Sanzioni e Coronavirus, anche l’arte è resilienza in Iran - Confronti
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Sanzioni e Coronavirus, anche l’arte è resilienza in Iran

by Luciana Borsatti

di Luciana Borsatti. Giornalista e scrittrice

Il contagio ha interrotto la movida delle gallerie della capitale e bloccato i progetti di molti artisti iraniani, pur stimolando anche nuove forme creative. Ma la crisi economica e le sanzioni, le repressione delle proteste e la tragedia dell’aereo civile abbattuto per errore avevano già allargato il divario, nella comunità artistica nell’accesso al mercato, tra chi era più vicino al potere e chi no. Mentre l’Italia tiene aperti anche con l’arte i ponti tra i due Paesi.

Resilienza: secondo il vocabolario Treccani, è la capacità di reagire a traumi e difficoltà. Ma se foste iraniani non avreste alcuna necessità di consultare un dizionario, perché sarebbe quello che state facendo da tutta la vita, o perlomeno negli ultimi 40 anni. E in particolare negli ultimi due, dopo che gli Usa di Donald Trump sono usciti dall’accordo sul nucleare e hanno imposto a Teheran le sanzioni più dure della sua storia. E in particolare in questi ultimi mesi, in cui la pandemia si è sommata a un’economia sempre più in crisi e a rinnovate tensioni internazionali, con le loro tragiche ricadute sulla vita di decine di milioni di persone.

Lo sanno bene anche gli artisti, che per effetto delle sanzioni si sono visti restringere le possibilità di andare all’estero, aumentare i costi dei materiali usati per le loro opere e mutare anche le condizioni del mercato dell’arte. L’epidemia del Coronavirus ha loro ulteriormente ristretto campi d’azione e prospettive economiche (i luoghi della cultura, dalle gallerie ai teatri, sono stati i primi a chiudere) , ma al tempo stesso li ha spinti a trovare nuovi modi di creare e di comunicare anche dalle loro case ‒ dove la maggior parte di loro si è subito responsabilmente ritirata, anche prima che il governo imponesse restrizioni.

Lenzuolo con calligrafia di Golrokh Nafisi

Concerti live e performance su Istagram (fra le prime quelle del musicista Makan Ashgvari), letture di testi e di poesie diffuse su Telegram e Whatsup (che ha visto protagonista anche la nota regista Rakhshan Bani-Etemad), dibattiti, laboratori e serate online. E calligrafie giganti su tessuti casalinghi esposti ai balconi per salutare e festeggiare il Capodanno persiano – il Nowrouz del 21 marzo ‒ anche da barricati in casa, come nell’idea, divenuta presto tendenza – di Golrokh Nafisi, arstista che a sua volta si era ispirata al Comitato dei lenzuoli di Palermo, nato nel 1992 come reazione civile alle stragi dei magistrati antimafia Falcone e Borsellino.
Ma se il Covid-19 ha rovinato il Nowrouz, una festa di rinascita rimasta soffocata dalla cappa funerea di un contagio che potrebbe avere colpito almeno 25 milioni di iraniani secondo le stime di metà luglio dello stesso Presidente Hassan Rouhani, l’emergenza sanitaria non era che l’ultima di una serie degli ultimi mesi: dalle proteste di novembre duramente represse alla nuova escalation di tensione con gli Usa seguita all’uccisione del generale Qassem Soleimani, fino alla tragedia dell’aereo civile abbattuto per errore dalla contraerea iraniana nel cielo di Teheran. Era anche a tutto questo che gli artisti iraniani erano e restano chiamati, con i linguaggi dell’arte, a dare sollievo. Ma molti di loro hanno fatto anche di più, firmando prima una petizione contro la repressione delle proteste di novembre, poi unendosi a quelle per l’abbattimento dell’aereo civile del 6 gennaio e disertando il Fajr Festival, che ogni anno celebra l’anniversario della rivoluzione con rassegne di cinema, musica e teatro. E ancora, lanciando in marzo un appello contro le sanzioni Usa che colpiscono il settore sanitario in piena emergenza Covid-19, o solo esprimendo con coraggio sui social il loro dissenso nei confronti del governanti.

