Se un rom diventa uno "zingaro" - Confronti
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Se un rom diventa uno “zingaro”

by Valeriu Nicolae

di Valeriu Nicolae

Valeriu Nicolae è un giornalista e attivista per i diritti umani. Nato da padre romeno e madre rom, vive e lavora in Romania, dove ha fondato il Policy Center for roma and minorities. A Ferentari, uno dei quartieri più poveri di Bucarest, gestisce una scuola pomeridiana e insieme a altri cinquanta volontari aiuta i bambini del quartiere e le loro famiglie a costruirsi una vita migliore. Nicolae scrive regolarmente per Internazionale e nel 2018 ha pubblicato con Rubettino il libro La mia esagerata famiglia rom: «In questo libro c’è tutto quello che vuol dire essere rom nell’Europa di oggi: le speranze e le risate, le umiliazioni e le battaglie. E un futuro ancora tutto da costruire». Il 18 settembre ha partecipato al festival I Dialoghi di Trani e per l’occasione noi lo abbiamo intervistato.

[Intervista a cura di Asia Leofreddi]

Nel 2018 è uscito il suo ultimo libro. A chi è rivolto?
Questo libro è per tutti, almeno lo spero. Non è un libro che vuole fare dell’attivismo o che riguarda la battaglia contro il razzismo, l’ ho scritto più che altro pensando alla mia famiglia ed è pieno di amore e divertimento. È un libro facile, in cui si raccontano molte storie e che, accanto a molti capitoli sulla Romania, ne include molti altri anche sull’Italia. Mi piacerebbe moltissimo che potesse essere letto non solo da persone di ampie vedute, abituate a capire questo genere di cose, ma anche da chi considera i rom come me “animali”, odiando insieme a loro gli immigrati e gli stranieri in generale.

Molti capitoli del suo libro sono dedicati alla sua vita in Romania, di cui descrive i luoghi, gli aneddoti e le persone più importanti. Ne esce un mondo complesso fatto di momenti molto divertenti ma anche di grandi difficoltà, in cui emerge soprattutto la difficoltà di vivere liberamente le sue origini e la sua famiglia rom. In particolare, c’è stato un momento in cui questa sua “diversità” le si è presentata quasi inaspettata: il suo trasferimento dalla piccola e rurale Caransebeş alla più grande Craiova: «Per i primi sette anni della mia vita ho avuto una sola identità: ero semplicemente un bambino. Poi, quando sono andato a vivere a Craiova, sono diventato uno zingaro».
Io sono cresciuto a Caransebeş , una cittadina multiculturale vicino al confine con la Serbia (ndr a quel tempo Jugoslavia). Lì convivevano persone di varie etnie e nazionalità, così io non mi sentivo diverso. Noi bambini ci divertivamo ad imparare le parole degli altri mischiando l’ungherese, il serbo, l’yiddish, il tedesco, il romaní e il rumeno. Ricordo questa parte della mia infanzia come un periodo molto felice. Quando con la mia famiglia ci siamo trasferiti a Craiova per me è stato un grandissimo shock. I bambini non volevano più giocare con me perché pensavano che ero sporco, che avevo i pidocchi e cose del genere. È stato veramente difficile, più che per me per mia madre. Non capivo perché venivo rifiutato in quel modo, tuttavia ho trovato la maniera d’integrarmi. Ho imparato a capire come piacere agli altri bambini. Ho scoperto per esempio che c’era un treno che arrivava in Romania dall’Est della Germania diretto alla costa e che passava dalla stazione della nostra cittadina. Su questo treno c’erano molti stranieri che venivano da alcuni dei più ricchi paesi comunisti: tedeschi dell’Est, cechi, slovacchi, ungheresi, polacchi. Quando il treno passava per Craiova, andavo alla stazione e mi facevo dare dai passeggeri dolciumi di ogni tipo e poi li davo agli altri bambini, insegnando loro come fare la stessa cosa. Erano molto felici. Oppure da un giornale del quartiere m’informavo se erano in programma dei funerali. In Romania infatti ogni volta che una processione per un funerale attraversa degli incroci le persone pagano una sorta di pedaggio credendo così di agevolare il passaggio del defunto all’altro mondo. Io avevo architettato un piano per farmi trovare con gli altri bambini a quegli incroci e raccogliere i soldi che venivano offerti. Per un’estate sono diventato quasi ricco (ride), potendomi comprare un pallone da football e delle racchette da ping pong. Queste cose mi hanno fatto diventare sempre più popolare finché mia madre non ha scoperto tutto e mi ha picchiato così tanto da non potermi sedere per una settimana.

Lei, a dispetto delle difficili condizioni di origine, è riuscito ad affermarsi diventando un’attivista e un giornalista di successo. Tuttavia, nel suo libro scrive che per un rom l’integrazione ha un prezzo. Quale?
Nel mio caso, in un dato momento, è stato il fatto che la gente cercasse di forzarmi ad essere d’accordo con le visoni della maggioranza per esserne accettato. Ho dovuto lavorare più duramente dei miei colleghi rumeni non roma, ma in fin dei conti è stato un vantaggio perché ho acquisito più disciplina e più capacità di mettere a frutto i miei sforzi. Tuttavia, un rom per raggiungere certi livelli deve nascondere le proprie origini e tacere le discriminazioni che subisce. Quindi si, c’è un prezzo da pagare, anche se negli ultimi anni sono stati fatti molti passi avanti e penso che andrà sempre meglio.

