di Ludovico Basili. Ecologista
In Messico le comunità indigene rivendicano il parziale stop a uno dei megaprogetti più distruttivi per l’ambiente e le popolazioni.
Il governo progressista messicano ha ritenuto – nel paese latinoamericano con il più alto numero di morti di Covid-19 dopo il Brasile – che la priorità fosse quella di autorizzare l’inizio dei lavori per la costruzione del Tren Maya.
Una linea ferroviaria ad alta velocità lunga circa 1.500 chilometri per trasportare i turisti attraverso cinque stati messicani, da Palenque a Cancun.
Un’opera ad altissimo impatto ambientale e sociale in termini di esproprio di terre, espulsione e delocalizzazione delle comunità (prevalentemente indigene), deforestazione, prosciugamento delle sorgenti, distruzione di habitat ed ecosistemi, interruzione e sbarramento dei percorsi degli animali selvatici e dei collegamenti fra i villaggi.
Il tracciato impatterà su settecento siti archeologici, quindici aree naturali fra cui la Reserva de la Biosfera de Calakmul (Campeche), riconosciuta dall’UNESCO come patrimonio mondiale dell’umanità, dove vive l’80% delle specie vegetali dello Yucatan, e la Reserva de Sian Ka’an (Quintana Roo), anch’essa minacciata dal Tren Maya, che ospita centinaia di specie animali.
Il progetto ha incontrato una fiera opposizione popolare dei movimenti indigeni, che per ora hanno segnato un punto a favore: un tribunale ha accolto la richiesta del popolo Maya Chol, determinando la sospensione definitiva di «qualunque opera che non sia di puro mantenimento delle vie già esistenti», per l’intero periodo di emergenza sanitaria.
Ma il piano del governo promette devastazioni maggiori, perché il Tren Maya è solo una parte di un progetto di interconnessione più vasto della stessa penisola, che prevede la realizzazione del Corridoio Trans-istmico per collegare il Golfo del Messico all’Oceano Pacifico attraverso l’istmo di Tehuantepec con la costruzione di aeroporti, autostrade, nuovi gasdotti, raffinerie e la costituzione di zone economiche speciali, aree deregolamentate e defiscalizzate dove sarà massimo l’arbitrio contro i lavoratori e la natura.
Il governo ha presentato le due opere come la via di uscita dalla crisi causata dal Covid-19, ma le comunità locali, riunite ne la Asamblea de Pueblo de Istmo en Defensa de la Terra, sanno bene che il Corridoio e il Tren Maya non sono la via di uscita dalla crisi, ma la crisi: «Le persone vedranno e saranno colpite da tutti i problemi e dai rischi che una strada ad alta velocità genera, con l’interruzione del traffico di persone e animali. Le strade bloccheranno i sentieri naturali. Tutta l’infrastruttura che deve essere costruita attorno a una ferrovia prenderà il controllo della terra delle persone, rovinerà la loro vita naturale e li impoverirà di più. Approfondirà la disuguaglianza economica nell’area. Pochi, pochissimi, ne trarranno beneficio, e la stragrande maggioranza, ancora una volta, vedrà deprezzare il valore della propria attività e della propria terra. Porteranno una nuova ondata di violenza, repressione, saccheggio, spoliazione, militarizzazione e guerra per i beni comuni».
Ludovico Basili
Ecologista