Mama is calling you di Mohammad Eskandiari

Anche l’arte può viaggiare come un migrante clandestino

Eppure nemmeno per loro la vita era stata facile anche prima dell’inizio della pandemia, sebbene una fervida attività culturale e sociale avesse continuato a ruotare intorno alle tante gallerie d’arte  di Teheran e di altre città, mentre il cinema iraniano continuava ad essere un settore straordinariamente vitale.  Gli artisti erano stati infatti fra i primi a subire i contraccolpi dell’uscita di Trump dall’accordo sul nucleare, racconta Mohamad Eskandari, pittore e artista murale classe 1982. «La maggior parte dei collezionisti iraniani ha smesso di comprare dalle gallerie e ha preferito sospendere gli investimenti. Intanto il prezzo dei materiali si era anche decuplicato per la svalutazione del rial sul dollaro e l’euro, e alcuni fornitori stranieri avevano lasciato l’Iran. Anche gli acquirenti d’arte stranieri o quelli iraniani all’estero hanno smesso di comprare, perché non si poteva trasferire denaro se non in contanti». Al tempo stesso, prosegue, sono aumentate anche le difficoltà per il trasporto delle opere per le esposizioni all’estero. Per una sua recente mostra in Belgio, racconta, «poiché le compagnie postali non lavorano più con l’Iran in seguito alle sanzioni ho dovuto chiedere a un amico che stava tornando in Canada di consegnarle a un altro amico a Parigi.

Ciclo migrazioni di Mohammad Eskandari

Il modo in cui hanno viaggiato da Teheran al Belgio è diventato involontariamente molto simile al soggetto del mio lavoro». Si tratta infatti di un ciclo di dipinti che raffigurano due giovani che si incontrano e si lasciano, «allegoria di migranti che hanno lasciato il loro Paese in Medio Oriente alla ricerca di un futuro migliore», ma destinati spesso a incontrare mille difficoltà. Nel frattempo Eskandiari, per rispondere all’effetto delle sanzioni sui prezzi, aveva già deciso di «passare dal colore all’olio su tela ad acrilici o acquerelli su carta, e cominciato a sperimentare con la video-arte». Tuttavia, conclude a proposito della comunità artistica iraniana, «continuiamo a lavorare e io credo che ciò che stiamo realizzando in questo periodo sarà importante in futuro». È convinto di questo anche Navid Azimi Sajjadi http://www.navidazimisajadi.com/, pittore e scultore che vive tra Roma e Teheran, vincitore fra l’altro del Premio Modigliani 2009. L’artista, 38 anni, data l’inizio del periodo più critico già al 2011-2012, quando furono rafforzate le sanzioni contro l’Iran del presidente Mahmoud Ahmadinejad. Ma anche ora, dice, «tutti vanno avanti lo stesso, non hanno scelta: i fermenti artistici si generano in mezzo alle difficoltà e alle battaglie. Anche se sì, qualcuno si ritira e cade nella depressone».  Ma intanto sul mondo dell’arte si affacciano «sempre nuove generazioni e aprono nuove gallerie. Come per esempio la Fondazione Pejman, che all’inizio dell’anno ha aperto la sua sede in una ex birreria».

Fondazione Pejman

Gli spazi della ex fabbrica Argo, una birreria prima della rivoluzione, restaurati e trasformati in museo e galleria dalla Pejman Foundation. La quale, durante la pandemia, ha creato una propria piattaforma online per le esposizioni virtuali, intitolata “The Room”, che ha finora ospitato due progetti coinvolgendo una quarantina di artisti.

Incognita mercato e progetti bloccati, ma anche nuovi fermenti

Le sanzioni non sempre hanno rallentato il mercato dell’arte, osserva ancora Sajjadi, ma in certi casi hanno spinto chi aveva capitali in Iran ad investirli non più sulla crescita edilizia che ha trasformato in questi decenni la capitale, ma proprio sull’arte, magari per rivenderla su mercati esteri come Dubai. Esempio di questo dinamismo, proseguito anche con le sanzioni dell’ultimo biennio, è il successo di gallerie gestite da una generazione giovane e creativa, ma anche sostenuta da quei capitali che alcuni gruppi sociali hanno comunque saputo preservare, nonostante le sanzioni. Insomma, il fenomeno dei Rich Kids of Teheran – rampolli di famiglie facoltose anche in tempi di crisi, quando le sanzioni hanno allargato il divario tra gruppi sociali e impoverito i ceti medi – ha avuto un riverbero positivo anche sull’attività artistica di Teheran, come di altre città come Isfahan, Shiraz e Tabriz. Sebbene anche le gallerie con maggiori risorse abbiano risentito delle sanzioni dirette e di quelle extraterritoriali imposte dagli Usa. Per esempio quando, racconta, importanti fiere internazionali dell’arte non accettavano pagamenti riconducibili all’Iran, per il timore delle banche e altri soggetti economici di incorrere nelle ritorsioni della superpotenza a stelle e strisce. In tutto questo si è inserita la pandemia, con l’Iran tra i Paesi più colpiti. «Nel momento in cui il paese provava a reagire all’ennesima crisi economica inflitta dall’esterno dagli Stati Uniti e internamente dal governo – sottolinea ‒ è arrivato il lockdown che ha bloccato tutto, incluso il mondo dell’arte. Le gallerie hanno chiuso, le fiere come Art Dubai e Istanbul Contemporary sono state annullate e rimandate, e per molti artisti è stato impossibile recuperare le proprie opere per le limitazioni nella circolazione. Nessun aiuto governativo è previsto per chi lavora nel mondo dell’arte e l’unica strada praticabile è stata la vendita online». Colpiti duramente anche i nuovi imprenditori del settore, che avevano investito sia in Iran che all’estero.

