Paolo Naso. Docente di Scienza politica all'Università Sapienza di Roma
Di fronte a un anniversario si è soliti affermare di non volere scadere in toni “celebrativi”. Accade anche ai valdesi che nel 2024 ricordano gli 850 anni della conversione di Valdo, il mercante di Lione che, dopo avere regalato i suoi beni ai poveri, avviò un movimento spirituale destinato a una storia di persecuzioni, resistenza, resilienza, adattamento e radicamento.
Benché caratterialmente ostili alle celebrazioni, i valdesi si trovano così a celebrare un anniversario di grande significato per la Storia italiana ed europea. Innanzitutto perché la celebrazione esprime la gratitudine a Dio di una comunità di credenti che, nei secoli e nonostante persecuzioni e discriminazioni, è riuscita a resistere e a preservare la sua identità spirituale e teologica.
Certo, non è stato un percorso lineare e non sono mancati momenti di caduta, di silenzio e di compromesso. Ma una comunità riformata sa di essere comunque peccatrice e che deve affidarsi alla sola grazia del Signore. Sa anche che la Riforma è un processo che spinge ogni Chiesa che ad essa si richiami a cambiare e a riformarsi costantemente. Ma in questo caso le celebrazioni – si veda www.valdo850.org – si giustificano e anzi si impongono anche per altre ragioni: storiche, culturali, politiche.
Gli 850 anni dalla conversione di Valdo, infatti, possono essere letti in tanti modi e la “nuova storia dei valdesi” che l’editrice Claudiana è in procinto di pubblicare esprime bene questa complessità. Eppure, nella varietà delle letture è possibile cogliere dei fili che meritano di essere evidenziati e, appunto, celebrati. Per qualcuno è un esercizio narcisistico, noi crediamo invece che sia il tempo per una testimonianza – farsi testimoni – di alcuni princìpi che sono stati e restano al centro dell’identità di questa comunità di fede. Prendendo a prestito la famosa formula roosveltiana delle “quattro libertà” – di espressione, religiosa, dalla miseria, dalla paura – la storia valdese ci consente di utilizzare lo stesso espediente retorico.
Libertà della coscienza. Per i valdesi medievali significava affermare il primato dell’obbedienza a Dio e di un’etica cristiana centrata sui fondamentali princìpi del Vangelo. La scelta pauperistica, il rifiuto del giuramento, la libertà di predicare l’Evangelo furono gli elementi essenziali e caratterizzanti del valdismo originario. Nel tempo sono cambiati atteggiamenti e posizionamenti sociali, si sono modificati i temi e le forme della testimonianza, i riferimenti e le ermeneutiche bibliche ma è rimasto vivo l’appello alla libertà della coscienza.
Libertà religiosa. In 850 anni i valdesi sono stati identificati con varie etichette. Ma quel filo che ha origine nelle lotte per resistere all’Inquisizione medievale non si è spezzato, e la vocazione alla libertà religiosa di cui i valdesi oggi dispongono pienamente, si allunga nell’impegno a difendere la libertà religiosa degli altri. Le battaglie per la laicità – della scuola, delle norme in materia di cura e sanità – sono figlie di questa scuola di pensiero e di questa vocazione. Libertà nei diritti. La libertà si concretizza nei diritti. Senza i diritti la libertà è una concessione o un privilegio: il diritto a predicare e a vivere la propria fede in coerenza all’Evangelo; quello alla tutela dei diritti dei migranti, delle persone e delle comunità Lgbtq+, dei giovani e degli anziani, di chi è in carcere e di chi protesta e rivendica la possibilità di un mondo “altro”. Diritti uniti dallo stesso filo e dalla stessa vocazione.
Libertà nella responsabilità. La libertà non è solo una rivendicazione ma anche una decisione. Decidendo di prendere la strada dell’esilio o di rientrare nelle loro Valli, di osare l’evangelizzazione in territori ostili, di organizzare la resistenza o di impegnarsi a difendere la democrazia i valdesi si sono assunti delle responsabilità. Hanno scelto una parte. Avviando progetti sociali e educativi nella Sicilia più isolata e dimenticata, proprio negli anni in cui l’Italia si inchinava all’idolo dello sviluppo e del boom economico, i valdesi si assumevano una responsabilità. E lo stesso hanno fatto, ormai quasi dieci anni fa, investendo in un progetto inedito e ad alto rischio di fallimento come quello dei Corridoi umanitari.
Libertà della coscienza, libertà religiosa, libertà nei diritti, libertà nella responsabilità: la storia dei valdesi – e dal 1975 dei metodisti con i quali oggi sono pienamente integrati – può leggersi come il faticoso intreccio di questi fili. È questa la testimonianza evangelica che la Chiesa valdese ha reso nella società italiana, europea e americana lungo l’arco di 8 secoli e mezzo. Molti settori dell’evangelismo hanno condiviso questa strada e si sono dati strumenti unitari, come la Federazione delle Chiese evangeliche; importanti settori cattolici oggi riconoscono il valore ecumenico di questa testimonianza. Così come alcuni settori dell’Italia laica hanno riconosciuto il patrimonio valdese come una risorsa culturale e morale. Di contro, gran parte della società italiana non se ne è accorta e parla ancora, magari con riserva, di una “rispettabile minoranza”. E benché gli stessi valdesi siano troppo riservati per rivendicarlo, la crescita della coscienza civile del nostro Paese si deve anche alla loro presenza e alla loro testimonianza.
Foto © Valdemaras via Unspash
Paolo Naso
Docente di Scienza politica all'Università Sapienza di Roma