Che tipo di passi avanti?
In Romania l’inizio degli anni ’90 è stato veramente difficile perché tutti i vecchi equilibri sono saltati e ha iniziato ad essere molto complicato per un rom di successo dire che era un rom. Ora questo è quasi scomparso, molti professionisti si definiscono rom, certo la situazione non è ancora perfetta, lo stigma persiste, ma va molto meglio. Ci sono più opportunità e si vedono sempre più persone integrate. Nello stesso tempo, ci sono molto generazioni che abbiamo perso. Durante il periodo del comunismo molti rom erano integrati ma, con la sua caduta, molte famiglie si sono spostate all’estero in cerca di migliori opportunità. Sono partiti con i loro figli e così quella generazione di bambini è andata perduta, non hanno studiato e così anche i loro figli e i figli dei loro figli. Solo negli ultimi dieci anni l’istruzione è diventata di nuovo importante e iniziamo a vedere genitori rom che, invece di portare i loro bambini da un paese all’altro, valorizzano l’istruzione dei loro figli, iniziando ad essere consapevoli che è importante.

«Il razzismo contro i rom è ben radicato nella mentalità collettiva, non solo in Romania, ma in tutta Europa. Le conseguenze sono devastanti soprattutto perché impediscono a quelli che sono riusciti a farcela di affermare chiaramente che sono rom e diventare così dei modelli per i bambini dei quartieri più poveri». Nel suo libro racconta del suo amico Petre, direttore della filiale locale di una delle più importanti aziende straniere in Romania. Proveniva da una famiglia di roma argintari, quelli che lavorano l’argento e lei lo ha invitato a raccontare in tv del suo percorso d’integrazione. Lui ha rifiutato dicendo che avrebbe rischiato il suo impiego e lei ha scoperto che quel segreto sulle sue origini non lo manteneva solo al lavoro ma anche in famiglia. Quali sono le conseguenze di questo atteggiamento?
È un’opportunità mancata perché quei bambini non sapranno mai che i loro genitori, loro padre in quel caso, è un rom. Probabilmente i suoi figli saranno integrati, avranno successo, ma così facendo invece di avere sempre più roma di successo, capaci di cambiare il pregiudizio degli altri, ne avremo sempre meno. Questo è qualcosa con cui combatto quotidianamente. Io personalmente sono molto contento che mio figlio, per metà canadese e per metà rom, si definisca rom.

A Ferentari gestisce un progetto di sostegno ai bambini più poveri a cui partecipano molti volontari. Che cos’è Ferentari e che tipo di lavoro fate lì?
È il quartiere più degradato di Bucarest in cui vivono le persone più povere della città, tra cui anche molti rom. Noi in particolare ci occupiamo dei bambini e delle loro famiglie, lavorando in quella parte del ghetto in cui circola il maggior quantitativo di droga. Ci occupiamo di più di cento bambini ogni anno, compriamo loro scarpe e vestiti, li portiamo dal medico, dal dentista, ripariamo i loro appartamenti, insomma facciamo tutto ciò che possiamo per rendere la loro vita migliore. Ho iniziato quest’attività perché, anche se posso considerarmi un brav’uomo, mi sentivo colpevole di avere di più di quello di cui avevo bisogno quando c’erano quei bambini non avevano nulla.

A suo avviso, l’antiziganismo può essere considerato una particolare forma di razzismo o è uguale a tutte le altre?
Ho scritto la mia tesi proprio sull’antizigansimo sostenendo che sia una forma di razzismo molto specifica, anche se ha molti aspetti simili all’antiseminitismo dell’inizio del secolo. Siamo descritti come animali, alle volte anche con un’accezione positiva: siamo selvaggi, siamo liberi. È molto raro che i complimenti che vengono rivolti ad un rom siano normali; che qualcuno sia considerato brillante, elegante, intelligente, educato. Se uno ha una di queste caratteristiche sembra sempre un caso straordinario. Per esempio qualche volta ci sono persone che, commentando i miei scritti, dicono: «Wow, ma sai davvero scrivere!» e non è un vero complimento, ma qualcosa che mi descrive al di sotto di quello che sono. Io ho scritto per tutta la mia vita, pubblicato centinaia di articoli ed è normale che io sappia scrivere, ma queste persone lo vivono come qualcosa di straordinario perché l’opinione comune è che gli “zingari” siano stupidi e che non sappiano scrivere. In questo senso si, l’antiziganismo è piuttosto specifico.

Che valore ha a suo avviso la parola “identità”?
L’identità è qualcosa di estremamente complesso e sfaccettato. Non credo che ci sia niente di “vero”: tipo “vero” italiano, “vero” rumeno, “vero” francese. Ognuno di noi anche se “vero” per qualcosa, non è “puro” in niente. Questa convinzione mi ha spinto addirittura ad uscire dallo stesso movimento rom che, nato per promuovere la tolleranza, perché aveva finito per polarizzarsi, diventando estremista e in alcuni casi razzista verso chi non condivideva le stesse origini etniche.

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