The bridge project di Navid Azimi Sajadi

Un’altra prospettiva la offre Helia Hamedani, storica e ricercatrice dell’arte contemporanea che vive tra Roma e Teheran. 

«Oggi non vedo una fioritura dell’arte iraniana – osserva –, bensì una fioritura del mercato dell’arte iraniana, che rischia di essere costruito sulle sanzioni esterne e la corruzione interna. Come sempre, infatti, le sanzioni vanno a vantaggio delle mafie e del mercato nero, e anche il mercato dell’arte può essere sfruttato per il riciclaggio. In Iran le gallerie d’arte sono tante, ma solo poche sono in grado di incidere sull’ambiente artistico. Alcune aprono le porte dell’Iran al dialogo internazionale, ma il rischio è che si dedichi spazio solo a artisti stranieri affermati oppure agli iraniani che hanno studiato o vivono all’estero e già con fama internazionale. Quindi, piuttosto che promuovere la scena dell’arte iraniana si preferisce sfruttare tendenze esterofile senza rischiare su nuovi artisti. Certo, sono scelte libere di strutture private, ma che hanno poco effetto sul dar voce allo scenario dell’arte che si sviluppa nell’Iran di oggi».

Inoltre, prosegue, «alcune gallerie meno raffinate mostrano la tendenza a dir poco ruffiana di portare sul mercato internazionale proprio l’iconografia che l’Occidente vuole vedere: la pittura calligrafica, le donne Qajar o esoticamente coperte con il velo (detto Chador Art). E creano mercato per sentimenti nostalgico-imperiali di tanti iraniani che da troppi anni vivono all’estero o rispondono agli stereotipi cari al gusto orientalistico. Mentre invece si potrebbe dar voce ad un Paese che sta vivendo uno dei momenti più difficili della sua storia, e alle sue tendenze molto più dinamiche, attuali e certamente in crescita e contrapposizione rispetto al classico»

Tendenze in cui gli artisti «​cercano nuovo strade legate allo studio, al dialogo con la città e alla costruzione di comunità alternative»​. È il caso, precisa Helia Hamedani, della New Media Society o della giovane scuola di arte e letteratura Bidar, le quali, piuttosto che sul mercato, puntano sulla conoscenza e sullo spazio per un pensiero critico.


Murales e video-teatro, l’Italia fa parlare gli artisti tra di loro

Ma il linguaggio dell’arte trova nell’Ambasciata d’Italia a Teheran un orecchio molto attento insieme alla volontà di tenere aperto il dialogo e lo scambio tra i due Paesi sia sul piano economico che sul quello culturale. Dopo l’iniziativa di fare dei muri esterni della Residenza dell’ambasciatore una scena per gli street artisti italiani e iraniani (ad inaugurarla erano stati Mehdi Ghadianloo e Paolo Bordino PAO ‒ Foto e video) il 5 prende avvio il progetto sperimentale di video-teatro 8 1⁄2 Theatre Clips: How the pandemic changed our lives. Prodotto dall’Ambasciata d’Italia a Teheran in collaborazione con la compagnia teatrale Instabili Vaganti, e con la partecipazione del regista iraniano con studi in Italia Ali Shams e del noto performer Danial Kheirikhan. Lo scopo è raccontare ‒ con otto video-performance trasmesse, da agosto a dicembre, sui canali social dell’Ambasciata (Twitter, Instagram e YouTube) ‒ l’impatto e i cambiamenti imposti dalla pandemia su abitudini, rapporti interpersonali ed emozioni di tutti noi. Un progetto per rafforzare contatti e contaminazioni culturali tra gli artisti e il pubblico dei due Paesi, come ha osservato l’ambasciatore Giuseppe Perrone. Insomma l’Italia, nonostante le difficoltà di questi anni, cerca di creare ponti e di tenerli aperti anche grazie al mondo inventivo e straordinario dell’arte iraniana.

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Luciana Borsatti

Giornalista e scrittrice

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