di Stefano Allievi. Sociologo, Professore di Sociologia presso l’Università degli studi di Padova
La modernità ha aumentato a dismisura le possibilità di scelta dell’individuo, la postmodernità le ha estese nelle dimensioni ed estremizzate nelle modalità, internet e il web le hanno trasformate in virtualmente infinite. Ma come sarebbe “il mondo se”…
«La libertà non consiste nello scegliere tra il bianco e il nero, ma nel sottrarsi a questa scelta prescritta». Questa frase di autore ignoto l’ho letta intorno ai quattordici anni, in un testo sul pensiero anarchico. E da allora non mi ha più abbandonato.
Lo so, ci sono frasi assai più famose sulla libertà, e intellettuali di riferimento che ne hanno approfondito i meccanismi, i cui testi non si scrivono sui muri.
Ma forse la secchezza di uno slogan da writer ci aiuta a cogliere le dimensioni contraddittorie della libertà nella situazione odierna: intesa come libertà da (dal bisogno, dalle condizioni di fame e sfruttamento: senza le quali ogni altra libertà è più difficile o forse solo virtuale; o dal male, come si recita nel Padre Nostro), come libertà di (la libertà – cioè il potere – di fare delle scelte e perseguire degli obiettivi), ma anche la libertà di sottrarsi alla scelte, di immaginare altri mondi e altre opzioni, o di scegliere di abdicare alla propria libertà per obbedire, servire, annullarsi, tanto magnificata spesso nel mondo religioso (l’adattarsi alla volontà di Dio, comunque e da chicchessia interpretata), utilizzata dai totalitarismi al servizio dello Stato o dell’ideologia, ma anche autonomamente assunta da moltissimi individui, che semplicemente sacrificano spazi significativi di libertà individuale in nome d’altri valori (l’amore, la famiglia, il lavoro, un ideale…), o la conquistano attraverso il servizio liberamente assunto, come nei romanzi di Robert Walser.
Senza dimenticare, a proposito di contraddizioni, quanta di quella che crediamo libertà sia invece un asservirsi ad altre schiavitù: come è spesso per la libertà di abbandonarsi a una qualunque dipendenza, o per libertà più ordinarie come quella di lavorare, e persino per la libertà sessuale, quando diventa schiavitù rispetto a una pulsione.
La psicanalisi più di altri ci ha fatto vedere i limiti della nostra illusione di libertà.
La modernità ha aumentato a dismisura le possibilità di scelta dell’individuo, la postmodernità le ha estese nelle dimensioni ed estremizzate nelle modalità, internet e il web le hanno trasformate in virtualmente infinite.
Dunque se il criterio della libertà fosse quello di poter fare potenzialmente sempre più scelte, e farle individualmente, siamo indubbiamente più liberi di tutte le generazioni precedenti.
Il fatto di poterne perseguire, tuttavia, solo un numero molto limitato – risibile, rispetto alle possibilità – trasforma la libertà potenziale in frustrazione reale per ciò che rimane inattuato e inattuabile. E ci ricorda che si può veramente scegliere solo nel novero delle possibilità; o dell’immaginabile altrimenti, per tornare alla frase iniziale.
Di fatto, proprio nella nostra contemporanea condizione di apparente e sempre più estesa libertà potenziale dell’individuo, il credersi liberi si risolve spesso solo nell’essere liberi di crederlo. Tanto più se intendiamo la libertà come una retorica (o un valore con la maiuscola), anziché come una pratica di cui fare buon uso.
Mancano gli uomini e le donne interiormente liberi, non la libertà. E mancano i verbi che la declinino in concretezza, non i sostantivi magniloquenti, ormai acquisiti.
Per Rousseau l’uomo nasce libero, ma ovunque è in catene. Per Sartre gli uomini sono liberi, ma la loro maledizione è che non lo sanno.
Per noi, che oggi diamo più valore agli aspetti relazionali del vivere, e ci accorgiamo meglio del peso del vincolo ecologico, forse è vero che non siamo davvero liberi come crediamo, nemmeno alla nascita, ma lo siamo più di quanto crediamo e forse vorremmo o sappiamo gestire, e sempre più dovremo abituarci a limiti alla nostra libertà, come quelli che abbiamo per lo più liberamente accettato durante la pandemia: alla mobilità, alle relazioni, persino al diritto a guadagnarci la vita, in nome della salute pubblica, anziché di un ideale astratto. In nome del diritto alla salute, nostro e altrui, abbiamo scoperto che siamo disposti a rinunciarci, a parti della nostra libertà.
Forse è l’inizio di una nuova riflessione, popolare prima che intellettuale, nata dalla necessità prima che dal desiderio, su una nuova forma di libertà: la libertà per – sottinteso, la vita. Nostra, altrui e dell’ambiente.
Una libertà fatta di vincoli reciproci, liberamente rispettati. Meno io, più noi. Inevitabile, in un mondo globalizzato, interconnesso e plurale.
[pubblicato su Confronti 09/2020]
Stefano Allievi
Sociologo, Professore di Sociologia presso l’Università degli studi di Padova