenuto dal gruppo del Lombardini, svolse un instancabile lavoro di promozione culturale e divulgazione popolare di temi che altri affrontavano in cenacoli chiusi e selettivi.
Il 1987 fu l’anno di una svolta perché il giovane che nel ’68 aveva contestato la leadership della sua chiesa e dato vita a una clamorosa protesta durante il Sinodo annuale che si svolge a Torre Pellice (TO), fu eletto nella Tavola valdese, l’organismo esecutivo, mantenendo questo incarico sino al 1994; successivamente, fino al 2000, sedette nel Consiglio nazionale della Federazione delle chiese evangeliche in Italia. Dalla contestazione alla gestione: un passaggio non da poco che Marco interpretò con intelligenza e coerenza con il suo passato, mantenendo sempre vivi i rapporti con la base della rivista Gioventù Evangelica, la Federazione giovanile evangelica in Italia e il Movimento Cristiano Studenti. Non mancarono dibattiti e polemiche che però, in quegli anni, furono il sale della democrazia interna al protestantesimo italiano. La passione per l’analisi, la chiarezza delle posizioni, una certa intransigenza intellettuale, del resto, furono tratti caratteristici di quella stagione culturale e politica.
Un altro cambiamento intervenne nel 1992 quando Cinisello Balsamo viveva un complesso cambiamento sociale, culturale ed anche politico che metteva in crisi l’impianto del tradizionale lavoro del Lombardini. Occorrevano idee ed energie nuove, e Marco e Roberta decisero di trasferirsi a Luserna San Giovanni, nelle Valli valdesi. In quel contesto Rostan ritrovò le sue radici montanare e la cultura alpina e, con la fatica di un intellettuale cresciuto in ambienti cittadini e metropolitani, cercò di mettersi in sintonia con lo specifico “passo” delle Valli valdesi, con la dinamica sociale, culturale ed ecclesiastica di quel peculiare contesto. In quegli anni riprese a disegnare, producendo una pregevole collezione di schizzi dei templi delle valli valdesi, e collaborò con il settimanale Riforma e con il Centro culturale valdese di Torre Pellice.
Furono anche anni di “ripensamento” delle stagioni passate e quindi di scrittura che egli stesso definì “terapeutica”: una sorta di memoriale pubblicato con il titolo Tutto quello che la tua mano trova da fare (2008). Era il titolo di un versetto biblico (Ecclesiaste 9:10), manifesto programmatico di una generazione che non concepiva la predicazione senza l’azione, l’annuncio del Regno senza l’impegno che lo rendesse credibile, la spiritualità senza il servizio.
Nella sua vita Marco ha vissuto intensamente attraversando diversi cambiamenti, compresa una malattia che, negli ultimi tempi, ne ha inasprito il carattere e rafforzato il gusto e lo spirito polemico. Chi lo ha conosciuto ricorderà che, tra il serio e il faceto, da anni il suo motto era “state fermi”. Lo ripeteva continuamente a chi prendeva strade che egli non capiva o quando qualcuno gli prospettava scenari inediti che suggerivano – e talvolta imponevano – scelte nuove, diverse da quelle del passato. Quel suo appello a “stare fermi” a volte non veniva capito ed altre era esplicitamente contestato, ma in verità non se ne curava troppo.
Ripensandoci, non era il monito senile di un contestatore pentito ma, piuttosto, un appello alla saldezza della fede. Esposti alla seduzione di mode effimere e di suggestioni relative, egli ci richiamava alla saldezza del messaggio cristiano, a ciò che conta e che davvero dura nella vita di ciascuno e ciascuna di noi. È una delle lezioni che ci lascia questo maestro – un bravo maestro – del ‘68 protestante.

Paolo Naso
Politologo, Sapienza Università di Roma, Centro Studi Confronti
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