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Non sarà un esercito a salvare l’Europa

di Paolo Naso

di Paolo Naso. Politologo, Centro Studi Confronti.

O l’Europa cambia, o l’Europa muore. Oggi è in crisi come non mai, divisa su tutto, sulla sua identità, la sua anima, il suo destino. C’è chi, di fronte alla crisi dell’Europa e dell’europeismo, plaude e vede l’inizio di un nuovo ordine geopolitico: non sono solo i sovranisti convinti che sia finito il tempo della burocrazia e delle imposizioni comunitarie e che, finalmente, potranno tornare centrali gli Stati, nella loro assoluta libertà di azione. Da tempo, è questa la posizione di tutte le Destre, tanto più antieuropee quanto più radicali. Al popoloso partito dell’antieuropeismo oggi si iscrivono tanti uomini e tante donne di quello che un tempo chiamavamo “il popolo di Sinistra”: troppa burocrazia, troppo centralismo e, soprattutto, troppo stretto il legame europeo con la grande finanza, i poteri forti dell’economia, le banche e, da ultima, l’industria delle armi.

Ursula von der Leyen, oggi più a Destra di ieri, è l’icona di questa Europa che opererebbe sotto dettatura dei poteri forti della finanza, delle banche e, da ultimo, dell’industria militare, chiamata a produrre un consistente stock di armamenti per la nuova “difesa europea”. E così si salda uno strano fronte che va da Salvini a Potere al Popolo. Non dobbiamo stupircene. Da tempo, il filoputinismo della Lega è in sintonia con il “pacifismo” della Sinistra radicale che invoca la fine della guerra in Ucraina, a ogni costo, compresa la resa alle pretese territoriali di Vladimir Putin: «La guerra in Ucraina [si legge in un blog del Fatto quotidiano online] è stata sin dall’inizio una guerra voluta dagli Usa – e dall’Unione europea – finalizzata all’indebolimento della Russia. È stata sin dall’inizio una guerra per procura fondata sulla spaventosa carneficina di giovani ucraini mandati a morire – attraverso il reclutamento coatto – da un governo nazistoide che si è prestato a immolare il proprio Paese ».

Non potrebbe dirsi più chiaramente: non è Putin che ha invaso l’Ucraina ma l’Ucraina che, su mandato americano ed europeo, ha provocato la Russia costringendola a un intervento armato. Ma se in quell’effimero campo largo del “Centrosinistra” di cui si discettò qualche mese fa convivono posizioni così irrimediabilmente incompatibili, non è più compatta la Destra. La burocrazia di Bruxelles è un bersaglio facile per Salvini e le acrobazie di Giorgia Meloni, che vuole tenere insieme le capre del suo conquistato europeismo e i cavoli di un atlantismo al quale Donald Trump ha ormai rinunciato, appaiono sempre più spericolate e azzardate.

Quanto a Tajani, che un po’ di Europa dovrebbe capirne se non altro per essere stato presidente del parlamento europeo, è sempre di più il “vaso di coccio in mezzo a vasi di ferro” e sa che la sua libertà di movimento è vigilata e limitata dal protagonismo di Palazzo Chigi.

In conclusione, l’ondata illiberale e sovranista che soffia sia dall’Europa che dagli Usa sta picconando le culture politiche democratiche e liberali dell’Occidente, e questo movimento tellurico rischia di travolgere e inghiottire l’Europa. In questa prospettiva, non è di poco conto la discussione di questi giorni sul sistema di difesa europeo, e non è di lana caprina la differenza tra un’ipotesi di riarmo “degli Stati” e quella, invece, di un sistema militare “europeo”. Nel primo caso, si alimentano velleità e mire nazionalistiche come quelle, ad esempio, ben espresse da Macron, che rispolvera la ricetta antica di De Gaulle. Altri tempi, altro mondo. Nel secondo caso, invece, si potrebbe tentare ciò che mai si è avuto il coraggio di ipotizzare: un esercito europeo che corrisponda alle esigenze difensive di una comunità di popoli e di Stati, così coesa da condividere un’unica politica estera e pronta a riporre la propria sicurezza in un dispositivo comune e sovranazionale. Ma dobbiamo ammetterlo con chiarezza: lo stato delle cose non dà alcuna chance a questa ipotesi e, con la scusa del disimpegno militare degli Usa rispetto all’Ucraina, la strada segnata pare quella del riarmo nazionale dei Paesi dell’Unione, o di alcuni di essi, e magari utilizzando i fondi per la coesione sociale.

Questa impennata militarista sarà un nuovo colpo per l’Europa sognata da chi nel 1941, a guerra ancora in corso e in una sperduta isola del Tirreno, prefigurava un nuovo ordine europeo, teso a costruire una pace che non fosse una sosta «preliminare alla preparazione delle guerre successive» e «capace di aggregare attorno a sé un larghissimo strato di cittadini interessati al suo mantenimento, […] per dare alla vita politica una consolidata impronta di libertà, impregnata di un forte senso di solidarietà sociale». Per salvarsi, prima e assai più che di un esercito, l’Europa ha bisogno di ritrovare la sua anima, il pilastro della sua idealità originaria, e cioè un’efficace governance sovranazionale che metta al primo posto la costruzione di una politica di pace.

Foto © Markus Spiske via Unsplash

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Paolo Naso

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